Le origini del Risorgimento

Quale Unità per l’Italia ?

In Italia, diverse furono le correnti di pensiero, che, nel periodo precedente la formazione dello Stato unitario, si ispirarono al federalismo; tutte partivano dalla presa d’atto della situazione politica italiana dell’epoca, caratterizzata dalla presenza di sette diversi Stati.
A premessa di ogni idea e giudizio, mi piace citare le parole di Napoleone Bonaparte espresse dall’Elsilio di S.Elena :

“ L’Italia è una sola nazione. L’unità dei costumi, della lingua, della letteratura dovrà finalmente, in un avvenire più o meno prossimo, riunire i suoi abitanti sotto un sol governo “

Era chiaro quindi anche nella testa del Grande Napoleone, che i tempi delle divisioni e dei servaggi stranieri erano arrivati inevitabilmente alla fine dei loro giorni … ma come ?

Tra i primi a teorizzare la soluzione federalista, ma vista come fase iniziale al processo di unificazione, fu il Conte Gian Francesco Galeoni di Napione Cocconato, il quale, nel 1791, diede alle stampe in Torino uno studio dal titolo “Idea di una confederazione delle Potenze d’Italia”.
Ancora nel 1791-92 diede alle stampe, sempre in Torino un’opera in due volumi “Dell’uso e dei pregi della lingua italiana” quale legame di nazionalità.

Nel 1814, Benedetto Borselli di Savona, proponeva un’”associazione di Stati Italiani, con una Dieta di Sovrani, e di repubbliche, presieduta dal Pontefice”. Era il primo esempio di suggerimento al federalismo neo-guelfista.

Nel 1846, Vincenzo Gioberti, confermava questa teoria sul “Il primato morale e civile degli Italiani”, dove rilevava che l’Italia aveva in se tutte le condizioni del suo risorgimento nazionale e politico, senza ricorrere agli aiuti ed alle imitazioni straniere, e che l’unità italiana poteva essere realizzata dal Papa, sotto forma di una confederazione dei vari Stati.

Un’evoluzione dell’idea di Gioberti, si riscontra nel saggio “La Costituzione secondo la giustizia sociale, con un’appendice sull’unità d’Italia” che scrisse Antonio Rosmini Serbati a Napoli nel 1848. Il filosofo cattolico sosteneva (profeticamente) che l’unità sarebbe stata aiutata dal progredire dei mezzi di comunicazione che avrebbero ridotto le distanze, e dai matrimoni misti, che avrebbero attenuato le pur evidenti differenze di carattere degli Italiani.

Alla scuola neo-guelfa, si contrappongono le concezioni federaliste laiche di Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo (Milano), che non ravvisavano la necessità di un organo comune tra le varie repubbliche (che sognavano), ma ritenevano fosse sufficiente il sentimento di necessità e mutuo soccorso di fronte al pericolo straniero !
Carlo Cattaneo in effetti nutriva una forte avversione nei confronti dei vicini Savoia, ed a lui è attribuito il disegno di una Lega di Stati Italiani, uniti sotto la presidenza dell’Imperatore d’Austria.
Questo concetto è il tema di diversi scritti apparsi su “Il politecnico”, un periodico di Milano del tempo.

Chi si opponeva radicalmente alle tesi Federaliste era Giuseppe Mazzini. Egli infatti ravvisava un nesso tra il frazionamento dell’Italia ed il suo servaggio…. Nell’individualismo degli Italiani stessi “che si nutre di tutte quelle gelosie, gare e vanità di città e di municipi, passioncelle abbiette e meschine che brulicano nella penisola come vermi nel cadavere di un generoso”.

Quindi, tendenza al frazionamento e decadenza italiana camminano su due rette parallele, e la conclusione di Mazzini era “solo l’unità e soltanto la repubblica possono assicurare durata alla libertà e all’indipendenza”.

In conclusione, le correnti di pensiero che agitarono la nostra penisola e prepararono il Risorgimento italiano, si polarizzarono intorno a due punti fondamentali : unità e federazione. Il 1848 fu l’anno d’oro delle concezioni federaliste, ma segnò anche l’inizio del loro declino per la sconfessione del programma neo-guelfo da parte di chi avrebbe dovuto orchestrare (Pio IX) e per il fallimento del primo esperimento di azione federale (campagna militare del 1848-49)

Il Risorgimento

E veniamo proprio alla prima campagna militare, nella quale S.M. il Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia Carignano, uno dei fautore del federalismo neo-guelfo, si lanciò generosamente nella prima guerra d’indipendenza, al richiamo dei moti e degli innumerevoli subbugli contro lo straniero ….Il 23 marzo 1848, Re Carlo Alberto volle assegnare al suo esercito il tricolore italiano, quale segno evidente che non era intenzione conquistare, ma “costruire” a proprio rischio e pericolo, la realizzazione dell’agognata indipendenza, se possibile in collaborazione con gli altri Regni sovrani della penisola. Egli infatti afferma :
“E per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell’unione italiana, vogliamo che le nostre truppe, entrando sul territorio della Lombardia e della Venezia, portino lo scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana”.


Ed effettivamente la prima parte della campagna, vide in campo non solo l’armata Sarda, ma al suo richiamo, risposero il Regno di Napoli, con un corpo al comando del Generale Pepe, ed anche lo Stato Pontificio, inviò il suo, al comando del Generale Durando.
Questa partecipazione congiunta, di diversi Stati, più quella dei numerosi volontari da ogni parte dell’Italia, e persino dalla Dalmazia consentì numerosi e brillanti successi. Questi successi però, fecero anche sorgere gelosie e preoccupazioni nei Principi, i quali ritirarono l’adesione all’iniziativa, passando di fatto dalla parte dello straniero, deludendo non poco le speranze e le illusioni dei rivoluzionari, ma anche di casa Savoia.

Ancora il 1° Febbraio 1849 comunque, alla ripresa delle operazioni militari, Carlo Alberto di Savoia, ormai solo contro il nemico Austriaco, auspicava ancora al ricomponimento dell’originario programma neo-guelfo affermando nel Discorso della Corona in Parlamento : “Ci aiuteranno nel nobile arrigo l’affetto e la stima delle nazioni più colte ed illustri d’europa, e specialmente di quelle che ci sono congiunte coi vincoli comuni della nazionalità e della patria. A stringere viemmeglio questi nodi fraterni intesero le nostre industrie; e se gli ultimi eventi dell’Italia centrale hanno sospeso l’effetto delle nostre pratiche, portiamo fiducia che non siano per impedirlo lungamente”, e più oltre a conclusione del medesimo discorso affermava ancora : “La confederazione dei Principi e dei Popoli Italiani è uno dei voti più cari del nostro cuore e useremo ogni studio per mandarle prontamente ad effetto”

E’ chiaro quindi che il Regno di Sardegna ed i Savoia aderendo a questo principio, manifestavano la volontà di realizzare l’unità Italiana non contro gli Stati preesistenti, ma con il loro coinvolgimento e se possibile con la loro collaborazione.

Possiamo così affermare che a causa delle autorevoli defezioni a questo programma, si giunse alla sconfitta di Novara e con essa alla fine di tutte le speranze “italiane”. L’indipendenza fu quindi compiuta dal Piemonte e da casa Savoia, che rispondendo “Al grido di dolore” proveniente dall’Italia oppressa, disponevano delle armi, della diplomazia ma soprattutto perchè avevano affrontato l’impegno storico con una preparazione culturale, un programma ed una concretezza assolutamente assenti tra i rivoluzionari, sognatori e velleitari e dall’atteggiamento di tutti i Principi intriso di rancori per poter raccogliere attorno alla loro bandiera forze sufficienti al conseguimento degli obiettivi fissati.