Milano 1898 - 6, 9 maggio

I fatti di Milano del 1898 sembra sorgano dalle nebbie del tempo. Tutti ne parlano (male), ma nessuno sa nulla di preciso. L’odierna vulgata politicamente corretta e della sinistra in generale attribuiscono la responsabilità a Sua Maestà il Re Umberto I (mandante) e al Generale Fiorenzo Bava Beccarsi (esecutore).
Siccome personalmente mal sopporto queste verità costruite sul nulla non ci ho mai creduto. Ho continuato invece con ostinazione a cercare notizie ed informazioni su questo episodio, scontrandomi spesso con l’intolleranza e i pregiudizi più biechi del mio tempo…
I libri di storia ufficiali dell'Italia che ho vissuto (repubblicana) affermano che il Re ordinò la repressione, e Bava Beccaris sparò coi cannoni sulla folla di operai affamati che protestavano per il rincaro del prezzo del pane e la sua mancanza.
Ricerche accurate e documenti del tempo che ho avuto il piacere di poter visionare su questi fatti però, portano a conclusioni assai diverse e sicuramente non di parte.
Gli articoli del Corriere della Sera dell’epoca ad esempio sono parecchio eloquenti in proposito, tanto che il giornalista napoletano Eugenio Torelli Viollier, (fondatore dello stesso giornale) che in quei giorni scrisse senza censure, fu costretto in seguito a dare le dimissioni su pressione dei reazionari per non aver ceduto alle loro imposizioni.
Insomma di balle questo Italiano, non ne voleva scrivere, …ecco lo scandalo, altro che cannonate e la repressioni per ordine di SM il Re Umberto I !
Per inquadrare bene il fatto in se, e bene parlare soprattutto dei protagonisti. Del povero Beccaris ne parlano tutti, anche i più ignoranti. E’ sufficiente infatti “inventare” qualche maldicenza nei suoi confronti per essere creduti degli intellettuali o storici affermati.
Di SM il Re pure, ma eviterei di scrivere di lui in quanto completamente estraneo alla vicenda e lo vedremo in seguito.
Oltre ad essi però è bene parlare anche delle personalità istituzionali religiose allora in carica in Milano, ognuna con le sue responsabilità, tutti sconosciuti o volutamente dimenticati dai più, per poter sparare sull’obbiettivo più ambito dal sistema “repubblica” : Casa Savoia
Queste personalità come vedremo offrono spunti curiosi nella
loro personalità e nelle loro professionalità circa il risultato di questo doloroso evento. Esse sono :

Il Regio Prefetto Antonio Winspeare
Il Questore Vittorio Minozzi
Il Sindaco Giuseppe Vigoni
L'Arcivescovo Andrea Carlo Ferrari

Prima di passare ai fatti ed ai personaggi mi sembra giusto comunque premettere che la città di Milano faceva parte del Regno d'Italia. Istituzionalmente quindi ci troviamo di fronte ad una Monarchia Costituzionale (Statuto Albertino) in cui il Re era Capo dello Stato e aveva il solo compito di regnare, mentre il Governo, espressione del libero voto dei cittadini aveva il compito di governare.
A livello cittadino e provinciale, la situazione non era molto diversa da quella attuale, il responsabile dell'ordine e della sicurezza pubblica infatti era il Prefetto, che si avvaleva del supporto tecnico ed operativo del Questore.
La proclamazione dello "Stato d'Assedio" era assoluta prerogativa del Governo, e non del Capo dello Stato. Questo poteva essere richiesto dalle autorità locali, laddove queste si riconoscessero incapaci di fronteggiare e risolvere a buon fine una situazione di pericolo sociale o istituzionale.
La proclamazione dello "Stato d'Assedio" prevedeva (come potrebbe essere oggi) il passaggio delle prerogative prefettizie alla più alta carica militare dimorante in loco, nominata nell'occasione Regio Commissario Straordinario.
Detto questo, secondo me, tre sono i punti fondamentali dell’accaduto :
il numero dei Morti,
l’uso effettivo del Cannone,
il Volantino rivoluzionario che incitava il popolo alla rivolta.

Il Regio Prefetto,
Sua Eccellenza il Barone Antonio Winspeare
Il responsabile dell'ordine e della sicurezza pubblica nel capoluogo Lombardo durante i fatti in oggetto. Naturalmente nessuno di coloro che “sparano” su Umberto I e Beccaris hanno mai sentito parlare di costui. Ssingolare no ?
Winspeare, come moltissimi degli altri alti dignitari ex Borbonici, aveva una concezione del "servire lo Stato" molto diversa da quella dei suoi omologhi colleghi Sabaudi. Egli vedeva nell'incarico pubblico, un riconoscimento non del merito, ma dell'importanza della sua famiglia, un'ulteriore distinzione sociale, spesso assommata a quella già presente delle nobili origini, un mezzo per poter ottenere ed elargire benefici, un simbolo della sua vicinanza al Re.
Il fatto che tale carica comportasse oneri spesso immani e necessitasse di competenza, abnegazione, senso dello Stato e profondo spirito di sacrificio non passava neppure per l’anticamera del suo cervello.
Egli infatti restava concentratissimo sui benefici dati dalla carica in se, e rinunciava volentieri agli oneri derivanti dalla stessa.
Antonio Winspeare, quindi, nato nel 1840, allevato su tali “solidi principi” e appoggiato da numerosi ed influenti padrini politici, fece strabiliante carriera : Sindaco di Napoli, poi Prefetto di Torino, di Milano, di Venezia, infine Prefetto di Firenze fino al raggiungimento dei limiti di età.
Emblematico, presuntuoso e altezzoso, interveniva con estremo decisionismo su questioni di infima importanza, mentre quando la situazione era davvero meritevole della massima attenzione ed estrema decisione, si sottraeva a qualsivoglia responsabilità.
I suoi rapporti con la più alta carica mlitare in sede, il Generale Fiorenzo Bava Beccaris comandante il III Corpo d'Armata, non erano idilliaci. Winspeare, infatti pur richiedendo spesso consigli al Beccaris, quasi disprezzava il soldato che in lui c’era, …che per di più era Piemontese !
Il 5 Maggio 1898, all'inizio della crisi, con tumulti in molte città d'Italia anche per l'elevato prezzo del pane, il Generale Bava Beccaris consigliò nuovamente il al Prefetto (l’aveva già fatto più volte nei giorni precedenti) di rinunciare alle tasse comunali sul pane. A Milano il peso di tale tassa superava il 25% !
Con una semplice e legittima ordinanza infatti si sarebbe diminuito di un quarto il prezzo della pagnotta e, verosimilmente, anche i dimostranti più accesi sarebbero rimasti senza “movente” ed avrebbero dovuto tornata a casa impossibilitati ad attuare i loro progetti rivoluzionari.
Il Prefetto Winspeare guardò beffardo il Generale Beccaris e, nella più tipica parlata napoletana disse :
"Ma Generale, cosa mi dite, i milanesi sono troppo grassi per far la rivoluzione !".

Il Questore di Milano,
Vittorio Minozzi
Esile e minuto, fece carriera nelle Forze dell'Ordine, distinguendosi per una certa perseveranza nelle sue indagini.
Le sue fortune le deve sicuramente anche all'impeto con cui immediatamente sposava ogni teoria di complotto e di rivoluzione imminente. Normalmente caldeggiate da chi aveva interesse a tenere a bada le masse operaie del tempo, da ricercarsi tra l'opulenza della borghesia Milanese. Questa infatti ne aveva qualcuna in più di Re Umberto, che oggi viene additato come "nemico del popolo"
I suoi rapporti con il Prefetto erano formali, quelli con il Generale Bava Beccaris ambivalenti: Minozzi risentiva della sicurezza e della decisione del Beccarsi, e reagiva trattandolo con distacco e non perdendo occasione di rimarcare come questi dipendesse da lui fino ad un'eventuale proclamazione dello Stato d'Assedio.
Minozzi era colui che operativamente avrebbe dovuto garantire l'ordine e la sicurezza pubblica in Milano, disponendo di un'adeguata Forza Pubblica e di un notevolissimo contingente militare, messo dal Governo ai suoi ordini. Tale contingente, già integrato col richiamo di Alpini e Bersaglieri della Classe da poco congedata, fu ulteriormente rinforzato come da sua richiesta. Di fatto però, si dimostrò indeciso, privo di strategia ed iniziativa. In definitiva incapace di impiegare a prevenzione e con efficienza la considerevole forza a suo disposizione.
A lui comunque ed a lui soltanto si deve la chiusura di alcuni giornali Milanesi considerati sovversivi, quali "Il Secolo", "Lotta di Classe", "Italia del Popolo", "L'Uomo di Pietra" e "Critica Sociale". Avete mai sentito nei libri di storia ufficiali parlare di questo personaggio ?

Il Sindaco di Milano,
Giuseppe Vigoni

Ingegnere, soldato, viaggiatore e esploratore africano, alpinista, Giuseppe Vigoni aveva allora 52 anni ed era Sindaco di Milano per la seconda volta. Politicamente corretto diremmo oggi, aveva caratterizzato la sua amministrazione con corteggiamenti rivolti a tutte le parti in causa, dai borghesi ai commercianti, agli industriali, alle masse operaie, al clero.
”Attento” amministratore, nel 1896 aveva invitato la guardia daziaria a applicare con più solerzia il regolamento comunale, che prevedeva la tassazione di ogni quantitativo di pane superiore al mezzo chilo a testa importato nel comune.
Gli operai delle fabbriche milanesi, in gran parte provenienti da fuori città, avevano l'abitudine di portarsi dietro il pasto, costituito da due pagnotte di pane, dal peso tradizionale di 380 grammi l'una, per un totale di 760 grammi.
Tale peso esorbitava di 260 grammi dal massimo consentito e venne tassato.
Scoppiarono proteste con morti e feriti, il Sindaco tornò sui suoi passi, e le guardie ripresero a chiudere un occhio.
Nel 1897, per non limitare le possibilità delle mense alle scuole comunali, sospese i contributi al Teatro alla Scala dicendo : "I signori che ci vanno se lo paghino", facendo finta di non sapere, che i signori di fatto potevano sopportare l’aumento, ma il popolo che fino a qualche anno prima riempiva il loggione gratis non poté più fruire degli spettacoli !
Durante la sommossa, il comportamento di questo “politicante” vero precursore dell’odierna classe dirigente e politica di questa repubblica, fu di estrema ipocrisia riuscendo a non prendere nessuna decisione.
Compì addirittura un miracolo acrobatico, richiedendo lo Stato d'Assedio senza richiederlo.
Nessuno riuscì mai a contestarglielo...
Il suo telegramma al Consiglio di Ministri, datato 7 Maggio 1898, ore 16:10, invoca non meglio specificati "solleciti provvedimenti". Pochi minuti prima, Vigoni aveva convenuto con Winspeare, Minozzi e Bava Beccaris sulla necessità della proclamazione dello Stato d'Assedio, ma si guardò bene dal richiederlo apertamente per iscritto !
La patata bollente fu tratta dal Beccaris che, alle ore 16:45, telegrafò esplicitamente al Ministero della Guerra sulla necessità della proclamazione dello Stato d'Assedio.
I detrattori del Generale Bava Beccaris, vogliono interpretare questa azione come una sorta di colpo di mano militare.
Il Generale non aveva l'autorità per inoltrare tale richiesta è vero, ma di fronte alle autorità che, pur avendone ravvisato la necessità, rifuggivano dalle proprie responsabilità nascondendosi tra loro e perseverando nel loro torpore, l’uomo d’azione Beccaris, agì.
Conoscevate Giuseppe Vigoni ?

L'Arcivescovo di Milano,
Sua Eminenza il Cardinal Andrea Carlo Ferrari.
Pur non essendo una carica Istituzionale con poteri decisionali sul mantenimento dell’ordine pubblico, è giusto attribuire a quest’uomo le proprie responsabilità, circa le azioni che in favore d’essa avrebbe potuto compiere ma che non compì. Al tempo infatti occorre considerare l’estrema importanza ed influenza della Chiesa Cattolica nel tessuto sociale, anche in una città come Milano, moderna, operaia e già allora fortemente politicizzata.
La sua nomina a Milano, destò enorme stupore negli ambienti ecclesiastici e politici : il candidato principale, infatti, pareva il Vescovo di Pavia Agostino Riboldi o, in subordine, il Vescovo di Cremona Geremia Bonomelli.
Però Riboldi e Bonomelli erano fieri rappresentanti delle due correnti che laceravano il clero in quel periodo: liberale e favorevole al riavvicinamento del Vaticano al Regno d'Italia Bonomelli, conservatore e contrario ad ogni concessione Riboldi.
Papa Leone XIII, probabilmente per non schierarsi apertamente con alcuna delle due fazioni, scelse Ferrari, che rappresentava solo se stesso.
Gli scontenti di tale nomina, individuando nel Cardinal Ferrari una personalità negativa, sostengono che dimostrava simpatie Monarchiche, abbracciando la causa del concordato tra Chiesa e Stato. Falso, come sempre, tanto e vero, che nel 1894, poco dopo la sua nomina, all’inaugurazione in Milano del monumento a Re Vittorio Emanuele II, Padre della Patria, scomunicato da Santa Madre Chiesa, il Cardinal Ferrari con forte indignazione abbandonò la città, per non dover esser testimone di tale evento.
Le sue fughe divennero un'abitudine, ed infatti quando il 7 Maggio 1898 la città era ormai in preda a gravissimi disordini, Sua Eminenza, pensò bene di andare a compiere una visita pastorale alla Parrocchia di Asso, nel comasco, a distanza di sicurezza…
Anche la Chiesa milanese così, rimase senza guida e senza disposizioni, e la visita pastorale durò molti giorni !
Dal suo rifugio di Asso, non mancò di far giungere al Generale Bava Beccaris i sensi della sua approvazione per l'opera di pacificazione apportata alla città : "Lontano dalla città fin da sabato u.s. quando non potevo prevedere i luttuosi fatti, che misero in tanta costernazione codesta cittadinanza, sento il dovere ed il bisogno di significare all’E.V. che provvidamente tiene il governo della provincia militarmente, la sincera e piena mia adesione agli alti sentimenti di ordine di giustizia ai quali si ispira nel compiere il gravissimo suo ufficio e di rinnovarle gli ossequi ed i voti espressi già nel telegramma di stamani. Le presento rispettosi ossequi, facendo voti che come l'illuminata opera sua risparmiò più gravi disastri, così possa ricondurre la sospirata calma".
A questo messaggio il Generale replicò secco : "Io deploro vivamente che una male augurata combinazione non abbia permesso all’E.V. di trovarsi in città durante i dolorosi giorni ora trascorsi. Sarebbe stato di somma utilità che il clero milanese, ricevendo un diretto impulso da chi siede sulla cattedra di Sant’Ambrogio e di San Carlo, avesse pronunciato, senza ritardo, una parola di pace, ed offerto il suo ministero per abbreviare una cruenta lotta fratricida".
Il comportamento dell'Arcivescovo fu addirittura censurato dal Papa Leone XIII : "In sì critici momenti, Noi avremmo desiderato che Ella, signor Cardinale, si fosse potuto trovare nella Sua diletta Milano, conciliatore di pace e apportatore di conforto". Ma tant’è, anche di questo “eroe” nessuno si ricorda più !

Il Comandante il III Corpo d'Armata,
Sua Eccellenza il Generale Bava Beccaris Fiorenzo.
Di nobile famiglia piemontese, nato a Fossano nel 1831, entra a 14 anni nella Regia Accademia Militare di Torino, (per chi non lo sapesse, …la più antica Accademia Militare del mondo) ne esce Sottotenente di Artiglieria. Questo denota le buone capacità intellettuali del Beccaris, in quanto l'Artiglieria, da sempre considerata "l'Arma dotta", raccoglieva i cadetti dal profitto più elevato.
Bava Beccarsi, partecipa alla II e la III Guerra d'Indipendenza e, nonostante operasse in seconda linea, come la sua Arma di appartenenza richiedeva, viene decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare. Per un Ufficiale dell'Armata Sarda ottenere un riconoscimento al valore era impresa estremamente difficile, l'eroismo di un Ufficiale infatti era considerato normale servizio, niente più dell'aver fatto il proprio dovere.
Il fatto poi che gli fosse conferito l’incarico di comando del III Corpo d'Armata fa giustamente ritenere che Bava Beccaris godesse della più alta considerazione presso il Ministero della Guerra e il Consiglio dei Ministri.
I molti detrattori e pochissimi difensori di oggi, concordano su poche cose. Una però è la sua pronta reattività, per alcuni esagerata, e la sua straordinarie capacità operative. Per cui le accuse di scarsa iniziativa, assenza di personalità e mentalità burocratica non trovano riscontro ne nei precedenti di carriera di Bava Beccaris, e neppure nelle sue azioni in Milano nel 1898.
Il Generale era considerato rigido, ma era altresì adorato dalla truppa.
Calmo, energico, sereno e generosissimo. "Indulgente, buono, affabile e paterno", lo descrive un Ufficiale, che ricorda l'episodio di un povero soldato a cui era morta la madre, e piangeva desolato perché non aveva i soldi per andare ai funerali. Bava Beccaris lo convocò a rapporto e, con la lettera di licenza, gli diede di tasca sua i soldi per il viaggio.
Amava la moglie e adorava i figli ed era religioso. Pretendeva molto dai suoi Ufficiali ma li difendeva anche con le unghie. Più volte all'anno li invitava, a ristorante a sue spese.
I fatti di Milano lo provarono profondamente. Si ritirò nella sua villa di Monforte d'Alba.
Nello scrivere le sue Memorie, si soffermò parecchio sui fatti di quel Maggio 1898, esponendoli con serenità e meticolosa precisione.
Ad essi allegò anche le molte lettere e messaggi ricevuti da autorità e cittadini dopo quei giorni difficili.
Di queste, solo una lettera, scritta in un italiano estremamente fiorito e poetico, e' piena di insulti.
Centinaia sono di ringraziamento e plauso.
Molte sono addirittura di associazioni operaie e opere di carità, altre sono di umili popolani, scritte in italiano stentato.

Veniamo ai fatti…
Come è giusto, ogni situazione deve essere inserita nel suo contesto storico, senza questa importante presa di coscienza di chi scrive e di chi legge, i fatti potrebbero essere malamente riportati e sicuramente mal interpretati.
Questa mia precisazione può sembrare banale, ma l’ambiguità utilizzata in molti scritti moderni di questi fatti, gioca parecchio su questo “equivoco”, al fine di deformare pesi, misure e situazioni.
Ricordiamo che al tempo non c’era televisione ne il giornale radio, non c’era Internet ne altri sistemi di sorveglianza. Le autorità in loco a Milano, così come il Governo a Roma, si muovevano e prendevano le dovute decisioni volando a vista, si dice in aeronautica, cioè in assenza totale di strumentazione. In compenso, stava scoppiando una rivoluzione, e le rivoluzioni nascono in piazza e per le vie delle città, sempre allo stesso modo, anche oggi.
Come vedremo, grazie al Generale Bava Beccarsi, la rivoluzione non ci fu, e oggi, gli storici disonesti negano questa semplice e incontrovertibile realtà sostenendo che non c’era rischio di rivoluzione perché come abbiamo detto rivoluzione non ci fu.
L’ipocrisia insomma di coloro che vogliono apparire politicamente corretti o alla moda dell’ultima “corrente”!
Fatta questa premessa (doverosissima), la situazione all’alba dei fatti appare la seguente :

1) Internazionalmente la Francia cerca in tutti i modi di staccare l’Italia dalla Triplice Alleanza. L’Italia infatti a seguito dei fatti riguardanti l’occupazione francese della Tunisia, aderisce quasi per ripicca all’alleanza con l’Austria e la Germania (acerrima nemica della Francia) La Francia quindi mira a indebolire l’Italia con tutti i mezzi leciti e illeciti, non ultimo l’inasprimento dei dazi doganali che, sommato a annate di sfortunata carestia e alle difficoltà di trasporto dovute alla guerra ispano americana, moltiplicano il prezzo del pane.

2) in Marzo, cadeva il cinquantenario delle 5 giornate di Milano.
Determinate forze politiche, così come succede oggi con la ricorrenza della Resistenza tentano di appropriarsi di questi fatti gloriosi. Alle celebrazioni ufficiali seguono infatti quelle provocatorie di repubblicani e socialisti.
Il deputato Siliprandi in occasione scrive : “Una parte notevolissima della borghesia lombarda è repubblicana. Essa vanta tradizioni patriottiche indiscutibili, abilità grandissima di procedimenti. L’utopia mazziniana è quasi spenta nelle nostre province, ma il positivo pensiero di Carlo Cattaneo vive robusto e spontaneo tanto che molti lo nutrono inconsciamente. Essa è magnifica pianta che facilmente alligna e cresce rigorosa nel campo lombardo. Tradizione monarchica nazionale in queste province non vi fu mai; sede recente di una repubblica rivoluzionaria e guerriera, vissuta poi per cinquant’anni in ribellione perenne, fornitrice di pressocché intieri repubblicaneggianti eserciti volontari, durante la guerra del risorgimento italiano, lo spirito di resistenza è cosa facilissima a destarsi in esse...”.

Quest’ultimo punto si commenta da se.
Già allora le falsità repubblicane erano una norma :
“…repubblica rivoluzionaria e guerriera (…)” per indicare sicuramente la repubblica cisalpina, stato fantoccio di Napoleone, vassallo della Francia e del terrore rivoluzionario. A quel tempo l’ordine era gestito da 25.000 soldati francesi di presidio mantenuti dalla repubblica cisalpina, mentre un esercito italico cisalpino pagato sempre dalla stessa repubblica di ben 40.000 uomini aveva “l’onore” di farsi massacrare per la grandezza di Napoleone, e della Francia fin nelle steppe russe.

3) Maria Sofia di Wittelsbach, vedova di Franceschiello di Borbone, che ancora schiuma rabbia per il trono perduto e che non perde occasione per sostenere con il suo ancora immenso patrimonio ogni possibile causa anti-Sabauda. Nel suo esilio dorato di Nueilly-sur-Seine ospita e sovvenziona un’orrida accozzaglia di briganti, rivoluzionari da operetta e soprattutto anarchici e nichilisti, …altra moda snob della vicina Francia giacobina.
Proprio agli anarchici elargisce una cifra vertiginosa, come scrive Petacco : “Alla vigilia dei fatti di Milano, Maria Sofia firmò un assegno di 120.000 franchi, avallato dal banchiere Rothschild, per l’acquisto di veicoli automobili da armare con mitragliatrici e poi farli intervenire in Piazza del Duomo e a Porta Venezia a favore degli insorti”. Fortunatamente questi mezzi non si videro in piazza, e dobbiamo dedurre che la “povera” Sofia sia stata gabbata da questi galantuomini…

4) Il 1° Maggio era già allora “festa dei lavoratori”, come sancito dalla Seconda Internazionale. Milano è città operaia. La propaganda repubblicana e socialista martella incessante, mestatori e provocatori si infiltrano tra gli operai, fino ad allora generalmente tranquilli e consapevoli della loro situazione di relativo privilegio rispetto alla grandissima parte degli altri “proletari” italiani.
I salari in Milano infatti sono i più elevati d’Italia.
Iniziano sobillazioni e piccoli sabotaggi in fabbrica. Il primo Maggio, le manifestazioni sono abbastanza pacifiche, e non si registrano incidenti, ma l’imponente presenza operaia è un’indiscutibile dimostrazione di forza.
La situazione si fa esplosiva, e ben lo sanno i vertici del partito socialista, dal momento che tale miscela detonante l’hanno preparata loro.
Il 2 Maggio la situazione precipita.
Con perfetto e sospetto sincronismo, il Nord Italia insorge. A Parma sono le operaie ad attaccare sparuti drappelli di Carabinieri Reali. In Toscana, Emilia, Veneto e anche a Torino le maestranze scendono in piazza.

5) E’ un periodo in qui il dialogo parlamentare è un vero inferno (altro che oggi…) Deputati che inscenano vergognose gazzarre gridando “Abbasso il Re” e inneggiando chiaramente alla rivoluzione (si pensi a una situazione simile adesso, con grida di “abbasso Napolitano” e “morte alla repubblica”, si ripristinerebbe il confino politico dei malaugurati responsabili). L’odierno Deputato Francesco Storace ne sa qualcosa…

6) Rivolte già in atto a Bari, Faenza, Palermo, Napoli, Pesaro, Ferrara, Piacenza, Pavia, Torino, Parma, Ancona, Bologna, Firenze, Macerata, Foggia, Senigallia, Minervino Murge, Rimini, Ravenna e Molfetta.

7) Dispacci diplomatici che segnalano colonne di anarchici e socialisti in arrivo dalla Svizzera (Canton Ticino) e da altri paesi europei per alimentare le sommosse.

8) Il Vaticano addirittura che sorride agli anarchici, e non fa mistero del suo appoggio a una svolta repubblicana in Italia, pur di punire Casa Savoia, dolorosissimo simbolo della fine del potere temporale dei Papi.

Da ciò il Governo a Roma pare seriamente preoccupato e invia nella serata stessa del 2 maggio un telegramma a tutte le Prefetture. Ecco il testo : “Quando, per gravi e persistenti disordini, che si estendono ad un’intera città o a più luoghi della stessa provincia, siansi verificate colluttazioni con forza pubblica e intervento truppa non sia riuscito a ristabilire immediatamente ordine, autorità politica potrà, per maggiore prontezza e unità d’azione, affidarne il ristabilimento all’autorità militare, annunciando il procedimento con pubblico manifesto. Questo provvedimento, che i Sigg. Prefetti possono prendere sotto la loro responsabilità, non deve alterare o modificare i loro poteri e loro doveri, mentre compito autorità militare deve rimanere circoscritto agli atti necessari per l’impiego della forza pubblica”.

Nonostante tutto, a Milano regna ancora la ragione e la calma.
Milano però, nei disegni anarchici, rivoluzionari e filo francesi, occupa una posizione vitale. Città industriale e operaia, senza una grossa tradizione monarchica come poteva essere invece Torino, è vista come ideale punta di lancia per scardinare l’intero Stato e abbattere la Monarchia.
Se insorge Milano l’Italia tutta seguirà a ruota !
Questa è la convinzione e la speranza di repubblicani e socialisti. I quali però sono costretti ad assistere, con rabbiosa frustrazione, alla dimostrazione di operosa calma delle maestranze operaie, che malgrado siano costantemente sobillate e provocate continuano a lavorare…
Le manovre dei sobillatori non sfuggono al Generale Bava Beccaris, che intuisce perfettamente il pericolo dell’esplosiva situazione, …egli capisce che le forze eversive e rivoluzionarie stanno sfruttando isolati incidenti, facendo leva sull’alto prezzo del pane. Questa però è più che altro una scusa.
Si reca dal Regio Prefetto, Antonio Winspeare, e lo invita come abbiamo già detto a rinunciare al dazio comunale sulla pagnotta. Ma sappiamo anche quale fu la risposta del Prefetto Winspeare.
Intanto in tutta Italia, e specialmente al Nord, i tumulti aumentano.
Lo stato d’assedio è già in vigore in 23 province. Il 5 Maggio a Soresina e Pavia si registrano i primi morti.
A Pavia, in particolare, durante un comizio socialista non autorizzato, muore Muzio Mussi, figlio del vice-presidente della Camera, il radicale Giuseppe Mussi. Ovviamente come succede oggigiorno, questo “figliolo” era un bravo ragazzo, e ovviamente stava passeggiando in zona per caso.
La notizia della sua morte, immediatamente strumentalizzata suscita grande impressione a Milano, ma la rivoluzione non scoppia ancora...
I socialisti allora, decidono che i tempi sono maturi per calare l’asso. Viene infatti distribuito un volantino che è riduttivo definirlo esplosivo, Eccone alcuni brani : “Cittadini ! Lavoratori! La rivolta serpeggia nel paese. È la rivolta della fame e della disperazione. Il governo del Re risponde – al solito – con l’eccidio scellerato dei supplicanti “pane e lavoro”, con lo stato d’assedio instaurato in 4 province, con provvedimenti d’elemosina figli della paura. Da 10 anni alla Camera e nel paese i socialisti denunciano nel dazio di confine sui cereali la cagione precipua che mantiene nell’accidia l’agricoltura e la fa impotente a sfamare le popolazioni. Ma la soppressione di quel dazio, limitata a qualche mese, è una burla feroce all’incoscienza popolare. Il paese manca di lavoro soprattutto perché il militarismo prosciuga tutte le fonti della produzione. I socialisti reclamano sempre l’abolizione delle spese militari. Ma il governo del Re – che neppure seppe liquidare la questione africana – per domare le rivolte che le esigenze del militarismo hanno provocato, richiama altri 40.000 uomini sotto le armi, nuova promessa di massacri. Il governo del Re ha preparato le rivolte. Esso le ha volute e le vuole. Sono opera sua. La responsabilità del sangue che esso versa in questi giorni ripiomba tutta sul suo capo. Cittadini ! Lavoratori! Stringetevi compatti attorno alla bandiera socialista, sulla quale è scritto: rivendicazione dei diritti popolari – restaurazione della libertà e della giustizia – abolizione di tutti i privilegi – guerra al militarismo – suffragio universale! Giorni gravi si appressano. Il paese salvi il paese. I socialisti milanesi”.
È un chiaro, netto, inequivocabile invito alla rivoluzione, all’eversione !
E infatti rivoluzione fu !
In sostanza, circa 90.000 manifestanti in tutto con movimento da fuori città verso in centro, tentano di occupare l’intera metropoli, ma il Generale Fiorenzo Bava Beccaris divenuto nel frattempo Regio Commisario Straordinario, non potendo bloccare l’entrata in città dei rivoltosi, si porta sulla piazza del Duomo a cavallo, occupa saldamente il centro città con le truppe in suo possesso mentre cattura con rapida operazione di polizia tutti coloro che valutò presuntivamente quali capi ed organizzatori della sommossa, Turati, De Andreis, Costa, la Kuliscioff ed altri ancora.
Quindi partendo dalla Piazza del Duomo in posizione centrale, passò a rastrellare una dopo l’altra le vie cittadine, riuscendo a riconquistare nel giro di 2 giorni il controllo e a ristabilirvi l’ordine.
Come ho premesso, per stabilire le giuste responsabilità, o dare il giusto peso dei fatti in se, tre sono i punti salienti :

Il numero dei Morti
Il computo ufficiale dichiara 80 decessi.
Paolo Valera (giornalista dell’Epoca) scrive di 118. Ma, per sua stessa ammissione, Valera trae questo numero dal resoconto dei decessi giornalieri fornito degli ospedali e dall'obitorio comunale. Riconosce inoltre che le teorie di morti seppelliti sommariamente o portati fuori da una città in stato di assedio non sono assolutamente verosimili.
Il fatto è che Milano allora, era una città con quasi mezzo milione di abitanti, con il suo metabolico fardello di 15-20 morti al giorno. Considerando che i fatti si svolsero nell'arco di 4 giorni (dal 6 al 9 maggio), pare ovvio che ai morti effettivi della repressione si aggiungano un considerevole numero di morti per cause naturali o accidentali.
Ritengo pertanto che volendo prestare fede al numero più elevato di 118 morti indicati da Paolo Valera i morti effettivi dovuti alla repressione debbano essere molti meno, di quanti generazione dopo generazione sono “utilizzati” per fare la storia ufficiale e distribuire le conseguenti patenti di sanguinario !
I morti comunque occorrerebbe sempre evitarli, ma tant’è.

L'effettivo uso del cannone.
Sull’uso dell’artiglieria, gli “storici” si sono sbizzarriti !
Romano Bracalini si spinge a scrivere che "quella domenica (l'8 maggio) il cannone tuonò per otto ore". Facciamo due conti, vi furono 80 morti, di cui 2 poliziotti e un fante, quindi 77 cittadini.
Uno (Silvestro Savoldi) morì il 6 maggio.
Colajanni dice che in soli due ospedali di Milano (Maggiore e Fatebenefratelli) il 7 furono portati 12 morti. Non si sa quanti altri furono condotti presso altri ospedali o direttamente all'obitorio. Probabilmente alcune decine, ma supponiamo pure - per assurdo - che non ve ne fu alcuno. Anche in tale caso, l'8 e il 9 non morirono più di 64 persone, che è certamente un numero spaventoso, ma., vi sembra verosimile che otto ore di cannoneggiamento contro una folla di decine di migliaia di persone abbiano provocato meno di 64 morti ?
Possiamo credete per esempio, che se al G8 di Genova del Luglio 2001 avessero ordinato alle Forze di Polizia di far fuoco sui dimostranti (nel legittimo esercizio della legge) ci sarebbero stati meno di 64 morti ? A Genova peraltro non c'erano cannoni...
Per fare ancora esempio, diciamo più calzante, circa l’uso del cannone, è bene ricordare che un secolo prima, il giorno 13 vendemmiaio 1795, il Generale Barras (fervente repubblicano della prima ora), sparo a mitraglia sulla folla in Parigi che gridava “viva il Re” (già stufa delle follie rivoluzionarie evidentemente…) e si disse vincitore contemplando “montagne di cadaveri” …sono parole sue ! Si sa per certo infatti che in quell’occasione i morti furono migliaia !
In realtà pare assodato che a Milano le cannonate furono 6 : due a salve, due a mitraglia ad alzo elevato, che provocarono due vittime, e le due a palla contro il convento dei Cappuccini, che causarono tre morti, utilizzate per provocare una breccia nel muro di cinta e consentire ai soldati di riprendere il controllo del convento stesso.
Se veramente Bava Beccaris (come vuole la storiografia ufficiale) avesse ordinato alle batterie delle Voloire di sparare a mitraglia sulla folla, i morti sarebbero stati come successo a Parigi 103 anni prima diverse migliaia.
E se il cannone avesse tuonato per otto ore in città, Milano avrebbe avuto devastazioni immani. I documenti riguardanti i danni materiali in seguito ai fatti del 1898 invece ci parlano di tegole (perlopiù gettate in testa alle truppe dai rivoltosi, suppellettili utilizzate nelle barricate, vetrine infrante, tram ribaltati dai rivoluzionari, lampioni, insegne e pensiline pubbliche divelte dai manifestanti. Stop !

Il Volantino rivoluzionario
Nel processo seguito ai moti, Filippo Turati negherà la paternità di tale volantino. Occorre concordare che non l’abbia scritto lui. Le teorie economiche contenute in esso infatti sono talmente insensate e rozze che fan pensare ad una mano meno istruita del furbo avvocato milanese. Nemmeno Salvemini avrebbe potuto elencare tesi così strampalate, da quando in qua la super-produzione bellica genera disoccupazione ? Da quando i dazi sulle derrate agricole straniere danneggiano l’agricoltura nazionale ?
No impossibile, ma sicuramente sia Turati che Salvemini sapevano e approvarono.
La scusa ufficiale dei socialisti su tale volantino, vera e propria miccia che innescò i moti di Milano, fu che venne scritto d’impeto e con rabbia, sull’onda emotiva della morte di Muzio Mussi. Ma Mussi non è neanche lontanamente citato nel testo.
Le province segnalate in stato d’assedio indicate sullo stesso volantino sono 4, mentre il 5 Maggio (giorno in cui venne distribuito) sappiamo che erano già 23 !
È evidente quindi, che il volantino era stato studiato in precedenza, opportunamente stampato in grande quantità e tenuto pronto per la distribuzione in città nel momento giudicato più propizio.
In conclusione quindi possiamo parlare di premeditazione, …cinica premeditazione sulle spalle del popolo e degli operai di Milano per soddisfare l’orgoglio e la bramosia di potere di pochi irresponsabili. A questi signori quindi occorre addebitare i morti di questo evento doloroso della nostra storia. Vergogna eterna a loro e a tutti coloro che oggi pontificano il contrario per ignoranza ma anche e soprattutto per interesse di parte facendo finta di non sapere come si sono svolti i fatti.