No alla guerra di Vittorio Emanuele III

No alla guerra di VE III

1940, quando il Re progettò il golpe contro Mussolini
Due mesi prima dell'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale, Vittorio Emanuele III progettò davvero un 'golpe' per destituire Benito Mussolini e sostituirlo con il genero Galeazzo Ciano. Il tentativo fu messo a punto nei primi giorni del marzo 1940 e prevedeva che il passaggio di poteri avvenisse ''in maniera morbida'', attraverso una soluzione ''legalitaria'', accettabile anche da parte del dittatore fascista. Vittorio Emanuele cercò di convincere Ciano, allora ministro degli Esteri, grazie ai buoni uffici del conte Pietro Acquarone, ministro della Real Casa. La destituzione del Duce doveva avvenire durante una convocazione urgente del Gran Consiglio del Fascismo, che mettesse Mussolini in minoranza. Sul tentativo del re tramite Acquarone di giungere alla sostituzione di Mussolini è possibile leggere ora un documento inedito: si tratta delle confidenze rese negli anni Sessanta da Umberto II al giornalista Luigi Cavicchioli, pubblicate da ''Nuova Storia Contemporanea'', la rivista diretta dallo storico Francesco Perfetti.
Finora gli studiosi non avevano avuto la possibilità di indagare a fondo per mancanza di una esplicita documentazione, anche se alcuni passaggi del ''Diario'' di Ciano sono eloquenti. La testimonianza inedita di Umberto II a Cavicchioli - basata su ricordi diretti dell'allora Principe di Piemonte e sulle confidenze che gli furono fatte dal conte Acquarone - arricchisce il quadro, già tracciato dalla ricerca storica, di particolari importanti e consente di cogliere l'effettiva portata dell'operazione del marzo 1940: una sorta di '25 luglio' promosso da Vittorio Emanuele III tre anni prima di quello che effettivamente portò al crollo del regime e alla eliminazione di Mussolini. Per il suo rigido formalismo - oltre che per valutazioni di natura politica - Vittorio Emanuele III cercava un modo che fosse ''legalitario'' per sbarazzarsi di Mussolini, che non apparisse cioè come un ''colpo di Stato'', che insomma consentisse un passaggio ''morbido'' del potere nelle mani di personaggi come Ciano, ritenuti moderati e legati alla Corona. La confidenza di Umberto II, sottolinea lo storico Francesco Perfetti, rivela il contenuto del colloquio fra Acquarone e Ciano: il suggerimento del Re al ministro degli Esteri era di farsi promotore di una richiesta di convocazione urgente del Gran Consiglio del Fascismo che mettesse in minoranza Mussolini e consentisse al sovrano di intervenire e gestire la situazione in modo indolore e accettabile dallo stesso Mussolini. ''Si trattava di un piano ardito - afferma il professor Perfetti, curatore dell'edizione critica dei resoconti di Cavicchioli - che Ciano non si sentì o non volle avallare e portare fino alle estreme conseguenze. Quando, nella notte fra il 24 e il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio fu convocato per l'iniziativa di Dino Grandi e degli altri 'congiurati' e Mussolini fu posto in minoranza, la situazione non era più quella del 1940 e non era più pensabile una soluzione come quella auspicata dal re tre anni prima: il trapasso del potere, insomma non era realizzabile utilizzando gli uomini del fascismo moderato e filomonarchico, a cominciare dallo stesso Grandi, e non era possibile evitare una soluzione di continuità con il passato. E ciò, malgrado il fatto che alcuni esponenti di quel fascismo moderato si illudessero''.
(Giornale di Calabria, ottobre 2002)

La Domenica del Corriere del 7 Agosto 1966, nel ventennale della repubblica, riferisce che Vittorio Emanuele III incaricò il Ministro Acquarone di sondare le opinioni dei gerarchi sull'eventualità di una guerra a fianco di Hitler. Ne risultò che i membri del Gran consiglio, dovendo votare a quel proposito, si sarebbero espressi in maggioranza contro il Duce e a favore della neutralità. Ciò alla fine del '39, inizi del '40.
"Nelle intenzioni del Re, una volta accertata la presenza di una tale maggioranza, Galeazzo Ciano avrebbe dovuto sollecitare la convocazione del Gran Consiglio, le cui conclusioni, se avverse al Duce, avrebbero determinato l'intervento della Corona". Tanto scrive Domenico De Napoli in La Resistenza Monarchica in Italia, Guida Editori, 1985.

Non se ne fece nulla, perchè Ciano non se la sentì di silurare il Suocero che era all'apogeo della popolarità ed era favorito dalle brillanti vittorie dell’Asse che toglievano credibilità ai fautori della non belligeranza.
Altri disponibili, come fu il caso nel 1943, non ve n'erano.

Nell'opera citata, lo storico De Napoli riferisce come il Re, svanita la possibilità di formare un nuovo governo e data la ferma intenzione di Mussolini d'affiancare i Tedeschi, si trovò nuovamente solo e poté solamente tentare di ritardare l'entrata in guerra facendo leva sulla nostra impreparazione. Nessuno lo aiutò. O meglio, ottenendo l'effetto contrario a quello voluto, lo fece maldestramente il Maresciallo Caviglia, proponendo di tutelare la neutralità stanziando almeno dieci divisioni corazzate nella Pianura Padana, oltre a seimila pezzi d'artiglieria sul Vallo Alpino. Le uniche altre due voci, che si levarono apertamente a sostegno della tesi del Sovrano, furono quelle dell'Ammiraglio Cavagnari e di S.A.R. il Duca Amedeo d'Aosta che disse la sua "maturata convinzione dell'impossibilità e dell'inopportunità di lanciarsi in avventure offesive con i mezzi a disposizione", come si legge da pag. 137 di L'Esercito Italiano alla vigilia della II guerra mondiale, Ufficio Storico dello S.M. dell'Esercito.

Così stando le cose al Re non restò altro da fare che adeguarsi.
E lo stesso Sovrano che scrive : "Mussolini ha deciso - …in un pro-memoria consegnato al Principe Umberto - Nessuno lo può fermare. E' questione di giorni. L'Italia va verso la disfatta: magari sbagliassi.Il Re deve prendere una decisione.(...)

Prima possibilità:
dire no alla guerra, destituire Mussolini, che se infischia, rimane al suo posto e destituisce il Re.
Il Re lancia un appello all'Esercito fedele. E' la guerra civile: al Duce non mancano, in questo momento che la guerra va bene per Hitler, sostenitori pronti a tutto.
Mentre il Paese è dilaniato dalla guerra fratricida, arriva l'alleato tedesco a dare man forte a Mussolini: a occupare militarmente l'Italia.

Seconda possibilità:
Il Re non firma la dichiarazione di guerra che Mussolini gli sottopone, ma non vuole provocare la guerra civile
Abdica e scioglie l'Esercito dal Giuramento
Va in esilio, in un luogo ameno: aria buona, bel paesaggio, tempo libero per pescare.
Intanto , mentre il Re pesca, Mussolini e Hitler fanno la guerra. La perdono.
Gli eserciti alleati arrivano in Italia da conquistatori: dietro viene il Re, con una bella cera... riprende il Trono che gli spetta
gli Italiani che hanno combattuto la guerra di Mussolini, perchè non potevano rifiutarsi e andare a pescare, si sentono in colpa, sconfitti, ed hanno molta venerazione per il Re che ha preferito andare in esilio, piuttosto che fare la guerra di Mussolini.
Ma il Re merita tutto quel rispetto?

Terza possibilità:
Viene Mussolini con la dichiarazione di guerra a chiedere la firma del Re. Il Re firma senza dire niente.
Ci sono tanti Italiani che non vogliono la guerra, ma la faranno lo stesso, magari da valorosi, magari lasciandoci la vita.
Il Re decide di stare qui, con gli Italiani, di fare la guerra, come loro, di affrontare i rischi e pagarne il prezzo, come ogni altro Italiano.
Potrebbero anche vincere i Tedeschi: in questo caso Mussolini e Hitler, a vittoria ottenuta, approfitteranno del momento favorevole per dare una pedata al Re...
Se invece, come credo, Mussolini e Hitler, alla fine, perderanno la guerra, allora è probabile che i vincitori e forse anche gli Italiani, tengano responsabile il Re della guerra dichiarata e perduta, come e più di Mussolini: forse lo manderanno via, con Mussolini, sarà proclamata la repubblica.

da : La Domenica del Corriere del 14 Agosto 1966La Resistenza Monarchica in Italia di D. De Napoli, S. Bolognini, A. Ratti, 1985, Guida Editori Napoli