Palmiro Togliatti rientrò in Italia dalla Russia il 27 marzo 1944 con il preciso mandato di Stalin di sostenere la monarchia fino alla fine della guerra; l'evento passò alla storia come la "svolta di Salerno".
Togliatti prestò giuramento come ministro nelle mani di Vittorio Emanuele III in occasione dell'insediamento dell'ultimo Governo Badoglio, e mimò la cerimonia, da lui definita poco austera, in occasione della sua prima visita alla redazione dell'Unità poco dopo la liberazione di Roma.
Togliatti prestò giuramento come ministro nelle mani di Vittorio Emanuele III in occasione dell'insediamento dell'ultimo Governo Badoglio, e mimò la cerimonia, da lui definita poco austera, in occasione della sua prima visita alla redazione dell'Unità poco dopo la liberazione di Roma.
Il periodico Candido, diretto da Giovannino Guareschi (n° 8 del 22/02/1948) riporta dal settimanale Il Tempo un articolo di Emanuele Rocco nel quale si racconta la scena del giuramento, ricostruita dal leader comunista; un episodio che rivela, scrive Guareschi, la "signorilità" di Togliatti. Dice Emanuele Rocco che Togliatti "con Vittorio Emanuele si incontrò una sola volta, in occasione del giuramento dei ministri dell'ultimo governo Badoglio. Di questa visita fece una descrizione ai redattori dell'Unità la prima volta che si recò al giornale subito dopo la liberazione di Roma. Il tu, che è obbligatorio nei rapporti fra i membri del PCI, usciva timido dalle bocche di quei redattori che avevano come decano (e molto distanziato) il ventiseienne Mario Alicata. C'era rispetto un po' timoroso e Togliatti, piccolo e sorridente, si incaricò lui di dissiparlo: chiacchierò un poco, in tono ironico, delle donne; e poi si lanciò nell'imitazione di Vittorio Emanuele, come lui lo aveva visto il giorno del giuramento. "...poteva in quell'occasione imporsi con un po' di cerimoniale, con il fasto della monarchia. Ci ricevette invece in una sala spoglia, con un grande tavolo in mezzo e un tappeto sdrucito. Disse: Buongiorno, e salutandoci saltellava intorno al tavolo. Non ci offrì nemmeno un bicchierino di vermut". E Togliatti si mise a saltellare per la stanza, imitando i gesti e la voce del re. Il ghiaccio era rotto".
Ma, salvo qualche caduta di stile come quella sopra descritta, Togliatti non spinse mai la polemica antimonarchica a livello di attacchi personali al sovrano o al luogotenente generale del Regno, tanto che ho visto la foto della prima visita del Luogotenente Umberto di Savoia alle Fosse Ardeatine, nella quale è visibile Togliatti.
Nelle Fosse Ardeatine erano stati fucilati tanti ebrei e antifascisti, anche di fede monarchica, reali carabinieri, ed il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, eroica figura della resistenza lealista e sabauda. Togliatti nel governo del referendum era il ministro guardasigilli (detto oggi della Giustizia) ed ebbe costanti rapporti con Umberto di Savoia. Ho avuto l'onore di parlare con Umberto anche delle sue relazioni con i politici italiani del tempo; ricordava la freddezza di Nenni che andava dal Re per l'udienza settimanale vestito piuttosto sportivamente (oggi direbbero casual) e non nascondeva un apprezzamento formale per Togliatti che si presentava al Quirinale in un impeccabile doppiopetto blu, attendendo che fosse il Re a fargli cenno di sedersi.
A guerra finita ci fu una battaglia dura fra il Re e Togliatti sul problema dei condannati a morte, che inoltravano al Re la domanda di grazia.
Casa Savoia dimostrò nel corso di quasi un secolo di unità nazionale di essere contraria per principio alla pena di morte tanto che ebbe la grazia sovrana Giovanni Passannante, il mancato regicida lucano che nel 1878, a Napoli, tentò di assassinare il Re Umberto I.
Umberto II era contrario alla pena di morte perché convinto cattolico, e, nel caso in questione, avrebbe firmato tutte le domande di grazia, salvo forse i casi di delitti particolarmente efferati. Togliatti era contrario ad accogliere gran parte delle domande di grazia; si assisteva così, mi disse Falcone Lucifero – Ministro della Real Casa – ad un braccio di ferro fra il Re e Togliatti finché, anche con la mediazione di Lucifero, non si trovava un compromesso.
Lo scontro, per quanto duro, si sarebbe riproposto subito dopo il 9 maggio 1946 quando, a seguito della abdicazione di Vittorio Emanuele III, il nuovo Re Umberto II fece sapere al governo e al ministro guardasigilli che, conformemente alle tradizioni della monarchia, il nuovo sovrano intendeva promulgare un'ampia amnistia, finalizzata, dopo una guerra civile fra italiani, alla pacificazione nazionale.
La reazione del guardasigilli e degli estremisti presenti nel governo fu talmente dura che Umberto II non riuscì a superare il veto. L'amnistia l'avrebbe promulgata il governo su proposta di Togliatti solo con la vittoria della repubblica ed a seguito di una trattativa pre-referendum fra Togliatti e gli esponenti del Partito Fascista Repubblicano ancora nella clandestinità con il "do ut des" che in questa situazione significava: veniva assicurata l'amnistia se i fascisti avessero votato e fatto votare per la repubblica al referendum. Togliatti fu di parola.
Ne parlai con Giorgio Almirante e con Pino Romualdi nel 1986, alla vigilia del quarantennale del referendum. Tutto confermato, e lo stesso Pino Romualdi mi disse: "Avevamo migliaia di uomini alla macchia o in carcere e la promessa ed il prezzo dell'amnistia ci sembrarono una provvidenziale opportunità per tutelare tanti giovani idealisti". Ricordo anche un'intervista di Almirante all'Espresso in cui veniva ripetuto lo stesso concetto di Romualdi.
Diverso l'atteggiamento del principe Junio Valerio Borghese, che, nel 1970 mi disse: "Alla vigilia del referendum ero in carcere e gli uomini della X Mas mi chiesero, tramite i miei avvocati, direttive per il 2 giugno. Risposi di votare per la monarchia al referendum istituzionale e per l'Uomo Qualunque alla costituente". Borghese così concluse: "Motivai l'indicazione a favore della monarchia perché il Re non era più Vittorio Emanuele III e perché il novo Re avrebbe sicuramente contribuito, meglio di una repubblica, alla pacificazione nazionale". Non posso dire che la repubblica abbia vinto – se ha vinto – per i voti fascisti anche perché quel campo si divise, ma un dato è certo: ho analizzato i voti delle città capoluogo del Lazio che per oltre 60 anni di repubblica hanno sempre votato per la destra: trattasi di Viterbo, Rieti e Latina. Proprio in queste città il 2 giugno 1946 ha vinto la repubblica mentre a Roma e Frosinone vinse la Monarchia. Se poi consideriamo che tutto l'Agro Pontino votò repubblica, compresa la città di Sabaudia, che era stata inaugurata personalmente dal Re Vittorio Emanuele III, dobbiamo concludere che il "do ut des", nelle località da me citate, ha funzionato.
Il silenzio copre tutt'ora la vera storia dell'amnistia che viene raccontata come un gesto di buona volontà di Palmiro Togliatti per favorire la pacificazione nazionale. Il leader comunista pensava invece ad un sistema istituzionale più debole di quello monarchico, per poterlo conquistare più facilmente. Egli guardava a Mosca, che non era come oggi la capitale della Santa Russia Ortodossa, bensì dell'Unione Sovietica atea e sanguinaria.
da "STORIA IN RETE" - Ottobre 2008
http://www.monarchia.it/news.html#boskysir
Ma, salvo qualche caduta di stile come quella sopra descritta, Togliatti non spinse mai la polemica antimonarchica a livello di attacchi personali al sovrano o al luogotenente generale del Regno, tanto che ho visto la foto della prima visita del Luogotenente Umberto di Savoia alle Fosse Ardeatine, nella quale è visibile Togliatti.
Nelle Fosse Ardeatine erano stati fucilati tanti ebrei e antifascisti, anche di fede monarchica, reali carabinieri, ed il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, eroica figura della resistenza lealista e sabauda. Togliatti nel governo del referendum era il ministro guardasigilli (detto oggi della Giustizia) ed ebbe costanti rapporti con Umberto di Savoia. Ho avuto l'onore di parlare con Umberto anche delle sue relazioni con i politici italiani del tempo; ricordava la freddezza di Nenni che andava dal Re per l'udienza settimanale vestito piuttosto sportivamente (oggi direbbero casual) e non nascondeva un apprezzamento formale per Togliatti che si presentava al Quirinale in un impeccabile doppiopetto blu, attendendo che fosse il Re a fargli cenno di sedersi.
A guerra finita ci fu una battaglia dura fra il Re e Togliatti sul problema dei condannati a morte, che inoltravano al Re la domanda di grazia.
Casa Savoia dimostrò nel corso di quasi un secolo di unità nazionale di essere contraria per principio alla pena di morte tanto che ebbe la grazia sovrana Giovanni Passannante, il mancato regicida lucano che nel 1878, a Napoli, tentò di assassinare il Re Umberto I.
Umberto II era contrario alla pena di morte perché convinto cattolico, e, nel caso in questione, avrebbe firmato tutte le domande di grazia, salvo forse i casi di delitti particolarmente efferati. Togliatti era contrario ad accogliere gran parte delle domande di grazia; si assisteva così, mi disse Falcone Lucifero – Ministro della Real Casa – ad un braccio di ferro fra il Re e Togliatti finché, anche con la mediazione di Lucifero, non si trovava un compromesso.
Lo scontro, per quanto duro, si sarebbe riproposto subito dopo il 9 maggio 1946 quando, a seguito della abdicazione di Vittorio Emanuele III, il nuovo Re Umberto II fece sapere al governo e al ministro guardasigilli che, conformemente alle tradizioni della monarchia, il nuovo sovrano intendeva promulgare un'ampia amnistia, finalizzata, dopo una guerra civile fra italiani, alla pacificazione nazionale.
La reazione del guardasigilli e degli estremisti presenti nel governo fu talmente dura che Umberto II non riuscì a superare il veto. L'amnistia l'avrebbe promulgata il governo su proposta di Togliatti solo con la vittoria della repubblica ed a seguito di una trattativa pre-referendum fra Togliatti e gli esponenti del Partito Fascista Repubblicano ancora nella clandestinità con il "do ut des" che in questa situazione significava: veniva assicurata l'amnistia se i fascisti avessero votato e fatto votare per la repubblica al referendum. Togliatti fu di parola.
Ne parlai con Giorgio Almirante e con Pino Romualdi nel 1986, alla vigilia del quarantennale del referendum. Tutto confermato, e lo stesso Pino Romualdi mi disse: "Avevamo migliaia di uomini alla macchia o in carcere e la promessa ed il prezzo dell'amnistia ci sembrarono una provvidenziale opportunità per tutelare tanti giovani idealisti". Ricordo anche un'intervista di Almirante all'Espresso in cui veniva ripetuto lo stesso concetto di Romualdi.
Diverso l'atteggiamento del principe Junio Valerio Borghese, che, nel 1970 mi disse: "Alla vigilia del referendum ero in carcere e gli uomini della X Mas mi chiesero, tramite i miei avvocati, direttive per il 2 giugno. Risposi di votare per la monarchia al referendum istituzionale e per l'Uomo Qualunque alla costituente". Borghese così concluse: "Motivai l'indicazione a favore della monarchia perché il Re non era più Vittorio Emanuele III e perché il novo Re avrebbe sicuramente contribuito, meglio di una repubblica, alla pacificazione nazionale". Non posso dire che la repubblica abbia vinto – se ha vinto – per i voti fascisti anche perché quel campo si divise, ma un dato è certo: ho analizzato i voti delle città capoluogo del Lazio che per oltre 60 anni di repubblica hanno sempre votato per la destra: trattasi di Viterbo, Rieti e Latina. Proprio in queste città il 2 giugno 1946 ha vinto la repubblica mentre a Roma e Frosinone vinse la Monarchia. Se poi consideriamo che tutto l'Agro Pontino votò repubblica, compresa la città di Sabaudia, che era stata inaugurata personalmente dal Re Vittorio Emanuele III, dobbiamo concludere che il "do ut des", nelle località da me citate, ha funzionato.
Il silenzio copre tutt'ora la vera storia dell'amnistia che viene raccontata come un gesto di buona volontà di Palmiro Togliatti per favorire la pacificazione nazionale. Il leader comunista pensava invece ad un sistema istituzionale più debole di quello monarchico, per poterlo conquistare più facilmente. Egli guardava a Mosca, che non era come oggi la capitale della Santa Russia Ortodossa, bensì dell'Unione Sovietica atea e sanguinaria.
da "STORIA IN RETE" - Ottobre 2008
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