Diario di Ciano : No alla guerra

Lettera di Ciano all’ambasciatore Italiano a Londra Dino Grandi

Roma, 16 febbraio 1938 - XVI

Segreta-Personale.

Caro Dino,
dal mio telegramma del 15 avrai rilevato ancora una volta qual è qui lo stato d'animo e le conseguenti intenzioni circa l'intesa con Londra. Non avrei nulla da aggiungere se nel frattempo non si fosse verificato il fatto nuovo che, se non modifica la situazione nel fondo, determina pur sempre l'utilità di un aggiornamento di tattica. Il fatto nuovo è il Convegno di Berchtesgaden, con quanto ne è risultato. La nazificazione dell'Austria può ormai considerarsi, se non completata, certamente molto avanzata. Ciò era previsto. Cosí come adesso è facile prevedere che nuovi sbalzi in avanti dell'offensiva nazista si verificheranno ancora. Quando? Questa è la domanda, cui la risposta appare difficile. Ed è proprio in relazione a questa incertezza che deve venir esaminata la situazione delle trattative italo-britanniche. Per usare una formula del Duce, come sempre efficacissima, oggi ci troviamo nell'intervallo tra il quarto e il quinto atto della vicenda austriaca. Quando il quinto atto comincerà? Non è possibile prevederlo. Ma non è affatto da escludere che i tempi si accelerino.

Questo intervallo, e solo questo intervallo, può essere utilizzato per le trattative tra noi e Londra. Oggi, eventuali concessioni e transazioni rientrano nel normale gioco del dare e dell'avere della diplomazia e, se si comincia a trattare, nessuno potrà in alcun modo parlare di pressioni alla porta o di acqua alla gola. Ma domani, quando l'Anschluss fosse un fatto compiuto, qualora la grande Germania dovesse ormai gravitare sulle nostre frontiere con la mole dei suoi settanta milioni di uomini, allora per noi diverrebbe sempre piú difficile concludere o soltanto parlare con gli inglesi perché non si potrebbe evitare all'interpretazione mondiale di scorgere nella nostra politica di avvicinamento con Londra un'andata a Canossa sotto la pressione tedesca.
Perciò sembra venuto il momento in cui bisogna dar un colpo di acceleratore alla conclusione di quei pourparlers che sinora si sono rivelati statici e quindi inutili. Chiarisco subito un punto: non è che il Duce sia oggi più ansioso di ieri di stringer la mano agli inglesi. Come ieri è desideroso di un'intesa, se questa è possibile: come ieri è pronto ad affrontare qualsiasi prova, anche la più dura, se ciò appare necessario. La conclusione dei pourparlers può quindi essere positiva o negativa. Non spetta solo a noi di assumerci una tale responsabilità: gli inglesi dovranno averne la congrua parte. Ma bisogna che una conclusione ci sia, e ci sia rapidamente. Perché se nuovi ritardi dovessero ancora venire causati dal bizantinismo dei pregiudizi e delle pregiudiziali, se nel frattempo la marcia nazista in Austria dovesse compiere il progresso definitivo e metterci davanti al fatto compiuto, allora non esisterebbe più l'alternativa e noi dovremmo indirizzare definitivamente la nostra politica in un senso di netta, aperta, immutabile ostilità contro le Potenze Occidentali.

Tanto ti comunico per tua norma di condotta. Sono certo che troverai il modo di far capire agli inglesi quando e come ti parrà ciò utile ed indicato, che se vogliamo compiere uno sforzo per cercare di condurre in porto la pericolante navicella delle nostre relazioni, bisogna decidersi a farlo presto, poiché il tempo stringe e non tutte le carte del giuoco possono rimanere sempre e soltanto nelle mani nostre e in quelle loro.

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"Ciano e il suo Diario nel giudizio di Giovanni Ansaldo"
da "lettera del giorno" sul Corriere della Sera

Galeazzo Ciano (il compagno di Edda, figlia prediletta del Duce) era a soli 36 anni una delle figure più eminenti tra i vari «fascistizzati».
Ma se questo è vero, che motivo aveva il ministro degli Esteri italiano (firmatario col collega tedesco Ribbentrop, il 22 maggio 1939, del Patto d'acciaio che univa rispettivamente Italia e Germania) di assumere un ruolo decisamente ambiguo all'interno del movimento mussoliniano, culminato con l'uccisione dello stesso Ciano per alto tradimento?

Francesco Postorino


Risponde Sergio Romano

Caro Postorino,
la svolta, nella linea politica di Galeazzo Ciano, è accuratamente registrata nel suo Diario ed ebbe luogo probabilmente durante un incontro con Ribbentrop a Salisburgo nell’agosto 1939, tre mesi dopo la firma del Patto d’acciaio. Fu quella l’occasione in cui capì che la Germania era decisa a fare la guerra. Alla data dell’ 11 agosto annotò: «La volontà del combattimento è implacabile.
Egli respinge ogni soluzione che possa dare soddisfazione alla Germania ed evitare la lotta. Sono certo che anche qualora si desse ai tedeschi più di quanto hanno chiesto, attaccherebbero lo stesso perché sono presi dal demone della distruzione.
La nostra conversazione assume talvolta toni drammatici. Non esito a dire il mio pensiero nella forma più brutale. Ma ciò non lo scuote minimamente. Mi rendo conto di quanto poco noi si valga, nel giudizio dei tedeschi. L’atmosfera è fredda. E il freddo tra me e lui si ripercuote anche nei seguiti. Durante il pranzo non ci scambiamo una parola. Diffidiamo l’uno dell’altro. Ma io, almeno, ho la coscienza tranquilla. Lui, no».
Da allora Ciano, a giudicare dal Diario, fu coerentemente contrario alla guerra e fece del suo meglio per dissuadere Mussolini dall’entrarvi. Alla data del 21 agosto, dieci giorni prima dell’attacco tedesco alla Polonia, scrisse: «Oggi ho parlato chiaro: ho bruciato ogni mia cartuccia. Quando sono entrato nella sua stanza, Mussolini ha confermato la sua decisione di marciare con i tedeschi. "Voi, Duce, non potete e non dovete farlo. La lealtà con cui vi ho servito nella politica dell’Asse mi autorizza a parlarvi chiaro. Andai a Salisburgo per trattare una linea comune: mi trovai di fronte a un diktat.
I tedeschi, non noi, hanno tradito l’alleanza per cui noi dovremmo essere stati soci e non servi. Stracciate il Patto, gettatelo in faccia a Hitler e l’Europa riconoscerà in voi il Capo naturale della crociata antigermanica».
Queste parole furono scritte nel Diario, vale a dire in un documento a cui Ciano affidò la sua immagine nella storia e potrebbero quindi essere il risultato di un calcolo politico e personale.
Giovanni Ansaldo, che fu suo amico e direttore del Telegrafo di Livorno (giornale della famiglia Ciano) pubblicò nell’Illustrazione italiana (giugno 1948) un articolo intitolato «Perché l’ha scritto». Se vorrà leggerlo, caro Postorino, lo troverà ora in un breve libro, pubblicato dall’editore Le Lettere con la prefazione di Francesco Perfetti nella Piccola Biblioteca di Nuova Storia Contemporanea. Ciano, secondo Ansaldo, temeva che il Diario cadesse nelle mani di Mussolini e lo riempì di annotazioni lusinghiere per l’opera e il carattere del Duce. Ma su ogni altra considerazione prevalse in lui il desiderio di mettere agli atti il suo dissenso e di conquistare un posto nella storia d'Europa. «Man mano che procedeva nella stesura - scrive Ansaldo - aumentava la sua speranza di poter passare alla posterità se non come un ministro degli Esteri fortunato, almeno come un memorialista di grande acutezza». Intelligente, vanitoso, spavaldo e un po’ guascone, cominciò a parlare sempre più frequentemente del suo Diario. Un giorno Ansaldo e altri amici gli dissero: «Badi, Eccellenza, che il suo Diario segreto è la favola di tutta Roma». Come sempre ebbe anche in quel caso la risposta pronta: «Bravo. Bravo. Tu non sai che le cose segrete si fanno perché siano risapute così, perché restino così a mezz’aria». Accennò alla cassaforte e continuò: «Il Diario è lì, ma ci deve essere l’incubo del Diario di Ciano nella testa di tutti».

Corriere della Sera - Lettera