Di Giovanni Guareschi
"Questa bazzeccola mi accadde due anni fa, nel 1964. Era la mattina del 24 Maggio ed io, come sempre avevo fatto, inalberai il bandierone tricolore. Poi scesi in strada per controllare se i pioppi lo nascondessero, nel qual caso avrei tagliato qualche ramo. Non ce ne fù bisogno perché la bandiera si vedeva benissimo e lo stemma sabaudo con la sua brava corona risaltava in modo stupendo.
Un ometto magro e occhialuto che aveva fermata la macchina sulla riva del fosso, proprio davanti a casa mia, per cambiare una ruota, guardò anche lui in sù verso il balcone del mio studio e mi domandò con molto sussiego:
- Lei non sa ancora che in Italia c’è la repubblica?
- Si, risposi, lo so ma, per carità di patria fingo di non saperlo.
L’ometto traversò la strada e mi si piantò davanti a gambe larghe, vidi che portava all’occhiello la cimice con l’edera. Era un tipo nervoso, una faccia mazziniana da ulcera gastrica, e mi comunicò aggressivo:
- Lei non può esporre quella bandiera!
- Nessuna legge lo vieta, Gli feci presente.
Raggiunta in fretta la macchina, vi si infilò e partì borbottando: „fascista“. Una bazzeccola, ma ci ho ripensato spesso con disappunto. A parte il distintivo, dalla faccia si capiva che l’ometto era un repubblicano storico. E un uomo che, dopo diciotto anni di questa repubblica, ha ancora il coraggio di qualificarsi convinto repubblicano è degno di rispetto. Ripeto, ripensai spesso a quella bazzeccola e ci ripenso anche oggi che, cadendo il ventennale della repubblica e volendolo celebrare anch’io, ho ripescato tra le mie scartoffie un fascicoletto diffuso nel 1946, nell’imminenza del referendum.
È il „Manifesto Programmatico del Partito Repubblicano Italiano“ e varrebbe la pena di riprodurlo tutto ma, anche a tener conto delle sue affermazioni essenziali, ci sarebbe veramente da sghignazzare se, invece della Repubblica Italiana, si trattasse di qualche nuova repubblica africana o porcherie dek genere.
L’impegno era preciso, categorico:
„Con la repubblica, l’Italia sorgerà d’un balzo dal medioevo alla modernità“.
Ecco: io vorrei trovare il mio ometto, invitarlo a casa e, stappata una bottiglia di quel buono, leggere e meditare assieme a lui.
"Lo stato repubblicano dovrà essere uno stato decentrato, snodato“
afferma il documento dettagliando:
„amministrazioni centrali e periferiche semplici, economiche e non
mastodontiche, non burocratiche. Semplificato anche il sistema tributario
oggi eccessivamente oneroso e complicato. Assoluta indipendenza della
Magistratura. Rapida ed economica amministrazione della Giustizia“.
Date queste premesse, il documento poteva facilmente garantire che lo stato repubblicano sarebbe risultato
„una casa di vetro ove l’amministrazione si svolge sotto gli occhi del Popolo
ed è incessantemente sottoposta al controllo del Popolo“.
Peccato che lo Stato „decentrato“ sia risultato semplicemente „s-centrato“ (lo scrivo così perchè la S è privativa, non si combina con la C e la parola significa „squinternato“, „squilibrato“, „sbiellato“), peccato che lo Stato „snodato“ sia risultato semplicemente „smodato“, anche solo a considerare la pressione fiscale diventata oppressione fiscale. In quanto alla „casa di vetro“, non essendosi il Manifesto impegnato circa il tipo, gli edificatori dello stato repubblicano hanno evidentemente scelto il vetrocemento, che lascia trasparire ancor meno del vetro smerigliato.
Il Manifesto si professava contrario:
„a sostituire il capitalismo privato con il capitalismo di stato, comunque si denomini,
che gestirebbe malamente i beni comuni e asservirebbe le coscienze“
E, difatti, ecco la repubblica fondata sull’IRI, l’ENI, l’ENEL, e altri 2000 (duemila!) enti similari, TUTTI PASSIVI.
„La monarchia è l’abiezione e il martirio,
la repubblica è l’onore e la resurrezione!“
concludeva il Manifesto. Entusiasmato da questo stupendo programma, il Popolo Italiano, sempre „dritto“, corse alle urne e liquidò la Monarchia in quattro e quattro otto, anzi: in quattro e quattro nove perchè la repubblica riuscì a vincere anche se i monarchici erano in netta maggioranza.
Il Re fù mandato in esilio.... in compenso: ladri, assassini, pornografi, dissipatori del pubblico denaro vennero lasciati in libertà. Quella che, temporibus illi, venne chiamata la „Patria del Diritto“ è, oggi, la patria del „dritto“.
La repubblica di Tortona ha le sue basi sulla burocrazia, sull’intrallazzo, sulla demagogia, sul mercato politico, sulla partitocrazia.
Insomma io vorrei celebrare il ventennale della repubblica di Tortona assieme all’ometto stizzoso e confrontare, con lui, le promesse e i risultati. Allora si renderebbe conto che, esponendo la Bandiera con lo Stemma Sabaudo, io non agisco con intenti provocatori, ma intendo semplicemente dire che io non c’entro, che io ho votato per la Monarchia.
Gli vorrei spiegare che io rispetto la Repubblica, ma essendo rimasto testardamente italiano, lo faccio da fedele suddito di Sua Maestà il Re d’Italia. Forse capirebbe e brinderebbe con me alla salute del Re!"