A Venezia dopo l’Armistizio Salasco – Agosto 1848


A Venezia dopo l’Armistizio Salasco – Agosto 1848

Due giorni dopo la precipitosa ritirata degli austriaci da Bologna, un messo austriaco portava a Venezia l'annunzio dell'armistizio Salasco, che comprendeva tra le varie clausole la restituzione della città veneta all’Austria.

A Venezia, dove fin dal 7 agosto governavano tre commissari regi,  Jacopo Castelli, Vittorio Colli e Luigi Cibrario, il comando delle truppe era stato affidato al Generale Guglielmo Pepe, la notizia produsse grande costernazione e agitazione nella popolazione.
Si pensò che i commissari Colli e Cibrario, piemontesi, fossero stati mandati apposta per consegnare la città nemico, ma l'annuncio non era ancora ufficiale e gli stessi commissari non vi prestarono fede, dichiarando che :
"non si presterebbero a partecipare minimamente ad un atto che ripugna ai loro sentimenti, come sarebbe la consegna di Venezia; che dal momento in cui ricevessero notizia ufficiale di tale convenzione, considererebbero il loro mandato come cessato, e Venezia ritornava alla condizione politica in cui era al momento della fusione con il regno sardo-lombardo; che quindi Venezia era libera d'agire come Stato indipendente nel modo che credesse più utile alla causa propria ed italiana, valendosi della cooperazione dei propri privati cittadini".


Al che, il commissario Castelli, veneziano, aggiunse un poco sdegnato e risentito dalla (presunta) decisione piemontese :

“La convenzione è nulla per lo stesso patto della fusione, non potendosi decidere delle sorti del paese senza l'adesione della Consulta; in ogni modo l'abbandono di Venezia da parte del Re ripone la città nello stato di prima. Essa nata libera e tale mantenendosi finché fu oppressa dalla forza, e poi dopo cinquant'anni rivendicatasi a libertà, non ha per la prima volta dalla sua origine aderito ad una monarchia che ad un patto inefficace, sicché la causa della sua libertà originaria rimane integra e potrà soccombere solo a quelle violenze che fanno perire i diritti”

La sera una gran folla si radunò intorno al palazzo Nazionale inveendo contro i commissari al grido di : "Abbasso i traditori ! Morte ai Commissari !"

Il Deputato Antonio Mordini, invitando il Commissario Colli a dimettersi, ebbe in risposta questa fiera risposta :

"Che violenza è questa ? Credete di spaventarmi ?
Ho lasciato una gamba sul campo di battaglia, ho consacrato alla patria quattro figli, soldati al pari di me. Non voglio ritirarmi dinanzi al pericolo, morirò al mio posto, non m'importa in qual modo, né mi,dimetterò se non quando avrò notizia ufficiale dell'armistizio".

Ma intanto il tumulto cresceva. Dalla piazza si urlava :
"Fummo traditi! Fummo venduti ! A terra il mal governo !
Vogliamo Manin ! Viva Manin il salvatore della patria !".

Daniele Manin, prontamente accorso a palazzo Nazionale, s'affacciò risoluto al balcone e affermò che si faceva garante del patriottismo dei commissari e che con loro avrebbe preso gli "opportuni provvedimenti per la salvaguardia della città e dell’indipendenza".

Castelli, dichiarò, che, ricevuta la conferma dell'armistizio, Lui e gli altri commissari avrebbero restituito i poteri per radunare l'assemblea, ma il popolo (diversamente consigliato ?) voleva le dimissioni immediate e tumultuava.

Allora Manin, con atto proditorio disse :
"I commissari regi dichiarano di astenersi fin da questo momento dal governo. Dopodomani si radunerà l'assemblea della città e della provincia e nominerà i nuovi rettori. Per queste quarantotto ore governo io". Era un’azione di forza che cozzava contro l’idea di libertà e democrazia che aveva guidato la stessa rivolta e guerra contro gli austriaci, ma il popolo applaudì.

Infine, per sedare tutti i tumulti, Manin tornò alla balconata e aggiunse :
"Fra poco si batterà la generale; la guardia civica sia in armi; da ogni battaglione sarà scelto un buon numero di cittadini che questa notte medesima andranno al forte di Marghera, dove lì si teme la minaccia del nemico".

Così la piazza fu sgombrata, ed il giorno 12 agosto, avuta conferma ufficiale dell’armistizio firmato dal Generale Salasco a Milano il giorno 10, Colli e Cibrario si apprestarono a lasciare la città, nonostante Manin li pregasse di collaborare con il nuovo governo. Saliti a bordo di una nave della flotta sarda salparono in data 15 agosto 1848.

Il 13 agosto si radunò l'assemblea. Su proposta del Deputato Antonio Bellinato, fu messo a capo del nuovo governo cittadino Daniele Manin, il quale volle al suo fianco l'Ammiraglio Leone Graziani e i Colonnello Gian Battista Cavedalis con l’incarico della difesa marittima e terrestre della città.
Il 20 agosto il “triumvirato” provvide ad avvisare il governo sardo a Torino che l'opera sua si limitava alla difesa e al mantenimento dell'ordine e che... "tutte le condizioni politiche precedenti rimanevano impregiudicate e incolumi i diritti e i doveri della città e provincia intorno al proprio reggimento e intorno all'appartenenza politica".

Il 5 settembre, ricevuto ordine da Torino, il Colonnello Alberto La Marmora (fratello minore di Alessandro e Alfonso La Marmora) imbarcò i suoi tre Battaglioni di fanteria sulla flotta dell’Ammiragli Albini, e in data 7 settembre abbandonò Venezia facendo rotta su Ancona.
Con la Flotta sarda, salpò anche il commissario Castelli, (il "veneziano"), quello sdegnato dal comportamento di Re Carlo Alberto… Giunto a Torino, fu nominato dallo stesso Sovrano consigliere di Stato !!!. (quando si dice l’opportunismo !) Morì comunque il 18 marzo del 1849, in tempo per non assistere alla disfatta di Novara e alla fine di ogni illusione di indipendenza e unità italiana !

Venezia rimase quindi sola e protetta solo dalla sua laguna, unico fiero baluardo di italianità.