I primi Plebisciti
Piacenza, Parma, Modena, Reggio e Milano
I primi plebisciti si ebbero nell'Emilia. Piacenza per la precisione fu la prima provincia in assoluto. Chiusi gli scrutini il 2 maggio 1848 e fatto lo spoglio, risultò che su 37.583 votanti, 37.089 avevano votato per l'immediata annessione al Regno di Sardegna che fu solennemente proclamata il 10 dello stesso mese. Carlo Alberto, definì la provincia di Piacenza “la primogenita” !
A Parma il plebisciti si aprirono l'8 maggio, il 25 fu fatto lo spoglio da cui risultò che, su 39.703 votanti, 37.250 erano stati per l'unione, che fu proclamata quel giorno stesso, mentre a Modena e a Reggio, con voto quasi unanime, l'annessione fu proclamata nei giorni 25 e 26 maggio 1848.
Il Governo provvisorio di Milano seguì l'esempio delle città emiliane e il 12 maggio lanciò il seguente bando:
"Cittadini ! Il Governo provvisorio di Lombardia, sorto fra le barricate, tiene il suo mandato dal fatto sublime dell'eroica nostra rivoluzione, la quale operata dal concorso di tutte le forze sociali, non aveva altro scopo che la cacciata dell'Austriaco e la conquista dell'indipendenza italiana. Perciò fin da quando tuonava il cannone nelle nostre contrade ed il popolo rispondeva ai colpi micidiali gridando Viva l'Italia!, il Governo, anche nella urgenza del momento, anche invocando il soccorso del generoso Re Sardo, anche ammirando le prove di maturità politica che dava il valoroso popolo disciplinato ed unito nei furori stessi d'una guerra a morte, non credette alzare altro grido che il grido di "Viva l'Italia !", e non altro vessillo che il vessillo dell'Indipendenza nazionale. Così lasciando intatte tutte le questioni di forma politica e di ordinamento definitivo, volle che queste regioni, per tanti anni forzate a chiamarsi straniere all'Italia, prima tornassero alla patria comune, e rassegnate ad ubbidire i voleri proclamassero la loro devozione all'Italia unita e concorde. Quindi nel proclama del 22 marzo dichiarava "che essendo chiamati a conquistar l'indipendenza di questa nostra carissima patria, di null'altro i buoni cittadini dovevano allora occuparsi che di combattere"; quindi nel proclama del 29 marzo soggiungeva: "Poiché un solo grido - l'indipendenza - ci ha fatto vincere, un solo grido deve farci compiere la vittoria: l'Italia unita e libera".
"Ma ora, o cittadini, il grido salutare di "Viva d'Italia!" che riassumeva tutta quanta la politica del Governo provvisorio, non esce più solo. Quella coraggiosa neutralità di opinioni, quella forte aspettativa che sarebbe stata uno spettacolo unico nella storia, ella avrebbe offerto un meraviglioso esempio di tolleranza, di momentaneo sacrificio di ciò che l'uomo meno facilmente tempera e sacrifica, non fu conservata. Quella santa concordia, quella generale fratellanza, dove ogni cittadino vedeva e cercava negli altri cittadini dei commilitoni, quella magnanima tolleranza, che nulla voleva dal presente e tutto aspettava dall'avvenire, purtroppo hanno dato luogo all'impazienza sdegnosa ed irritante. Indocili di freno, smaniose di preoccupare il libero arringo, le opinioni si agitarono, si occuparono, si accusarono a vicenda, si accamparono le une contro le altre.
La neutralità che fu proclamata per impedire i dissidi e le discussioni inutili in faccia al nemico, la neutralità che fu annunciata in ossequio alla patria italiana perché tutto si riferisse ai supremi di lei interessi ed intorno alla sacra di lei bandiera si raccogliessero per unificarsi tutti i desideri, tutti i voti, ora è accusata di nutrire e fomentare le discordie civili, di autorizzare le più avverse e nemiche speranze, di tenere tutto il resto d'Italia in una penosa incertezza. Né gli animi si contennero nei limiti di una discussione che nel suo ardore era già pericolosa: ma in molte province si pubblicarono appelli, si raccolsero firme a migliaia, preludendo così al voto della nazione, società si organizzarono con nomi ed intenti diversi in cui le questioni più sottili ed ardenti furono agitate, discusse, pubblicate: la stampa legale, la stampa anonima si diedero ad esercitare propagande fra loro contrarie, suscitarono passioni, alimentarono speranze, insinuarono, imposero la convenienza, la necessità ad uno scioglimento.
Ed intanto da tutte le parti ci giungono inviti, raccomandazioni pressanti di prendere una soluzione: popoli, governi, città, uomini ragguardevoli per il senno, per il patriottismo, per le guarentigie date alla causa italiana, ci esortano ad uscire da quel campo in cui c'eravamo trincerati, in aspettativa di quello che fossero per maturare gli avvenimenti generali d'Italia. In questo stato di cose il Governo provvisorio di Lombardia non può avere fiducia nel principio di quella neutralità che aveva proclamata per conservarsi tutto alla guerra ed alla difesa del paese. L'aveva proclamata per poter essere un governo unicamente guerriero ed amministratore, ed ora invece si trova trascinato in mezzo alle distrazioni di incessanti dispute politiche, e costretto a difendersi ogni giorno dall'insistenza delle più divergenti opinioni. Questo stato di cose non può durare.
"O il popolo riprenda il suo impegno di non voler parlare di politica e colla sua gran voce imponga silenzio ai partiti, o si decida per quella fusione che sola è naturale, sola è possibile nelle presenti circostanze. In favore del principio di neutralità stava la grandiosità e l'unità del concetto che tutto subordinava al voto dell'intera nazione. Ma perché si persistesse a professare e praticare questo principio, bisognava che gli animi si componessero in calma, si confermassero nel coraggio della pazienza, bisognava avere una stima grandissima degli uomini, un giudizio continuamente pacato delle cose bisognava in specie che diventasse legge per tutti il rispetto fraterno delle opinioni di tutti. Né veramente era da sperarsi che una condizione d'animi, una tale abnegazione d'ogni simpatia individuale, d'ogni preoccupazione di dottrine e di fatti a lungo durasse.
Ma quando si accoglieva tale speranza, guerra breve e vittoria sicura era nel pensiero di tutti: e perciò a tutti pareva facile e naturale rimettere a causa vinta la discussione dei destini politici del paese. Invece guerra grossa, sanguinosa, lunga, armamento di tutto il paese ed organizzazione di un esercito lombardo, sussistenza per questo, per il piemontese, per il toscano, per il romano, per il napoletano; finanze che hanno bisogno di rimedi e sussidi pronti efficaci, ubbiditi senza contraddizione in tutto il territorio; complicazioni politiche imprevedute; influenze ostili della straniera diplomazia; bisogno urgente di avere posto nel consorzio delle nazioni di Europa; le province venete in gran parte rioccupate dai barbari; ecco le nuove e gravi condizioni, nelle quali il paese si trova e che consigliano una decisione.
"Quale sarà questa decisione? Certo quella che più favorisca la gran causa d'Italia, quella che più acceleri il fine della guerra dell'indipendenza. E però come Lombardi, in nome e per l'interesse di queste province, come Italiani per l'interesse di tutta la nazione, dobbiamo riconoscere, provvido il pensiero che le nostre terre si associno al vicino e bellicoso Piemonte, salve le comuni guarentigie della libertà, per formare dell'alta Italia un inespugnabile baluardo contro tutte le straniere invasioni, sotto lo scettro costituzionale di quella illustre Casa di Savoia cui la storia assegnò il glorioso titolo di guardiana delle porte d'Italia.
"Già Parma e Modena ci hanno preceduto nella manifestazione più o meno esplicita di questo voto che inizia in sì nobile parte d'Italia il pensiero della italica unità; già la Sicilia dichiarando solennemente di affidare le sue sorti al reggimento monarchico costituzionale, ci ha mostrato quale sia nel presente la strada aperta all'unione d'Italia. Or dunque non dovrà la Lombardia, dall'altezza del posto in cui fu collocata dalla sua vittoria, rispondere fieramente all'accusa che le fu mossa di volere far da sé e per sé? Non dovranno i Lombardi attestare grato animo a quei fratelli che loro corrono incontro, che danno loro sì splendidi argomenti di simpatia, che sono pronti a muoversi in loro favore dalle ambizioni più legittime, e non altro anelare che di averli insieme nella grand'opera del ricomponimento dell'Italia unita? A voi tocca decidere, o cittadini, a voi tocca ponderare se nelle circostanze presenti sia da insistere in un partito che una volta era opportuno, ma che ora potrebbe forse essere oggetto di discordia, presso alla quale sta sempre la schiavitù: o se un altro se ne debba abbracciare determinato dal pensiero dei grandi interessi della patria italiana.
"Il vostro Governo non può rimanere spettatore indifferente del pericolo di una discordia civile; ed è nel proposito di rendervi uniti e forti che ha determinato di fare appello al popolo intero, perché la sua sacra e potentissima voce copra quella di tutti i partiti per confonderli in uno solo.
Premesse queste considerazioni, il Governo provvisorio della Lombardia decreta:
1° Sono aperti i registri presso tutte le parrocchie di tutti i comuni di Lombardia, ad effetto di ricevere le sottoscrizioni del popolo Lombardo.
2° L'uomo che avrà ventun'anni compiuti avrà diritto di sottoscrivere.
3° Gli illetterati faranno la croce alla presenza del parroco e di due delegati.
4° La sottoscrizione dovrà essere fatta da ciascheduno nella parrocchia dove tiene la propria abitazione, senza distinzione di culti.
5° I parroci o coloro che ne fanno le veci saranno assistiti nel ricevimento delle sottoscrizioni da due delegati nominati nelle città dalle rispettive congregazioni municipali.
6° Nei comuni di campagna i parroci saranno assistiti da due membri delle Deputazioni comunali o loro sostituti, oppure da due persone scelte dalle medesime deputazioni. Dove però esistono consigli comunali, i delegati saranno scelti di preferenza nel corpo dei consiglieri.
7° I registri saranno aperti presso le parrocchie dal giorno nel quale sarà fatta la pubblicazione della presente legge nei rispettivi comuni e saranno chiusi definitivamente il giorno 29 del corrente mese di maggio, anniversario della battaglia di Legnano. Dopo di che, sigillati dai parroci, saranno rimessi alle rispettive Deputazioni comunali ed alle Congregazioni municipali.
8° Dovendosi poi provvedere che il diritto di voto possa esser regolarmente esercitato anche dai cittadini che si trovano sotto le armi nell'esercito attivo, si dispone che i registri siano pure aperti presso i comandi dei corpi. I soldati italiani, tanto coscritti quanto volontari, che militano sotto la bandiera di Lombardia, voteranno anch'essi per sottoscrizione da farsi alla presenza degli ufficiali superiori del corpo al quale appartengono.
9° La Commissione governativa destinata ad inviare soccorsi alle province venete avrà cura di far raccogliere i voti dei cittadini, che formano parte della compagnia che ora si trova in quel territorio.
10° Le Deputazioni comunali e le Congregazioni municipali dovranno rimettere i registri sigillati alla Congregazione provinciale dalla quale dipendono con il mezzo più pronto e sicuro e sotto la più stretta loro responsabilità.
11° Le Congregazioni provinciali faranno lo spoglio alla presenza del Vescovo o suo rappresentante e di un Commissario governativo.
12° Per le speciali condizioni della città e provincia di Mantova, non potendo aver luogo il disposto degli articoli 10 e 11, si stabilisce che le Deputazioni comunali debbano rimettere i registri sigillati al Commissario straordinario del Governo residente in Bozzolo e che lo spoglio dei registri sia fatto da lui alla presenza dell'autorità ecclesiastica e comunale del luogo.
13° Lo spoglio dei registri dovrà essere sigillato dopo l'analogo processo verbale, e quindi rimesso al Governo insieme ai registri medesimi con la massima sollecitudine.
14° Lo spoglio dei registri delle province sarà reso pubblico dal Governo e quella delle due proposizioni che avrà avuto il maggior numero dei sottoscrittori costituirà il voto della Nazione".
Tumulti a Milano
I giorni che intercorsero dall'apertura alla chiusura dei registri furono pieni di pericoli per la pace pubblica, tanto erano divisi gli animi ed accese le passioni di parte (vedere “fazioni interne a Milano”).
Coloro che erano contrari alla fusione protestarono contro il plebiscito, paventarono quella forma di governo che avrebbero i vincitori imposto alla Lombardia, oltre ad allarmare che Milano avrebbe perso il suo privilegio di capitale (capoluogo di una regione soggetta all’imposizione di un Impero straniero - ndr.)
Gli avversari dell'annessione ricorsero a tutti i mezzi possibili per fare proseliti. Anche dalle guardie civiche fecero sottoscrivere un appello con il quale si chiedeva:
1° indissolubilità della Guardia nazionale nel suo stato ed ordinamento attuale;
2° libero diritto di associazione;
3° libertà di stampa;
4° legge elettorale da pubblicarsi per l'assemblea costituente.
Il giorno 28 maggio, una folla di persone si radunò in piazza S. Fedele, invitata da foglietti anonimi, gridando al Presidente Casati, affacciatosi al balcone, che i quattro articoli dell'appello delle guardie fossero tradotti in legge. Il Governo, credendo di assicurare la pace, ebbe la debolezza di cedere e il giorno dopo pubblicò l'atto seguente:
"Il Governo sa che quei pochi, i quali si levarono in rappresentanti del popolo sono dal popolo disdetti; sa che il popolo deplora tutte queste dimostrazioni tumultuose: tuttavia, non a soddisfare esigenze inopportune, ma a rassicurare i buoni e a dare una nuova e solenne testimonianza della sua lealtà, dichiara: il popolo lombardo gode al presente delle seguenti franchigie: libertà di stampa, diritto di associazione, guardia nazionale.
Queste franchigie saranno conservate al popolo lombardo nella forma ed estensione attuale di diritto e di fatto, finché l'assemblea costituente non venga a regolare la sorte del popolo stesso. La legge, con la quale l'assemblea costituente sarà convocata, avrà per base il suffragio universale".
Il giorno 29 maggio, anniversario della battaglia di Legnano, mentre a Curtatone e a Montanara si combatteva e si moriva per fare l’Italia, ci fu un'altra dimostrazione in piazza S. Fedele. Il palazzo del Governo fu invaso da alcuni audaci, e un ex-ebreo di nome Urbino, affacciatosi al balcone, annunciò che il Governo era dimissionario; poi cominciò a leggere i nomi dei nuovi governanti; ma il Presidente Casati, strappatogli di mano il foglio, lo lacerò e dichiarò alla folla sottostante che il Governo era al suo posto.
Nonostante ciò, il Plebiscito si tenne regolarmente e l'8 giugno, fatto lo spoglio, l'unione al Regno di Sardegna risultò approvata con 561.002 voti favorevoli contro 681.