Apertura del Parlamento siciliano (25 marzo 1848)

Apertura del Parlamento siciliano (25 marzo 1848)
Situazione politica e sociale nel Regno delle Due Sicilie

Le cinque giornate di Milano erano da poco terminate con la cacciata degli austriaci, e Carlo Alberto di Savoia alla testa dell’Armata Sarda aveva appena attraversato il Ticino quando, a Palermo, il 25 marzo del 1848, nella chiesa di S. Domenico, presenti il Senato, la Suprema Corte di Giustizia, moltissimi ufficiali dell'esercito, della marina e della Guardia nazionale, numerosi vescovi, arcivescovi, abati e parroci, il corpo diplomatico, consolare e una grandissima folla, dopo la funzione religiosa, al rombo delle artiglierie che sparavano dalle navi e dai forti di Castellammare e della Garitta, fu aperto il Generale Parlamento di Sicilia, e costituito il Governo con un Presidente e sei Ministri eleggibili dallo stesso.


Alla presidenza era stato chiamato Ruggiero Settimo, il quale aveva messo agli affari esteri e al commercio Mariano Stabile, alla Guerra e alla Marina il Barone Riso, alle Finanze Michele Amari, all'Istruzione e ai Lavori il Principe di Butera, al Culto e alla Giustizia Gaetano Pisani e alla direzione della Polizia Pasquale Calvi.

Il 1° aprile il Parlamento Siciliano ordinava che:

"il Potere Esecutivo dichiarasse in nome della nazione agli altri Stati d'Italia che la Sicilia già libera ed indipendente intendeva far parte dell'unione e federazione italiana"
Il 13 aprile invece, venne decretato che la dinastia borbonica era per sempre decaduta dal trono di Sicilia, che l'isola si sarebbe governata costituzionalmente da se, e che, dopo la riforma dello Statuto, sarebbe stato chiamato sul trono un altro Principe italiano.

Mentre queste cose accadevano, Re Ferdinando di Borbone da Napoli, sorvegliava sornione la condotta di Carlo Alberto, e di Pio IX. Si guardava bene dal rompere i ponti con l'Austria, ed osservava attentamente gli avvenimenti della Sicilia. Avuta notizia della deliberazione del giorno 13, protesto il 18, contro questo decreto. Chiaramente il Parlamento siciliano non tenne in nessun conto la protesta, lavorando alla riforma ed alla stesura dello Statuto, che fu molto simile a quello degli altri Stati della penisola. Differiva però in alcuni punti: era infatti stabilito che :

"il Sovrano chiamato a reggere la Sicilia non poteva, pena la decadenza, di regnare su altri paesi; che la sovranità risiedeva nell'universalità dei cittadini; che il potere di fare leggi e di interpretarle apparteneva esclusivamente al parlamento; che il voto era universale; che al re era negata la facoltà di sciogliere o sospendere le assemblee e che i trattati non avevano effetto senza l'approvazione dei due rami del parlamento".

Riformata la costituzione, furono mandati ambasciatori alle corti di Roma, di Firenze, e di Torino per ottenere il riconoscimento del Regno di Sicilia e promuovere qualunque forma di lega utile all'indipendenza italiana. Inoltre furono avanzate proposte alle corti della Toscana e della Sardegna per capire quale fosse meglio disposta ad inviare un proprio Principe sul trono dell'isola.
In Piemonte, il Principe designato era Ferdinando di Savoia Duca di Genova, che però declinò l’offerta.
Napoli intanto "poteva dirsi in piena anarchia, poiché ogni freno era rotto ai desideri più audaci e alle passioni più torbide. Alle confuse notizie di Parigi, la parola costituzione andava prendendo significati e sviluppi inattesi, non tanto nella metropoli dove, per la povertà delle industrie, mancava un numeroso artigianato, quanto nelle campagne dove i contadini, guadagnati alla causa della rivoluzione, tentavano apertamente di scavalcare i proprietari che l'avevano promossa e, non rispettando più né i vecchi né i nuovi istituti tra loro in lotta violenta, rifiutandosi di pagare le tasse, invadevano le terre signorili e demaniali, minacciavano la guerra sociale”.
Nella “metropoli” – ricordiamo che Napoli allora era la città più popolosa ed estesa d’Italia, il ceto medio, costituito in massima parte da impiegati, di professionisti e di letterati, divisi e suddivisi da ambizioni e animosità personali, in infinite tendenze diverse, …da una monarchia costituzione a una repubblica unitaria, dava la caccia ai pubblici uffici, di cui il numero era straordinariamente cresciuto; si agitava nei circoli, inveiva nelle gazzette, tumultuava nelle piazze ora contro i gesuiti che dovettero essere espulsi, ora contro l'Austria e per la partecipazione alla guerra, ora contro questo o quel ministro per la riforma dello Statuto, vale a dire per l'abolizione della Camera dei Pari e del censo stabilito per l'elettorato.
Nello stesso tempo, le finanze pubbliche andarono in rovina, poiché il prestito pubblico proposto di tre milioni di ducati ne aveva raccolti appena 7000 mila per l’insicurezza trasmessa dai disordini ! Nel generale disgusto, riprendevano coraggio e valore i legittimisti, appoggiati alla Corte.
Anche in campo opposto però, si facevano più arditi i democratici, i partigiani della guerra ad ogni costo, i sospettosi del Re e dei moderati, ma non del tutto tranquilli neppure di fronte a coloro che avrebbero voluto imitare in Napoli le gesta dei rivoluzionari parigini (Lemmi).

Tra il 18 aprile e il 2 maggio si tennero elezioni politiche e la grande maggioranza dei seggi fu conquistata dai liberali. Di lì a qualche giorno, mentre si diffondeva la notizia dell'allocuzione papale del 29 aprile, si dimisero tre ministri: Imbriani, Ruggiero e Manno, i quali, non credendo alla sincerità del Sovrano, non volevano essere strumento di ipocrisia nelle sue mani.
In questa situazione, che poteva sfociare da un momento all’altro in una situazione limite, venne fissata per il 15 maggio 1848 l'apertura del Parlamento a Napoli.

Alberto Conterio