La rivolta calabrese
I fatti del 15 maggio a Napoli, oltre che il richiamo delle truppe e della flotta dall’alta Italia, provocarono viva agitazione nelle province del Regno, specie nelle Calabrie. Fu così che verso la fine di maggio in queste province si costituirono spontaneamente dei comitati di pubblica sicurezza; a Cosenza si formò addirittura un governo provvisorio, del quale si misero a capo i Deputati Raffaele Valentino, Giuseppe Ricciardi, Domenico Mauro ed Eugenio De Riso, che pubblicarono anche un manifesto e iniziarono a raccogliere armi e uomini, chiedendo aiuto alla Sicilia.
Il testo del manifesto era il seguente :
"I gravi fatti di Napoli del 15 maggio e gli atti distruttivi di quella Costituzione hanno rotto ogni patto fra il principe ed il popolo. Noi però, vostri rappresentanti, capi del movimento delle Calabrie, rafforzati dallo spontaneo soccorso dei nostri generosi fratelli della Sicilia, rincuorati dall'unanime grido d'indignazione e di sdegno che si è levato contro il pessimo dei governi, nonché nelle altre province nell'Italia tutta; certi d'essere interpreti fedeli del pubblico voto; memori della solenne promessa fatta dai dimissionari parlamentari nella loro nobile protesta del 15 maggio di riunirsi nuovamente, crediamo debito nostro invitare i nostri colleghi a convenire il 15 giugno a Cosenza per riprendere le deliberazioni interrotte a Napoli dalla forza brutale, e porre sotto l'egida dell'Assemblea nazionale i sacri diritti del popolo napoletano. Mandatari della Nazione, chiamiamo intorno a noi, e invochiamo a sostegno della libertà nazionale la fede e lo zelo delle milizie civili; le quali nel sostenere in modo efficace la santa causa, a tutelare la quale siamo stati forzati a ricorrere alla suprema ragione delle armi, sapranno mantenere la sicurezza dei cittadini e il rispetto alle proprietà, senza di cui non ci può essere libertà vera".
La Sicilia rispose all'appello dei Calabresi inviando il 12 giugno da Milazzo un corpo di seicento uomini con una batteria da campagna. Comandavano la minuscola schiera i Colonnelli Riboti e Longo, i quali, giunti a Cosenza, presero sotto di loro quelle poche migliaia di uomini che erano state raccolte nella regione. Ribotti fu nominato capo supremo di tutte le forze degli insorti.
A reprimere l'insurrezione calabrese il Governo di Napoli inviò tre corpi armati : il primo, di quattromila uomini, al comando del Generale Ferdinando Nuziante, lasciò la capitale il 4 giugno e, sbarcato al Pizzo, si accampò a Monteleone; il secondo, di duemila uomini, agli ordini del Brigadiere Busacca, partì il 10 e, sbarcato a Sapri, si mise in marcia verso Castrovillari, dove doveva raggiungerlo il terzo corpo di duemila soldati, la massima parte a cavallo, guidati dal Brigadiere Lanza.
Ribotti fece del suo meglio per tener testa alle truppe Regie napoletane, ma le numerose diserzioni dei Calabresi, la maggior disciplina e il migliore armamento del nemico ebbero presto ragione della resistenza degli insorti. Già il 2 luglio infatti, Ribotti con i suoi siciliani, il governo provvisorio calabro e i principali autori dell’insurrezione erano in ritirata verso Tiriolo; il 7 luglio, le truppe napoletane, che nella loro avanzata avevano lasciato eloquenti tracce della loro ferocia, entravano in Cosenza.
Ribotti, temendo di essere circondato a Tiriolo, chiese al Nunziante - comandante delle truppe napoletane inviate a sedare la rivolta - per mezzo del vescovo di Nicastro, la concessione di potersi ritirare in Sicilia, ma il Generale borbonico rispose che era sua discrezione soltanto la resa.
I siciliani decisi a non cadere prigionieri del nemico, riuscirono a guadagnarono la costa ionica, imbarcandosi su due brigantini per la Sicilia. Erano ormai giunti presso Corfù in data 11 luglio quando, il Tenente di vascello Salazar della Marina Napoletana, che li inseguiva con una nave, ebbe la discutibile e poco onorevole idea di issare una bandiera inglese; con questo inganno riuscì prima a raggiungerli e poi con la superiorità palese delle sue artiglierie a fermarli e a catturarli tutti.
I prigionieri, furono in parte tradotti a Reggio, e parte a Castel Sant' Elmo e a Nisida.
Sarebbero passati tutti per le armi o sul patibolo, se l'Ammiraglio inglese Parker, venuto a conoscenza dell' inganno, in nome del suo governo, dichiarò "che avrebbe visto con profondo dispiacere qualunque atto di severità associato all'abuso della bandiera britannica". Il Governo Borbonico intuì la minaccia, e allentò la presa per non inimicarsi la potenza straniera, ma i prigionieri, se non finirono “a morte”, con la scusa del processo da farsi, languirono parecchio tempo in carcere prima di riottenere la libertà. Lo stesso Riboti, uscì da Castel Sant’Elmo solo nel 1854 !
Longo, Delli Franci, Guiccioni, Angarà, che erano stasi ufficiali nell'esercito borbonico prima di essere partecipi della rivolta, furono sottoposti al giudizio del tribunale militare come disertori.
Guiccioni fu infine messo in libertà provvisoria, Angarà fu rinviato alla Gran Corte Criminale, Longo e Delli Franci furono condannati a morte, ma la pena fu poi commutata dal Re in quella dell'ergastolo perpetuo.
Gli inglesi, si sentirono quindi giustificati a riprendere nuovamente la campagna diffamatoria sui Borboni più volte portata avanti per i loro interessi mediterranei, e tornarono a schierarsi apertamente contro il Regno delle Due Sicilie, operando una politica occulta, settaria e complottista, la cui natura non va ricercata sui campi di battaglia o negli atti ufficiali del Risorgimento italiano, ma piuttosto, negli accordi segreti, per infliggere danni all’immagine ed all’autorità del papato in Italia, anche attraverso l’opera dell'onnipresente lord Palmeston, ambasciatore in Italia, l’uomo che avrebbe dominato la politica estera britannica in Europa fino al 1865, vendicando l'affronto inflitto agli inglesi dai Borboni nella controversia internazionale sul monopolio del commercio dello zolfo siciliano (allora unico al mondo, usato per le fonderie), e contribuire alla nascita dell’Italia unità, cioè di una nazione forte che potesse fare da contrappeso alla potenza francese e austriaca in quell'ambita fascia meridionale del continente.
Alberto Conterio