Il trattato di Villafranca


Il trattato di Villafranca

L'annunzio dei preliminari di pace di Villafranca quindi, irritarono grandemente Vittorio Emanuele, ma ancor più Cavour, che avutane notizia, partì immediatamente da Torino, e senza mai fare sosta si precipitò a Mozzambano al quartir generale sardo per incontrare furibondo il Re, con cui ebbe un burrascoso colloquio la notte del 10 luglio.
“La notte dell'10 luglio 1859 Cavour, stravolto e già sul "teatro della sciagura", attendeva nella villa Melchiorri, a Monzabano il ritorno del Re da Valeggio, ove si trovava il quartiere generale di Napoleone III. Appena Vittorio Emanuele giunse, racconta Nigra, unico testimone della storica scena, fece entrare il Ministro nella stanza che gli serviva da salotto. Il Re si tolse la tunica (il caldo era soffocante) e accese un sigaro. Fumava ferocemente sforzandosi di apparire calmo. Si sedette alla gran tavola con i gomiti appoggiati sull'orlo, si rimboccò pure le maniche.
Fu il Re il primo a proferire parola, rivolgendosi a Nigra : "Nigra, date il foglio a Cavour". Cavour era in piedi, vicino al tavolo, alla sinistra del Re. Prese il foglio e lesse: ma prima di terminare la lettura lo buttò sulla tavola e scattò: "Lei non firmerà mai un simile obbrobrio!".


Il colloquio che seguì ebbe momenti e drammatici. 
Cavour vedeva chiaramente crollare anni di lavoro in un solo istante, che con tante difficoltà era andato costruendo e scongiurava il Re di respingere le inique proposte di pace di Villafranca : "Maestà, voi non firmerete questo documento, sarebbe ignominioso.Ci viene data la Lombardia. Ma che vale se il resto dell'Italia viene mantenuto sotto il dominio degli Asburgo? Napoleone se ne vuole andare. Se ne vada. Lei continui la guerra da solo. Se dovremo perire, periremo da prodi"

Bisogna far notare come la maestria diplomatica e la pazienza certosina di Cavour furono in quest’occasione assenti. La rabbia avevano fatto perdere la testa al grande statista, mentre al contrario, il sanguigno Sovrano, che più volte era stato contenuto nella sua avventatezza proprio dal Cavour, mantenne la calma e si comportò saggiamente secondo le reali possibilità che gli venivano concesse. "Si - disse il Re - così torneremo a Torino sotto le baionette austriache, tra le risate di tutto il mondo". In un impeto d'ira Cavour invitò allora il Sovrano ad abdicare. "A questo ci devo pensare io, che sono il Re", ribatté Vittorio Emanuele. E Cavour di rimando : "Il Re? Il vero Re in questo momento sono io!"

 
"Chiel a l'è 'l re? Chiel a l'è mac un birichin!" ("Chi è il Re? Lei non è altro che un briccone!”)  scattò in dialetto piemontese il Re, voltandogli le spalle. Poi rivolgendosi a Nigra senza più curarsi di Cavour : "Nigra, ‘l cont sta nen bin, a l’è nervos, ca lu compagna a deurme!"
(“Nigra, il Conte non sta bene, è nervoso, lo porti a dormire!”), il colloquio era terminato.

La mattina dopo questo burrascoso colloquio, avvenne il convegno fra i due imperatori, sempre a Villafranca (la mattina dell'11 luglio appunto).
Furono puntualissimi, e seguiti ambedue da un folto e sfarzoso seguito. Napoleone scortato da cento guardie in alta uniforme e Francesco Giuseppe accompagnato da un nutrito gruppo di ufficiale che sfoggiavano un campionario completo delle coloratissime uniformi imperiali.

Del colloquio vero e proprio, non ci furono testimoni, né rimase un verbale, né alcuna traccia scritta. "L'encrier et le papier, dice Taxile Delord  [Histoire du second Empire. Tom. II, pag. 538], aprés le départ des seux interlocuteurs, étaient intacts sur la table, où on les voit encore." Tutto ciò, che fu riferito dopo, può essere ricavato solo dalle trattative posteriori l'incontro che assunsero forma ufficiale con i funzionari addetti a redigere i trattati. I due monarchi non svelarono mai altro.


Restano invece alcune impressioni dell’incontro scritte in lettera dal Principe Alessandro D'Assia all'Imperatrice Maria di Russia, sua sorella (il Principe, aveva il compito di fare da mediatore tra Napoleone e Francesco Giuseppe e anello di congiunzione tra lo zar e lo stesso Imperatore per riconciliare i critici rapporti Romanov-Asburgo) che sono impietose verso Napoleone III :  "L'offerta francese di armistizio fu fatta nel momento in cui meno la si poteva aspettare, e tutto il contegno di Napoleone in questi giorni testimonia chiaramente che la causa degli italiani gli sta così poco a cuore quanto, nella guerra contro la Russia gli importava il destino dei Turchi. Egli parla col più  profondo disprezzo del suo nobile alleato Vittorio Emanuele e lo tratta come fosse il suo servitore e i generali francesi prendono apertamente in giro il suo esercito piemontese..."
(Alessandro d'Assia all'imperatrice Maria di Russia, sua sorella; da San Bonifacio, 6 luglio 1859. - Assia Epistolario-Diario, i 17 volumi conservati nel castello di Walchen)

Dal convegno, scaturirono i seguenti preliminari di pace :

"L'Imperatore d'Austria e l'Imperatore dei francesi favoriranno la creazione di una confederazione italiana. Questa confederazione sarà sotto la presidenza onoraria del Santo Padre. L' Imperatore d'Austria cede all'Imperatore dei francesi i suoi diritti sulla Lombardia ad eccezione delle fortezze di Mantova e di Peschiera di modo che la frontiera dei possedimenti austriaci, partendo dall'estremo raggio della fortezza di Peschiera, si stenda in linea retta lungo il Mincio sino alle Grazie, e di là a Scorzarola e Luzzano sul Po, dove le frontiere attuali continueranno a formare i limiti dell'Austria. L'Imperatore dei francesi rimetterà i territori ceduti al Re di Sardegna. La Venezia farà parte della Confederazione italiana, restando sotto la corona dell'Imperatore d'Austria. Il Granduca di Toscana e il Duca di Modena rientreranno nei loro Stati, concedendo un'amnistia generale. I due Imperatori chiederanno al Santo Padre di introdurre nei suoi Stati riforme indispensabili; si concede da una parte e dall'altra piena ed intera amnistia alle persone compromesse in occasione degli ultimi avvenimenti nei territori delle parti belligeranti".

Il giorno dopo, avuta notizia del testo dei preliminari, presenti Kossuth e Petri (uomini di fiducia di Napoleone III - Ndr.) Cavour insistette con la propria furia e indignazione: "Il vostro Iimperatore mi ha disonorato. Mi aveva dato la sua parola che avremmo cacciato tutti gli austriaci dall'Italia. E adesso si prende il premio (Nizza e la Savoia, ma senza darci il pattuito Veneto) e ci pianta in asso a mezza strada. E' terribile, terribile...Alla pace non si verrà!...Io mi farò cospiratore. Rivoluzionario. Questo trattato di pace non si dovrà attuare. No! Mille volte no! Mai!, mai"
( "Memoriale di Luigi Kossuth, "Meine Schriften aus der Emigration". Presburgo, 1880, vol. 1, pagg.518-519). Poi vista l’impossibilità di modificare gli eventi, presentò le dimissioni sue e del gabinetto, che furono prontamente accettate.
Vittorio Emanuele nell'accettare le dimissioni del Conte Benso di Cavour commentò sarcastico : "Questi signori con le dimissioni si aggiustano sempre. Sono io che non mi posso dimettere!".
(F. COGNASCO "Vittorio Emanuele II" Biografia - Utet 1942)
Cavour ormai dimissionario, tentò ancora di parlare con il Principe Napoleone (Plon Plon) ed infine, non riuscendo a conferire con l'Imperatore se ne tornò furibondo a Torino, da dove prosegui per ritirarsi nel suo possedimento di Leri.

Alberto Conterio