Luoghi comuni sulle nostre Forze Armate in Guerra

Aerei e Aeronautica
La storia scritta dai vincitori (ma anche da molti sconfitti che amano darsi un tono e apparire “sapienti”) parla di una produzione aeronautica italiana sempre un passo indietro rispetto a quella degli altri paesi in guerra, alleati e nemici.
Questo è un campo che mi ha sempre appassionato, essendo stato io stesso da giovanissimo un pilota di volo a vela, pertanto mi sento particolarmente preparato.
Possiamo sicuramente affermare quindi che qualitativamente parlando i tanto bistrattati Fiat CR.42 (per cominciare…) non erano assolutamente inferiori ai loro pari classe inglesi (i Gloster Gladiator) con cui si confrontarono in Africa. Anzi.
Anche i piloti degli Hurricane consideravano il CR.42 un bruttissimo cliente nel combattimento ravvicinato e manovrato. Essi cercavano in tutti i modi di evitare la condizione, sapendo benissimo quanto fosse pericoloso confrontarsi con l’agilissimo biplano della Fiat.
I Fiat G.50 inviati a combattere sui cieli d'Inghilterra dopo Dunkerque, erano superiori sotto ogni aspetto al Gladiator al Boulton Paul Defiant ed erano poco meno veloci ma sicuramente molto più agili del caccia standard inglese dell'epoca (l'Hurricane I), ed anche il loro criticato armamento (la solita "misera" coppia di Breda-Safat da 12.7 mm) inadeguato ad abbattere un bombardiere plurimotore, aveva una potenza di fuoco almeno pari come efficacia a quella inglese. Le 12.7 italiane infatti, contrariamente alle 7.7 britanniche allora montate sugli Hurricane, sparavano munizioni perforanti ed esplosive, bastava un solo colpo ben assestato a buttar giù un caccia avversario, e avevano un'autonomia di fuoco elevata (circa mezzo minuto, contro i 10 secondi scarsi di Hurricane e Spitfire). Inoltre, il tiro dei caccia italiani era molto più preciso e concentrato, con una gittata utile decisamente superiore, dato dal montaggio delle armi in fusoliera invece che sulle ali e dal maggior calibro.
Per la cronaca, il G.50 operanti con i piloti finlandesi ottennero il record assoluto come rateo di vittorie in tutta la II G.M. Altro che catorcio...
Per il Macchi MC.200 vale lo stesso discorso fatto per il G.50, con l’aggiunta che il Macchi aveva una posto di pilotaggio dotato di una visuale splendida, era veloce come l'Hurricane I ed era decisamente più agile sia dell'Hurricane sia del P.40 Warhawk. Per batterlo in velocità orizzontale e di salita ci voleva lo Spitfire V (che però era di generazione successiva, avendo volato 3 anni dopo il modello italiano). Un altro catorcio ?
Fra l'altro, con lo stesso motore dell’MC.200 (il Fiat A74, riproduzione su licenza del Pratt & Whitney Twin Wasp) gli americani andarono avanti fino al 1943 nel Pacifico con il Grumman Wildcat, aereo di prestazioni sostanzialmente equivalenti al Saetta, che se la dovette vedere con i prestigiosissimi Zero Giapponesi, sostenendo per oltre due anni l’urto avversario (il Wildcat fu l'aereo con il maggior numero di vittorie di tutta la guerra del Pacifico).
Il vantaggio del Twin Wasp (originale) americano era quello di utilizzare benzina a più alto numero di ottani, il che, a fronte di un'usura più precoce (ma questo non era un problema per la logistica americana) lo metteva in grado di ottenere una maggior potenza.
Il Macchi MC.202 e il Reggiane Re.2001 macchine superlative erano perfettamente in grado di confrontarsi con i loro avversari contemporanei (ultime versioni del P.40 Warhawk e Spitfire V) nel teatro mediterraneo, ed erano decisamente più avanzati dell’evoluzione finale dell’Hurricane (Mk.III) e dei Martlet (la versione inglese del Wildcat, che caso mai si potevano confrontare con il MC.200). Non parliamo nemmeno, poi dei Seafire, dei Fulmar imbarcati sulle portaerei inglesi o delle "bare volanti" P.39 Airacobra (la cui unica possibilità di salvezza era quella di picchiare il più rapidamente possibile per far velocità e battersela a gambe levate, sperando nel frattempo che il motore Allison non andasse in pezzi, o di incorrere in non volute viti causate da difetti di profilo alare non proprio indovinati)
Per vedere sui cieli europei aerei alleati tecnicamente superiori ai MC.202 e all’Re.2001 si dovette aspettare il tardo 1943, quando entrarono in scena P.47, P.51 e Spitfire IX.
A quell'epoca però, in Italia avevano già volato i caccia della serie 5, tutti perfettamente in grado di confrontarsi con i nuovi avversari.
Buttando un occhio al nostro alleato tedesco, occorre dire che proprio all’inizio del 1943, attraversando un periodo di crisi tecnica, l’industria tedesca prese in considerazione la produzione del Fiat G.55 Centauro, considerato da loro personale, il miglior caccia dell’Asse. Una versione motorizzata con il potentissimo Motore Tedesco DB.603, prese la denominazione di G.56. Nel caso fosse stato messo in produzione sarebbe stato considerato sicuramente il miglio velivolo da caccia in assoluto di tutta la guerra.
Un confronto diretto ? Il P.40 Warhawk era la prima linea dei caccia americani in Europa fino alla primavera del 1943, quando cominciarono a comparire i primi P.47 e P.51 !
Ritengo pertanto che i nostri aerei da caccia furono sempre tecnologicamente all'altezza di quelli avversari, su tutti i fronti in cui operarono. In qualche caso, addirittura, hanno goduto persino di un indiscutibile vantaggio.
Lo stesso discorso vale in campo puramente motoristico, Il problema non è che non avessimo buoni motori, al contrario, …il problema era che non se ne costruivano a sufficienza, per limiti oggettivi della nostra industria. Vi erano inoltre gravissime difficoltà a reperire materiali leganti per l’acciaio, tant’è che sui motori italiani si cercò di sostituire l’acciaio sul maggior numero di componenti possibili… persino le bielle si fecero in lega leggera, con le limitazioni che ciò poteva comportare in affidabilità ecc. Riguardo la disponibilità di motori in linea, occorre ricordare che già nel 1939 l’Alfa Romeo aveva acquistato per normale via commerciale la licenza di costruzione del tedesco DB.601, preferendolo ad altri due motori in linea (di progettazione completamente italiana). Uno era l’Isotta Fraschini Asso IX, disponibile già dal lontano 1936 in configurazione 12 a V classica come il Rolls Royce Merlin inglese …solo che l’Asso pesava quasi 100 kg meno e sviluppava 960 Cv (contro 1050 Cv) con benzina “povera” a 87 ottani e montava i carburatori compatibili con il volo rovescio (che il Merlin non aveva…). Il secondo motore era l’Isotta Fraschini Asso 1000 a 18 cilindri su 3 bancate da 6 (più grosso e pesante, ma anche molto potente) adatto ad un grosso velivolo plurimotore.
Riguardo i motori stellari, non avevamo che l’imbarazzo della scelta, e siamo stati sempre al passo con i tempi. Qualche dato ?
Alfa Romeo 135RC32 - 1400 Cv nel 1940, 1500 Cv nel 1941, con benzina a 87 ottani; lo stesso motore, con benzina a 100 ottani aveva sviluppato più di 1900 Cv già nel 1939!!!
Piaggio P.XI - 1100 hp nel 1939 (era il motore del Re.2000, il caccia venduto alla Svezia e che rimase in linea fino al 1946 !);
Piaggio P.XV - 1700 Cv nel 1942; Piaggio P.XXII - 1800 Cv nel 1943. I contemporanei Wright Cyclone montati sui B-17 e B-24 (nonché sui Wildcat FM-2 ultima versione) avevano a disposizione circa 1300 Cv, e le prime versioni dei Pratt & Whitney R2800 arrivarono a 1800-2000 Cv montati sui nuovi Hellcat e Corsair (che si videro al fronte solo nel 1943) avevano una durata operativa di non più di 48 ore, poi occorreva sostituirli ! Carenza nei materiali pregiati, benzine poco ricche in numero di ottani limitate capacità industriali furono le vere carenze aeronautiche italiane, non certo il materiale bellico impiegato, del resto i record ed i primati aeronautici Italiani conseguiti negli anni ’30 sono conferme più che valide, come le trasvolate atlantiche in formazione o il record di velocità tutt’oggi imbattuto appartenente all’idro corsa Mc.72.
L’Italia entra in guerra nel giugno 1940 producendo 260 aerei al mese, e la termina l’8 settembre 1943 producendone 270 circa, nello stesso periodo in Germania si producevano circa 3500 aerei al mese, e si sarebbe raggiunto il massimo nell’estate del ’44 con 4500 unità. La Regia Aeronautica Italiana insomma, non riusciva neppure ad avere i rimpiazzi sufficienti a bilanciare la normale usura delle cellule e dei motori…
Le perdite in battaglia poi fecero il resto !

La difesa della Sicilia - 1943
Le Forze Armate Italiane, anche se minate nel morale, per i rovesci subiti in africa ed in Russia e oppresse in gran parte da una linea politica non condivisa, opposero fiera e vigorosa resistenza alle forze anglo americane.
Ciò non è retorica "sabauda", ma è confermato dalla trascrizione delle comunicazioni tra, le forze Americane sbarcate, e le Unità navali Alleate incrocianti al largo in appoggio all'operazione. Possiamo citare il Generale Patton in persona, che vista la furiosa ed immediata reazione Italiana sul suo settore, non riteneva di poter proseguire l'azione, chiedendo di sganciarsi e il reimbarcare la sua VII Armata. Le cose poi, fortunosamente, girarono a favore degli Anglo-Americani, che superarono il momento di crisi !
A titolo di onore delle nostre forze armate, ma anche per sbugiardare il solito disfattismo repubblicano post bellico, occorre ricordare che la Sicilia, al momento dello sbarco, era oggetto di particolare attenzione da parte dell'USAAF, e della RAF (le forze aree Americane ed Inglesi), da circa 40 giorni che operando con circa 3000 aerei aveva una superiorità numerica sulla nostra Regia Aeronautica di circa 9 a 1.
Le poche forze esistenti sul suolo Italiano di Sicilia al Comando del Generale Guzzoni, ammontavano a 6 Divisioni e 2 Brigate "Territoriali", che in gergo militare indicano unità di seconda classe, formate da riservisti con età media elevata, e scarse attitudine fisiche, senza i necessari mezzi meccanici per compiere ampi movimenti e rapide manovre. Poche ed incomplete le unità tedesche in aiuto.
Gli Alleati che potevano contare su due Armate, VIII Britannica (Montgomery) e la VII già citata (Patton), con un totale di 18 Divisioni, 450.000 Uomini, ebbero in appoggio circa 2500 unità navali e mezzi da sbarco.
Il Generali Guzzoni comunque contrastò efficacemente gli alleati fin dal 9 luglio per 38 giorni, nonostante l’evidente inferiorità numerica di 4 a 1 circa. Non solo le unità Italiane non si arresero, ma furono le ultime a transitare sullo stretto di Messina, coprendo in tal modo il ripiegamento tedesco verso la Calabria !
Per dare un'idea dell'incredibile impresa che questi uomini compirono, occorre fare un parallelo : i tedeschi tra il maggio ed il giugno 1940, impiegarono 40 giorni, a piegare i franco inglesi in Francia con 3.600.000 uomini e 4500 aerei, contro circa 5.000.000 di uomini e 3000 aerei Alleati.
Si può ben dire a questo punto, che il comportamento delle nostre Forze Armate in questo frangente come in moltissimi altri fu di assoluto rispetto !
Con ciò, il tiro incrociato di chi intende colpire indirettamente Casa Savoia, investe da decenni le Forze Armate che tanto bene hanno fatto, nonostante le difficoltà materiali e gli errori di una classe politica miope e pressappochista. Il sarcasmo ed anche il disprezzo per esse e per le loro imprese, è sempre un ambito quanto facile “scalpo” per giornalisti in erba, o anche per chi vuol semplicemente darsi un tono o un’immagine a basso costo nei sempre più frequenti salotti intellettuali. A testimoniare, una terribile abitudine tutta italiana, ormai indirizzata a mettere in discussione addirittura l’operato delle Forze Armate durante la vittoriosa Grande Guerra, e ben testimoniato da questa bella lettera di dissenso del Lettera del Prof. Giovanni indirizzata al Direttore del Corriere della Sera, ma pubblicata unicamente dall’Agenzia Stampa Fert : “Egregio Direttore Mieli, come nipote (nonno materno) di un Maggiore Generale del Genio della III Armata nella Grande Guerra, intendo obiettare al libro di Lorenzo del Boca e alla Sua recensione/presentazione dello stesso, per quanto è possibile evincere dal (un po’ confuso) articolo a firma Simona Ravizza (Corriere del 24 maggio).
Credevo che finora la scure del disprezzo e della denigrazione (spesso gratuita) continuasse di preferenza ad abbattersi sui generali ed ammiragli della Monarchia relativamente alla Seconda Guerra Mondiale (habituès in questo tiro su bersagli ormai inanimati e impossibilitati a reagire, i vostri Biagi e Montanelli).
Ora purtroppo si deve constatare che il tiro viene spostato su quelli della Grande Guerra.
Non mi preme qui ricordare le benemerenze di questo mio nonno (Vincenzo Traniello), Ordine Militare di Savoia, che nel ’16 sul Grafenberg condusse di persona i suoi genieri alla baionetta (ed era già Generale !) e poi come Ispettore dei Dirigibili passò in aria mesi e mesi a difesa del traffico marittimo, fino a tale logoramento fisico da giungere a morte precoce. Mi preme invece ricordare agli immemori in buona e malafede che nella Grande Guerra caddero in combattimento o per cause connesse ben 17 ufficiali generali italiani (e fra essi rifulgono i nomi di Cantore e Prestinari). Essi furono prodromo dell’ecatombe gloriosa (definizione dello storico militare e Generale Emilio Faldella) nella Seconda Guerra Mondiale, in cui caddero in combattimento o per cause connesse ben 68 generali delle forze di terra (e 84 colonnelli), 10 Ammiragli (e 30 Capitani di vascello e Colonnelli di marina), 1 maresciallo dell’aria e 10 generali dell’aeronautica (e 22 colonnelli).
Tali numeri, nei due conflitti mondiali, non trovano uguali in nessun altro degli eserciti belligeranti. Tali numeri rappresentano la giusta, silenziosa, austera risposta a ogni sarcasmo e denigrazione “.