Pietro Micca l'Eroe e Superga la Basilica, una storia in comune

Nel luglio del 1703 il Principe Vittorio Amedeo II Duca di Savoia, dopo anni di guerra incessante a difesa del suo piccolo Ducato è rimasto senza esercito. Le sue truppe, infatti, erano alla fine state disarmate nella piana di San Benedetto Po dall’armata del Duca di Vendôme, su ordine del Sovrano francese Luigi XIV. Per continuare quindi la guerra nel tentativo di mantenere la sua indipendenza al Principe Amedeo servivano uomini e sapeva anche che avrebbe avuto bisogno di minatori bravi a scavare cunicoli perché la battaglia si sarebbe condotta sicuramente davanti alle varie fortezze di cui il Piemonte era ricco. Per questo, fra i 20 mila nuovi soldati reclutati aveva scelto anche cinquanta minatori e, tra essi troviamo il nostro Pietro Micca. Egli infatti, aveva maturato al suo paese d’origine l’abitudine a lavorare sottoterra, e per questo fu destinato alle truppe addette alla difesa delle gallerie sotterranee della fortezza torinese, che i francesi tentarono più volte di violare durante i mesi dell’assedio. Nel registro di arruolamento, accanto al suo cognome era stato messo il suo soprannome : Passepertutt.
Più che un’usanza, in quell’epoca, aggiungere il soprannome era una necessità pratica : nelle valli da cui veniva Pietro Micca, infatti, i cognomi erano quasi tutti uguali.
Nel frattempo i francesi non senza difficoltà avanzano, espugnano una dopo l’altra tutte le fortezze Sabaude, e nell’agosto del 1705 arrivano alle porte di Torino la capitale.
La conquista della città è fondamentale per poter poi dominare tutta l’Italia settentrionale fino all’Adige, sulle cui sponde è schierato l’esercito imperiale al comando del Principe Eugenio di Savoia Maresciallo Imperial Regio Asburgico.
Arrivate però in vista della città, le truppe francesi interrompono l’avanzata: le perdite subite ad opera delle irriducibili truppe Piemontesi e durante i vari assedi sono state ingenti e il morale dei soldati superstiti è a terra.Così, non disponendo di artiglieria d’assedio di grosso calibro, nel mese di ottobre decidono di ritirarsi e di rimandare tutto all’anno successivo.
All’epoca infatti le guerre venivano combattute nella bella stagione, e durante i mesi freddi, era usanza ritirarsi nei quartieri “invernali” precedentemente individuati ed attrezzati. In essi gli eserciti del tempo, colmavano i vuoti con arruolamenti locali, perfezionavano l’addestramento e accumulavano i materiali necessari alla campagna successiva.
Infatti, verso la metà del maggio 1706, i francesi di La Feuillade, forti ora di un’armata di 44 mila uomini e di un valido parco di artiglieria, riprendono l’attacco, ma commettono subito una serie di errori : il più grave è quello di non avere tenuto conto degli avvertimenti del maresciallo Vaubun che, in una lettera al ministro della guerra francese Chamillart, scriveva :
“Il groviglio delle mine vi porterà sino alla fine del mondo e non vi servirà ad altro che a sotterrare vivo quello che avete di meglio fra le vostre truppe”.
Nei mesi invernali in cui i francesi sostavano, Vittorio Amedeo II non era rimasto con le mani in mano, aveva infatti provveduto a far rinforzare le difese esterne delle mura della Cittadella con un complesso sistema di gallerie scavate da provetti minatori. La lunghezza complessiva dei cunicoli davanti alla Cittadella aveva raggiunto la bellezza di 14 chilometri, mentre quella davanti alle mura della città era di circa 7 chilometri e mezzo.
La battaglia comincia subito con combattimenti durissimi, con continui cannoneggiamenti e l’incessante guerra di mina e contromina. Le gallerie della Cittadella, che i francesi tentano invano di allargare, danno subito una buona prova di resistenza.
Per quattro mesi Torino fu bombardata, piombavano sulla città oltre 8.000 cannonate al giorno. Fu durante questi quattro mesi di assedio che si verificarono fatti di grande eroismo da parte della popolazione e dei soldati. In città non vi erano più di 15.000 Uomini in arme, sommando la milizia Urbana e le truppe regolari al comando del Generale Virico Von Daun. Il Principe Vittorio Amedeo invece, con 8.000/9.000 Uomini restanti, preferisce restare fuori città, e con continui movimenti e puntate contro gli assedianti tiene impegnate ingenti forze che altrimenti si sarebbero riversate anche loro sulla città. Lo stesso colle di Superga infatti vede la costruzione di avamposti trincerati per batterie di artiglieria con le quali battere le truppe francesi sulla pianura impegnate nell’assedio.
II 28 agosto avveniva l’incontro del Principe Eugenio con Vittorio Amedeo Il. Il punto esatto del loro incontro è ancora ben testimoniato da una “stele commemorativa” posizionata nell’odierno Corso Regio Parco.
I due condottieri salirono sul colle di Superga per esaminare meglio, da quell’altura, il campo di battaglia. Constatarono che lo schieramento nemico presentava punti deboli nella zona tra la Dora e la Stura. Giunsero alla conclusione che convogliando gli attacchi in quel preciso punto poteva esserci una valida possibilità di successo.

L’eroica impresa di Pietro Micca
Verso la mezzanotte del 29 agosto, quattro granatieri francesi invisibili nell’oscurità si calano in un fossato e raggiungono la porta attraverso la quale si entra nella galleria che conduce all’interno della piazzaforte. Vengono uccisi dai granatieri sabaudi di guardia, ma riescono ad aprire la strada ai loro commilitoni, così, alla prima dozzina ne seguono altri, poi altri ancora e hanno la meglio sul manipolo dei soldati sabaudi.
Entrano così nel primo tratto della galleria; ma qui devono scendere una rampa di scale e trovano una porta sbarrata. Dietro di essa vi è Pietro Micca, che era di guardia a quel settore. Egli conformemente al suo dovere ha sprangato la porta e sta rapidamente preparando un fornello da mina per far crollare la rampa nel caso il nemico riuscisse a superarla. Gli avvenimenti però precipitano, e sentendo sfondare la porta, Invoca ad un suo compagno a innescare la miccia, ma vedendolo in difficoltà gli urla : “Alzati di là, sei più lungo di un giorno senza pane, lascia fare a me e scappa a salvarti”.
E innesca una miccia corta, cercando subito dopo di mettersi in salvo. Non ci riesce. L’esplosione quasi immediata fa crollare la volta della scala e travolge i francesi, che nel frattempo sono riusciti a sfondare la porta. Vedono la fiamma della miccia che si sta avvicinando ai barili di polvere, un granatiere si china per spegnerla ma non fa in tempo e la mina esplode, staccandogli la testa di netto.
Lo scoppio uccide anche il coraggioso minatore biellese, raggiunto dall’onda d’urto dell’esplosione infatti è scaraventato a quaranta passi di distanza lungo la galleria bassa. Il compagno, che è ustionato ma salvo, lo sente gemere prima di morire.
Le scale e la galleria superiore crollano seppellendo gli invasori.
Cosa avrebbero potuto fare i francesi se fossero riusciti a penetrare oltre ?
Nessuno può dirlo ora ne mai, certo è che grazie al sacrificio di Pietro Micca la città di Torino può dirsi a quel momento salva…
“Pietro Micca, nato a Sagliano d’Andorno (oggi Sagliano Micca) il 5 marzo 1677 e morto a Torino nel 1706” è scritto su una enciclopedia. E su un’altra : “Soldato piemontese, durante la guerra di successione spagnola salva Torino dall’invasione francese facendo saltare la galleria d’accesso alla città, rimanendovi sepolto”.
La sorte di proteggere Torino, quasi tre secoli fa, toccò proprio a Pietro, che aveva 29 anni e non era un soldato di professione. Sposato da meno di due anni, e con un figlio che di lì a quattro settimane avrebbe compiuto un anno, fino a due anni prima aveva fatto il minatore nella valle di Adorno, o Valle Cervo come è denominata oggi.
Pietro Micca nacque dunque ad Andorno (Cantone Sagliano) il 5 marzo 1677. Il padre, Giacomo, era di antica famiglia della Valle d’Andorno, presente in paese fin dal 1540. La mamma era Anna fu Fabiano Martinazzo di Riabella, ed era stata sposata dal padre in seconde nozze. Seguendo le tradizioni della famiglia materna, Pietro imparò giovanissimo a lavorare la pietra e divenne scalpellino e minatore.
A Sagliano Micca, al numero 4 di via Roma, è ancora oggi possibile vedere la casa natale di Pietro Micca. Il muro di cinta del cortile e quello della casa sono tappezzati di lapidi a ricordo dell’eroico gesto. Inoltre, la piazza principale del paese è a lui dedicata.
L’episodio testimonia un limpido e cosciente atto di eroismo compiuto da un soldato che ha svolto fino in fondo il suo dovere, ed è divenuto il simbolo del sacrificio di tutti coloro che difesero la cittadella prima, e di tutti coloro che difesero l’onore della nostra Patria poi.
Da allora Torino ha continuato a celebrare il suo eroe, tanto che ancora oggi, in via Guicciardini 7, proprio sopra la galleria (recuperata nel 1958 e ora visitabile) c’è un museo che racconta la storia del piccolo uomo biellese che fermò la Francia.
La guerra continua però, e l’Assedio di Torino si concluderà solo il 7 settembre con la totale sconfitta dei francesi pochi giorni dopo quest’atto.
Ancora il 2 settembre infatti Vittorio Amedeo Il e il Principe Eugenio si recarono nuovamente sul colle di Superga, fu in quella occasione che dopo aver verificato gli schieramenti ormai quasi completati delle loro forze riunite entrarono insieme nella chiesetta sita sul colle, che fungeva allora da parrocchia per i pochi fedeli della collina. Lo storico Felice Pastore, afferma che fu in quella circostanza, celebrata una Santa Messa, i due Principi si accostarono ai sacramenti; poi venne cantata solennemente l’Ave Marìs Stella. Giunti al versetto “monstra Te esse Matrem” (dimostraci che sei madre) Vittorio Amedeo Il si prostrò ai piedi della statua (quella venerata tutt’oggi nella cappella detta del voto) fece voto che se la Madonna gli avesse fatto ottenere la vittoria avrebbe costruito sul colle di Superga un magnifico Tempio a lei dedicato.
La tradizione sull’esistenza del voto, è un elemento costante e ha il suo supporto in notevoli testimonianze, Il Carbonieri infatti asserisce che la notizia del voto fu già raccolta dai viaggiatori che visitarono Superga durante i lavori, Breva, Selhouette e Kejssler.
D’altronde che di voto si trattasse è opinione di scrittori settecenteschi, come il Craveri (1753) al voto fanno riferimento il discorso funebre per Vittorio Amedeo Il del Vescovo di Alessandria, Gattinara, l’11 dicembre 1732 e l’epigrafe sopra la porta principale nella parte interna.

Virgini Genitrici
Victorius Amedeus, Sardiniae Rex
Bello Gallico, vovit
Et pulsis bostibu s fecit, dedicavitque

(Alla Vergine Madre di Dio
Vittorio Amedeo, Re di Sardegna
nella guerra contro i francesi, fece voto
e cacciati i nemici costruì e dedicò questo tempio)

Scesi dal colle i due Principi misero in esecuzione il loro piano di battaglia. La sera del 6 settembre l’esercito austro-piemontese era tutto schierato alle spalle dì quello nemico fra la Dora e la Stura.
La mattina del 7 settembre alle ore 10 iniziò la battaglia…
Lo scontro fu tremendo con perdite ingenti da ambo le parti.
L’esercito congiunto austro-piemontese ebbe la meglio infliggendo ai francesi una sconfitta decisiva.
La vittoria liberava Torino e la popolazione da tutte le sofferenze.
Il Piemonte aveva acquistato in un giorno la sua totale indipendenza. La popolazione venuta a sapere del voto del Principe Vittorio Amedeo attribuì la vittoria all’intercessione della Madonna. Una vittoria inaspettata, che suscitò in tutti una gioia e un’ entusiasmo incontenibile. Le sofferenze subite erano state troppe, ora finalmente la liberazione. L’incubo della paura e della morte era scomparso provocando nell’animo di tutti un sollievo indicibile.
Si iniziarono i festeggiamenti che furono solenni. Torino appariva trasformata, bandiere e drappi sventolavano in ogni dove.
Sulla cittadella, segnata dai bombardamenti, sventolava una grande bandiera con al centro lo stemma di Vittorio Amedeo Il. Torino non si limitò ai festeggiamenti di stato e di folklore, iniziarono anche preghiere di ringraziamento in tutte le chiese specialmente alla Consolata.
La città, era comunque in condizioni disastrose.
Occorre ricordare che Torino ed il Piemonte uscivano da una lunga guerra, da tante scorribande e rapine. L’erario statale e la cassa ducale erano completamente vuote. La riserva monetaria non esisteva più, tutto era andato a sostenere le spese di guerra. Inoltre bisognava fare prima le cose più essenziali, ricostruire la città danneggiata dai bombardamenti, rifare le strade, le case, le chiese danneggiate o lesionate, portare via le macerie, disfare i cunicoli sotterranei, togliere le barricate; un lavoro certamente lungo e costoso per quel tempo.
Ricostruita Torino, il Principe Vittorio Amedeo II divenuto nel contempo Re di Sicilia, pensò poi, come vedremo, a mantenere il voto fatto.


La Basilica di Superga
L’Abate Juvarra nacque a Messina nel 1676. Alla fonte battesimale i suoi genitori gli imposero il nome di Filippo. Da giovane si dedicò agli studi ecclesiastici, ed entrò nella Congregazione dei Filippini. Divenne sacerdote, ma preferì seguire l’inclinazione artistica anziché fare la vita del monaco.
Come artista, lo Juvarra, esordi nella bottega di oro e argento del padre in qualità di cesellatore, imponendosi all’attenzione critica dei maestri del tempo. Nel 1703, con l’intenzione di perfezionare gli studi, venne a Roma, fu allievo dell’Architetto Carlo Fontana collaboratore del Bernini. A Roma fece parte dell’Accademia di Santa Lucia, che in quel tempo raggruppava i migliori artisti. Come saggio per la sua iscrizione presentò un progetto di chiesa con due campanili (preludio di quello che farà poi a Superga). Arricchitosi di idee nuove e di esperienza ritornò in Sicilia. La fama di Architetto la ottenne con la venuta del Duca Vittorio Amedeo Il in Sicilia, divenne Architetto della Real Casa. Quando Amedeo Il, dopo aver assunto il titolo di Re, lasciò definitivamente l’isola (1714), portò con sé a Torino anche l’Abate Juvarra.
A Torino l’attività del Juvarra assume un ritmo frenetico e travolgente e si manifesta nelle linee architettoniche di molti edifici cittadini e dei dintorni. Non si limitò a lavorare solo per i Savoia, ma lasciò l’impronta del suo estro e della sua abilità in tutta l’Italia e anche all’estero.
Mentre edificava la Basilica di Superga, costruiva contemporaneamente la Cattedrale e il Castello reale di Lisbona, infatti, lo troviamo a sovrintendente nel 1720 a quei lavori.
Era Architetto dei Savoia e anche Architetto della Fabbrica di S. Pietro a Roma. Le sue opere sono inconfondibili, stilisticamente continue, non denotano nessun divario di età, sono tutte solenni con sovrabbondanza di spazi che si traducono in agio e respiro, rappresentano validamente il tardo barocco con tendenze al neoclassicismo.
Un esempio di casa della bravura dell’abate Juvarra, lo ritroviamo nell’architettura del Santuario di Oropa !

Lo Scavo del Colle
Juvarra aveva elaborato un grandioso progetto di costruzione ma il colle di Superga come era geograficamente costituito non dava la possibilità di realizzarlo. Bisogna quindi, scavare il colle, abbassandone la cima. Nel maggio del 1716 iniziarono i lavori di demolizione della vecchia chiesa e il conseguente abbassamento del suolo.
Si trova conferma della data dei lavori dalla firma del contratto e dalla prima rata di lire 50 mila, pagate il 7 maggio 1716 dalla tesoreria di stato. Nei primi mesi dell’anno infatti era già stato pagato il falegname Carlo Maria Ugliengo, per avere effettuato il modello della Basilica e del fabbricato annesso (bozzetto in legno che si conserva ancor oggi a Superga). Questo pagamento spiega con evidenza che in quel periodo lo Juvarra aveva già portato a termine il suo disegno.
L’abbassamento del colle fu compiuto con molta celerità.
E’ sorprendente constatare che nell’arco dì un anno si sia riusciti ad abbassare il monte di 40 metri, con i mezzi a disposizione del tempo, picconi, pale e cariole !
Nello scavo intervenne anche Juvarra con una sua descrizione dettagliata nella quale spiega come deve essere effettuato il lavoro di scavo e si raccomanda di conservare il materiale scavato che potesse eventualmente essere utile alla costruzione.
Nel corso dei lavori risultò che l’area occupata dall’antica chiesa e i terreni ceduti dal comune, non erano sufficienti a formare un piazzale con le dimensioni richieste dal Juvarra. Il Re fu costretto a comperare altri appezzamenti di terreni da alcuni privati, tra i quali uno di proprietà della Compagnia del SS. Rosario, firmarono il contratto di vendita i signori Rocco Nicola e Bertoglio Giovanni, priori in quell’anno.
Mentre le squadre degli operai lavoravano allo scavo, la grande quantità di materiale utile alla fabbrica (pietre, mattoni, marmi, legnami ecc.) che proveniva da luoghi diversi veniva depositata ai piedi della salita che porta al colle, per cui la località venne chiamata «Sassi» nome con cui ancor oggi la contrada è conosciuta dai torinesi.

Posa della prima pietra
Terminato lo scavo del colle venne deposta la prima pietra, era il 20 luglio 1717, essa venne collocata sotto il grande pilastro che divide la sacrestia dalla cappella dedicata alla Beata Margherita di Savoia, con una iscrizione in latino incisa su di una lastra di marmo bianco e coperta con un’altra dello stesso marmo. L’iscrizione dice :

Alla Madre del Salvatore
Alla Salvatrice di Torino
Vittorio Amedeo,
Re di Sicilia, di Gerusalemme e di Cipro posava la prima pietra
il giorno 20 luglio 1717.

Alla cerimonia era presente il Marchese Garaglio, governatore di Torino, in rappresentanza del Re. La cerimonia si svolse con una Messa celebrata dal vicario generale del Capitolo, il canonico Domenico Tanfo. Al termine della Messa vennero lette le preghiere rituali della benedizione.
In quella occasione, I Re con “regio biglietto”, ordinò di elargire al Juvarra una gratìfica di lire mille, lavori della costruzione iniziarono subito dopo la posa della prima pietra.
Il materiale usato era quasi tutto di provenienza locale, perché era difficile, in quell’epoca, acquistare e trasportare materiale edile dalle altre regioni d’Italia o da altri stati. Le cave di marmo maggiormente sfruttate erano quello di Frabosa, Cassino, Frossasco, Foreste, invece l’onice veniva tolto dalla cava di Busca in Dronero. Dalla cava di Frabosa, essendo la più lontana da Torino, I trasporto o “le condotte” si svolgevano in due tempi; prima fino a Chieri e poi da Chieri a Superga. I blocchi di marmo venivano generalmente abbozzati e talvolta lavorati sul posto, poi trasportati su carri a Superga. La sabbia veniva scavata e tolta presso la confluenza del Po con la Stura presso Lanzo. La calce e mattoni venivano preparati sul colle.
È opportuno far notare a questo riguardo la difficoltà di trasportare il materiale da Sassi a Superga, poiché la strada non era agevole come quella di oggi, essa faceva un diverso percorso, si dirigeva verso Tetti Bertoglio per poi arrampicarsi sul colle.
Era, come si legge nelle cronache del tempo, una strada stretta, disagevole, alpestre, durante il periodo delle piogge, diventava impraticabile.
Troviamo nei conti della tesoreria somme dì denaro più volte pagate per ripararla, eppure la maggior parte del materiale, persino l’acqua, è transitato su quella strada. Il Pastore dice, che i Reali, quando si recavano a Superga, non passavano mai da questa strada, bensì da Chìeri. Quella attuale fu fatta più tardi, al tempo di SM Carlo Emanuele III di Savoia Re di Sardegna.

Dal diario dell’Abate Juvarra : “I lavori preliminari intorno agli zoccoli e alle basi delle colonne si svolgono nel 1718; l’anno successivo i muri arrivano alla sommità del primo ordine; nel 1722 è raggiunta l’imposta delle volte, quindi vengono inalzati il tamburo (1722) e le due grandi calotte (1725). Di pari passo operano i piccapietre per le Otto colonne di marmo bìgìo dì Frabosa che compongono l’ordine inferiore dell’interno; per le colonne interne ed esterne del tamburo e del laternino di marmo di Cassino; per i capitelli corinzì e composti di marmo di Brossasco, per la scala del campanile verso mezzogiorno di pietra di sarizo.
La casa dei religiosi è ‘coperta’ nel 1724, ad eccezione del lato di levante, ultimato più tardi. Con il 1726 risultano finite le principali strutture della chiesa; è l’anno segnato sull’anello di base del cupolino. Verrano poi la “stabilitura” della cupola e del convento, gli altari, la preparazione delle colonne di marmo di Cassino per il pronao e per i campanili, gli ornamenti di stucco ed i pochi affreschi. Ulteriori lavori, dal 1727 al 1730, riguardano il pronao e le pareti terminali e della cupola, la sistemazione di terrazza e scalinata in legno, di banchi, porte, cantorie e della balaustra intorno al tamburo”

L’inaugurazione della Basilica
Verso la fine dell’anno 1730 la chiesa era finita, mancavano solo alcune rifiniture molto marginali; anche il caseggiato, destinato ad accogliere i convittori era finito, arredato e reso abitabile, mancava da finire la residenza del Re.
A questa si sarebbe pensato in seguito, purtroppo non se ne fece nulla ed è rimasta così come era allora, …incompiuta.
Lo stesso Vittorio Amedeo Il, che nel frattempo aveva abdicato il 13 settembre 1730, in favore del figlio Carlo Emanuele III, scriveva da Chambery al marchese d’Ormea (17 dicembre 1730) “... abbiamo tutta la soddisfazione d’intendere che nel prossimo aprile si consacri la chiesa e si apra il convitto di Soperga”. Però nacquero delle difficoltà che costrinsero a dilazionare l’inaugurazione. Non si conoscono con esattezza le cause, forse furono dovute alla nomina del preside e dei convittori, tuttavia il 23 ottobre 1731 Carlo Emanuele III poté nominare i dodici convittori e stabilire la data dell’inaugurazione. Da un documento attendibile si apprende che il giorno 30 ottobre 1731 tutti i convittori con il preside Cerretti erano radunati a Superga.
La sera deI 31 ottobre il grande elemosiniere del Re, il Rev. Don Francesco Arborio da Gattinara benediceva la chiesa alla presenza dell’architetto Juvarra, Il giorno seguente il 1 novembre 1731 la chiesa veniva aperta al pubblico con una solenne celebrazione. Alla cerimonia era presente il Re Carlo Emanuele III, il Juvarra, i convìttori, le autorità civili e numeroso pubblico.
La consacrazione della Basilica venne effettuata più tardi il giorno 12 ottobre 1749 dal Cardinale Delle Lanze.
Un calcolo approssimativo, farebbe pensare a circa due milioni di lire antiche del Piemonte la somma impiegata per la sua costruzione.

Le Tombe Reali
Una descrizione dell’agosto 1728, in cu si parla “sullo scavo di terra all’interno formarvi la cappella sotterranea” è una autentica testimonianza del proposito di costruirvi in quel luogo la cripta sepolcrale.
Si deve però arrivare sino aI 1774 per vedere realizzato il progetto «cripta» quando Vittorio Amedeo III incarica l’architetto Francesco Martinez, nipote del Juvarra, di sistemare i sotterranei trasformandoli in un mausoleo.
Nel bilancio delle fortificazioni e fabbriche di Sua Maestà, leggiamo, che alla voce “Soperga” viene aggiunto un nuovo capitolo, quello dei “lavori nuovi*sotterranei della nuova chiesa”. 20 mila lire per pagare i lavori che si stanno effettuando nella cripta sotterranea per le tombe dei Savoia.
La cripta è a forma di croce latina con ai lati del braccio trasversale due cappelle sottostanti, una il lato della sacrestia e l’altra il lato della cappella del voto.
Alla cripta si accede percorrendo, prima, un maestoso scalone di marmo, poi un ampio corridoio. Il vano semicircolare al termine dello scalone è abbellito da una scultura di marmo di Carrara, che il Re Vittorio Emanuele Il fece ivi collocare nel 1878. La scultura, precedentemente esposta nella sala di ingresso dell’Armeria Reale di Torino alla quale era stata donata da Maria Teresa di Borbone, raffigura S. Michele Arcangelo che sconfigge il demonio. Autore dell’opera è un allievo del Canova, Carlo Finelli da Avenza di Carrara.
La cronaca ci dice che alla morte del Martinez, avvenuta nel 1777, i lavori erano quasi del tutto ultimati, Vittorio Amedeo III l’anno successivo poteva inaugurare la cripta e iniziare le tumulazioni delle salme, traslocandole dalle varie località in cui erano state tumulate.

Si chiude in questo modo la vicenda storica, che vede sicuramente collegati l’Eroe Pietro Micca alla Basilica di Superga. Ci piace pensare che Torino, Superga, la storia del Piemonte e quindi della nostra stessa Italia siano dovuti al suo gesto. Sta a noi non dimenticare !