L’influenza di Giuseppe Mazzini nella massoneria italiana



L’appartenenza alla massoneria, in senso organico e attraverso una iniziazione rituale “regolare”, di Giuseppe Mazzini non è mai stata provata, come d’altra parte quella di un altro Padre della Patria, Camillo Cavour. Uno dei più preparati storici della massoneria José Antonio Ferrer Benimeli, a proposito di una imprecisa notizia pubblicata sul "Boletín" massonico spagnolo nel 1920, afferma: «Mazzini non fu mai massone benché molti continuino ad affermarlo». Con ciò precisando i termini attuali della "vexata quaestio"[1]. Viceversa André Combes parlando della loggia irregolare dei "Philadelphes" costituita in Inghilterra dai massoni radicali francesi, esuli dopo la giornata del 13 giugno 1849 e dopo il colpo di stato bonapartista del 2 dicembre 1851, e aggiunge in nota: «Secondo Bradlaugh, Mazzini aveva frequentato tale Officina»[2].

Questo secondo accenno fa riferimento a circostanze che spiegano in larga misura le origini della "leggenda nera" relativa a Mazzini massone e alla famosa “cifra” massonica che avrebbe ricevuto[3], e si collocano nel secondo periodo della carriera rivoluzionaria del Genovese e della sua frequentazione ‑ che è tutt'uno ‑ di società segrete. Ma di ciò diremo fra poco.


Esplicitiamo ora la periodizzazione qui sopra presupposta. E rammentiamo che dal 1827 alla fine del 1830 Mazzini è carbonaro; il 21 novembre 1830 l'imprigionamento spezza la sua attività carbonica e il giovane rivoluzionario avvierà l'anno seguente il secondo complesso periodo della sua azione fondando la "Giovine Italia". Come sappiamo, i 30 anni dal 1831 al 1861 costituiscono il fulcro della carriera rivoluzionaria mazziniana e traboccano di eventi drammatici.


Dal 1861, allorché l'unità d'Italia, se pure incompiuta, è proclamata in chiave sabauda malgrado il decisivo apporto di Garibaldi e del Partito d'Azione, il "lavoro" di Mazzini ‑ così egli definisce le sue imprese di rivoluzionario professionale ‑ assume nuovi aspetti; ne diventa parte essenziale la penetrazione nel movimento operaio; e il perseguimento delle mète non raggiunte dell'Indipendenza ‑ Venezia e Roma ‑ si legano a uno sforzo multiforme di penetrazione nella nuova realtà nazionale. Nel frattempo è risorta e si sta sviluppando rapidamente in tutto il paese la massoneria italiana, divisa peraltro in due principali organizzazioni: la prima rinasce a Torino nel 1859, passa a Firenze nel 1864, poi a Roma dopo il 1870, accomuna elementi moderati con altri più rivoluzionari, comunque si colloca nel quadro dello stato monarchico e finirà per prevalere; la seconda è diretta da Palermo e si caratterizza per il suo tendenziale radicalismo repubblicano.

E ora accenniamo una sintetica valutazione sull'animus di Mazzini carbonaro. Dopo aver fondato e diretto in Francia la "Giovine Italia", e specialmente dopo gli aspri contrasti col massone e supercarbonaro Filippo Buonarroti, il Genovese proferirà giudizi negativi sulla Carboneria. Ma da un'illuminante pagina di Alessandro Galante Garrone ricaviamo la considerazione che, in realtà, il triennio 1827-1830 aveva visto un'adesione fattiva ed entusiasta del giovane rivoluzionario alla setta: egli «aveva aderito alla Carboneria per un irrefrenabile bisogno di agire che, nella situazione data, non aveva modo di sfogare altrimenti»[4]; d'altra parte «i carbonari, nonostante tutte le loro angustie, avevano ai suoi occhi il merito di aver voluto unire il pensiero all'azione: che era, e sarebbe sempre rimasto, per Mazzini un elogio non piccolo»[5].

In realtà, fra l'altro, non solo Mazzini continuerà a collaborare in Francia colla Carboneria nella prima metà degli anni 30, ma poiché in Italia alcuni gruppi carbonari sopravvissero, soprattutto nello stato pontificio, per tutto l'800 e anche dopo, egli non ebbe alcuna difficoltà a riprendere contatto con essi e a metterli in collegamento con le proprie organizzazioni cospirative[6].

Dopo la "Giovine Italia", il trentennio del secondo e decisivo periodo di lotte per l'indipendenza e unità italiana vide Mazzini a capo di varie successive organizzazioni da lui fondate, soprattutto la seconda Giovine Italia, l'Associazione Nazionale Italiana, il Comitato Centrale Democratico Europeo e il connesso Comitato Nazionale Italiano e, dopo lo sciagurato tentativo insurrezionale del 6 febbraio 1853 a Milano, il Partito d'Azione.

Ma, dopo questa tremenda sconfitta, vi è anche la misteriosa visita di Mazzini all'antico carbonaro Pellico menzionata da Mola [7]. E in Inghilterra, soprattutto tra gli ultimi anni '50 e gli ultimi anni '60, vi sono in ogni caso attivi contatti con la menzionata loggia irregolare dei "Philadelpes", nucleo originario di quella che poi diventerà la "Prima Internazionale", analiticamente documentati, ad esempio, da B. Nikolaevsky[8]. Non mancano, attraverso le personalità liberali che appoggiano in Inghilterra l'azione mazziniana, contatti con la massoneria regolare: la prima riunione dei "Friends of Italy" si tiene a Londra nella località storica detta "Freemasons' Tavern"[9].

Ma il terzo periodo sopra accennato, quello che si avvia nell'Italia unita e ha come caratteristica più nota e innovativa il riuscito sforzo di Mazzini per permeare il movimento operaio, inaugura anche una fitta serie di rapporti fra lui e la risorta Massoneria italiana. E che ciò non avvenga per caso ci pare di coglierlo attraverso un indizio solitamente trascurato o ritenuto di segno opposto.

Dal 1861 in poi viene pubblicata a Milano, presso l'editore Gino Daelli, la raccolta degli Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, curata dall'Autore. I primi 7 volumi escono fra il 1861 e il 1864. L'ottavo, ancora a cura dell'Autore, verrà stampato nel 1861 da altro editore. Dopo la morte dell'Apostolo, vari altri volumi seguiranno a cura di Aurelio Saffi, poi di altri. Nella parte della raccolta apprestata direttamente dal protagonista, i vari scritti sono raccordati da brani autobiografici, che molti anni dopo, nel 1938, verranno riuniti a cura di Mario Menghini formando una postuma autobiografia mazziniana, di utilissima consultazione[10] .

La raccolta "daelliana" degli Scritti editi ed inediti si presenta, ed è, un'opera di documentazione storica, ma in pari tempo persegue scopi di propaganda politica. Che per la realizzazione di questo secondo fine venga anche utilizzato qualche abile accorgimento lo dimostra una circostanza che ha occasionato una modesta scoperta filologica di chi scrive: la posizione e il taglio dell'inizio e della fine di un documento, intitolato poi dai curatori dell'Edizione Nazionale, Dilucidazioni morali allo Statuto della Giovine Italia, gli conferiscono un aspetto alquanto innocuo rispetto al documento completato e ricollocato all'epoca esatta della sua emanazione. In realtà si rileva allora che si tratta di una delle prime redazioni della Istruzione generale per gli affratellati della Giovine Italia, precedente a quella riportata ufficialmente nella raccolta: più battagliera e rivoluzionaria di quella e quindi giudicata dall'Autore meno produttiva ai fini dell'immagine che intendeva dare di sé e della sua azione agli strati ormai più moderati di lettori ai quali ora si rivolge[11].

Citiamo questo fatto per introdurre subito un altro assunto dimostrativo. E' notissimo quel passo dei ricordi autobiografici citati, in cui il Mazzini, rievocando la prigionia nel carcere di Savona, accenna a "una scena ridicola ch'io m'ebbi col Passano" (suo superiore in Carboneria), il quale «incontrato da me per caso nel corridoio... al mio sussurrargli affrettato: “Ho modo certo di corrispondenza; datemi nomi”, rispose col rivestirmi di tutti i poteri e battermi sulla testa per conferirmi non so qual grado indispensabile di Massoneria»[12]. L'accenno ha riferimento alla dipendenza dei massimi dirigenti carbonari da "superiori incogniti" di segreta estrazione massonica scozzese[13]. Ed è buttato lì, come un fatterello insignificante, appunto addirittura ridicolo. Però questo attesta che di fatto Mazzini abbia ricevuto una, per quanto forzatamente sommaria e sotto l’aspetto rituale perlomeno “anomala”, iniziazione massonica.

Del resto egli ben sa che suo padre, il medico e professore uni­versitario Giacomo Mazzini, ha fatto parte, nel periodo napoleonico, della loggia genovese "Gli Indipendenti", e che il fatto di essere figlio di massone proietta sulla sua stessa esistenza un particolare carisma [14].

Indipendentemente dalla questione di ritenere valida o meno la sua iniziazione accade negli anni seguenti che Mazzini, fino ai suoi ultimi giorni, svolge un'intensa azione nei confronti delle logge[15], in cui si alternano e si mescolano, secondo il susseguirsi di diverse situazioni, principalmente tre tipi di azione:

a) la ricerca di collegamenti e lo sforzo di potenziare le logge del Grande Oriente di Palermo, di orientamento, come si è detto, radicale e repubblicano;

b) creazione nel 1866 di una sua nuova organizzazione di lotta, l'Alleanza Repubblicana (in seguito, Alleanza Repubblicana Universale) e il tentativo di farla penetrare nelle logge, per politicizzarle ai propri fini;

c) l'instaurazione di rapporti amichevoli anche con esponenti singoli e con intere logge dell'altro raggruppamento massonico, il Grande Oriente d’Italia, con centro, come si è detto, prima a Torino poi a Firenze quindi a Roma.

I due limiti estremi e contraddittori di tale molteplice serie di azioni e di discorsi sono, in senso di estraneità alla Massoneria, le dichiarazioni secondo cui «noi [componenti dell'ARU] non siamo massoni»[16] e le valutazioni spregiative circa la massoneria moderata e non politicizzata[17]; nell'opposto senso di compenetrazione con essa, le considerazioni sulle comuni finalità e i "regolari rapporti", e l'asserzione della necessità dell'esistenza della massoneria, poiché «non si può avversare un'Associazione di uomini che mira ad un fine morale, che accenna in Italia ad intendere sempre più l'unità di tale problema, connettendo l'ispirazione politica e il miglioramento individuale»[18]. Vi è poi l'accettazione da parte del Genovese di varie nomine a membro onorario di logge di entrambe le obbedienze, e la trattativa con Federico Campanella per la propria nomina a Gran Maestro del Grande Oriente di Palermo, che nel 1868 sfiora la conclusione positiva[19], e sfiora quindi l'inserimento nella storia di Giuseppe Mazzini come Gran Maestro di un'Obbedienza massonica.

Tutto questo autorizza l'ipotesi che, malgrado l'understatement con cui viene accennata, la narrazione dell'iniziazione massonica clandestina nel carcere di Savona possa non essere stata messa lì a caso, ma per far vedere che, bene o male, l'antico carbonaro poteva pur dire di essere anch'egli massone.

Dopo un attivo interscambio di manifestazioni fraterne di ogni genere, negli ultimi suoi anni i massoni italiani considerarono Giuseppe Mazzini come un fratello.

Dopo la morte dell'Esule in patria, a Pisa, il 10 marzo 1872, il trasporto della salma da Pisa a Genova, salutato dovunque dalla folla, suggerì al massone Giosue Carducci la nota epigrafe dedicata a «L'ultimo/ dei grandi italiani antichi/ Il primo dei moderni/ Il Pensatore/ che di Roma ebbe la forza/ dei Comuni la fede/dei tempi moderni il concetto" e che conclude con le parole: "L'Uomo/ che tutto sacrificò/ che amò tanto/ E molti compatì e non odiò mai/ GIUSEPPE MAZZINI/ Dopo quarant'anni di esilio/Passa libero per terra italiana/ Oggi che è morto./ O Italia/ Quanta gloria e quanta bassezza/ E quanto debito per l'avvenire»[20]. Sulla sua bara, nel corso dell'imponente funerale genovese, cui presero parte numerosi massoni diretti dal Gran Maestro Aggiunto Michele Barabino, delegato del Grande Oriente e capo del Comitato per l'accompagnamento a Staglieno, venne posta la sciarpa da maestro[21]. A perenne memoria del triste evento, il 10 marzo divenne ed è tuttora, per i massoni italiani, il giorno dedicato alla commemorazione dei defunti.

La tomba di Staglieno rimase pertanto il sacrario a cui fece d'allora in poi riferimento la schiera dei mazziniani massoni. Schiera illustre il cui esponente esemplare era stato a lungo, fino al memorabile incontro inglese del 1864 e oltre, per poi esserne staccato da profondi dissidi, Giuseppe Garibaldi. Parliamo un momento, sia pure schematicamente, di questo secondo aspetto.

Fecero parte di quella eletta schiera, alcuni per un tratto della loro carriera politica, che da un certo punto in poi, come nel caso di Garibaldi, li allontanò dall'Apostolo, altri fino alla morte di lui e talora fino alla fine della loro vita, personaggi la cui elencazione, sia pure largamente incompleta, già fornisce essenziali connotazioni su una mentalità caratterizzata quasi sempre dall'intransigenza politica e morale.

Menzioniamo dunque Felice Albani, Giorgio Asproni, Giovanni Bovio, Benedetto Cairoli, Federico Campanella, Luigi Castellazzo, Francesco Crispi, Ariodante Fabretti, Nicola Fabrizi, Ettore Ferrari, Ludovico Frapolli, Saverio Friscia, Francesco Guardabassi, Adriano Lemmi, David Levi, Giuseppe Libertini, Alberto Mario, Giuseppe Mazzoni, Gustavo Modena, Giuseppe Montanelli, Mattia Montecchi, Antonio Mordini, Emesto Nathan, Giuseppe Petroni, Carlo Pisacane, Maurizio Quadrio, Aurelio Saffi, Annibale Vecchi , Livio Zambeccari, Luigi Zuppetta.

Come abbiamo detto, non vi fu una frazione massonica nel movimento mazziniano: piuttosto, vi fu una certa tendenza di coloro che assommavano le due qualità a collocarsi dalla parte di Garibaldi, allorché la sua strada si separò da quella di Mazzini.

Né vi fu una corrente puramente mazziniana all'interno della massoneria, ambiente in cui le vicende degli anni 60 dell'800 contrapposero piuttosto lo schieramento democratico di coloro che, mazziniani o garibaldini, provenivano dal Partito d'Azione, a quello del gruppo cavouriano che dominò negli anni torinesi del Grande Oriente Italiano[22].

Piuttosto, quei seguaci del Genovese che, rigorosamente intransigenti nelle pregiudiziali repubblicane, per mezzo dell'organizzazione delle Società operaie affratellate, poi del Partito repubblicano, riuscirono a far sopravvivere il movimento mazziniano nei difficili anni dal 1872 alla fine del secolo, si giovarono grandemente della loro collocazione massonica per uscire dall'isolamento[23]. Ciò specialmente allorché in tal modo riuscirono più prontamente a unire le loro forze a quelle degli altri gruppi dell'Estrema, radicali e socialisti, nei momenti drammatici in cui le svolte reazionarie dei governi monarchici tentarono di svellere dalle radici le componenti democratiche della politica italiana.

Reciprocamente, per quanto dalle frange davvero più estreme ed extraparlamentari della società italiana la massoneria venisse considerata più o meno uno strumento del trasformismo borghese, asserzione che Mussolini e Bordiga fecero poi penetrare durevolmente nella mentalità dei socialisti italiani, i suoi Grandi Maestri dal 1871 al 1919 - Mazzoni, Petroni, Lemmi, Nathan e Ferrari - continuarono a professare il culto della figura e del pensiero di Giuseppe Mazzini, considerato come l'incarnazione dei più alti ideali proponibili alla nazione italiana, anzi di un'etica di valore universale.

Fra i numerosi omaggi letterari che gli vennero dedicati, i più significativi si debbono a tre massoni. Ancora a Carducci, che oltre all'epigrafe dianzi ricordata, lo esaltò in due componimenti pubblicati nel libro II di Giambi ed epodi. Uno è datato 11 febbraio 1872 e venne pubblicato due giorni dopo, dunque è dedicato a Mazzini ancor vivo, ed è il sonetto che inizia con le parole «Qual dagli aridi scogli erma su'l mare/ Genova sta, marmoreo gigante,l Tal, surto in bassi dì, su'l fluttuante/ Secolo, ei grande, austero, immoto appare." E conclude: "Esule antico, al ciel mite e severo/ Leva ora il volto che giammai non rise,/—Tu sol—pensando, o ideal, sei vero.»[24]. Ad esso segue un altro componimento intitolato Alla morte di Giuseppe Mazzini, datato 12 marzo 1872.

Allievo di Carducci, lui pure iniziato, Giovanni Pascoli dedicò all'Apostolo nel centenario della nascita un ampio componimento, l'Inno secolare a Mazzini, che esordisce: «Cento anni?!... Tu nell'evo eri, degli evi!... Tu, quando niuno ancor vivea, vivevi", e conclude: "E solo allora tu sarai, Mazzini!»[25] .

L'altro scrittore a cui si debbono numerose e ispirate evocazioni di Mazzini e della sua grandezza morale e politica è il massone Giovanni Bovio. Il quale fra l'altro ebbe a paragonarlo al personaggio del marchese di Posa, che compare nel Don Carlos di Schiller; personaggio di alta statura morale, il quale dice di sé: «Concittadino io sono/ di color che verranno». Paragone invero felicemente espressivo delle innegabili caratteristiche profetiche del messaggio mazziniano.

Dopo essere sopravvissuto alle persecuzioni crispine e aver assunto la forma di vero e proprio partito politico nel 1895, tre anni dopo il partito socialista, e dopo essere riuscito, anche grazie all'espatrio di alcuni suoi dirigenti, a superare quella stretta reazionaria di fine secolo che è stata definita come "il colpo di stato della borghesia", il movimento repubblicano si trova all'inizio del '900 a continuare la sua lotta in un clima diverso. In esso l'ispirazione mazziniana lascia posto, in parte, ad altre ispirazioni, specialmente a quella cattaneana, mentre la sua partecipazione elettorale e parlamentare ne attenua il carattere di alternativa al sistema.

Tuttavia, grazie anche all'alto prestigio morale e politico del Gran Maestro Ernesto Nathan, mazziniano massone per eccellenza, che come abbiamo detto vara l'iniziativa dell'Edizione Nazionale col concorso della monarchia, e sarà negli anni seguenti sindaco di Roma, il rilievo della figura di Mazzini non diminuisce, anzi è ormai retaggio indiscusso del Risorgimento.

Questo da parte di coloro per i quali tale qualifica era una ragione di lode e di affetto.

Da parte opposta, abbiamo accennato a una “leggenda nera” su di lui. Essa venne espressa in forma sistematica e argomentata nel libro del padre gesuita Hermann Gruber (predecessore di Pietro Pirri, a sua volta predecessore di Giovanni Caprile come specialista della “Civiltà Cattolica” in materia di massoneria), Giuseppe Mazzini massoneria e rivoluzione[26], in cui veniva asserita la sua regolare iniziazione in Loggia, ed egli veniva descritto come il "Grande Vecchio" di una rete massonica universale, a sua volta concepita come alta direzione di tutte le società segrete, o meno, eversive e anticristiane.

A1 contrario, pochi anni dopo, un Gran Maestro della Massoneria italiana che conosceva ogni più riposto segreto dell'Istituzione, ed era anche un fervente mazziniano e cultore della memoria dell'Apostolo, Ernesto Nathan, dichiarava pubblicamente nel modo più pacato e inequivoco che Mazzini non aveva fatto parte della massoneria[27].

In base a una così autorevole testimonianza, non resterebbe altro da fare a questo punto che ripetere e sottolineare la recisa e sintetica frase di Ferrer Benimeli ricordata in principio: «Mazzini non fu mai massone, benché molti continuino ad affermarlo».

Può dunque stupire che lo studio dedicato appositamente a questo tema nel 1972 da Carlo Gentile, un massone di livello eccezionale che era anche uno storico valente[28], concluda in modo sfumato e quasi in forma interrogativa.

Ma ciò accade in quanto Carlo Gentile non si accontenta di conclusioni logicamente dedotte entro l'ambito istituzionale: fa riferimento ad istanze che dilatano la massoneria facendone, per così dire, un paradigma spirituale.

Da questo punto di vista rievoca le personalissime concezioni metafisiche e religiose del suo personaggio (funzionali alla fondamentale intuizione mazziniana della necessità di una leva religiosa, per rinnovare quell'Italia profondamente controriformista che ancora oggi ci ritroviamo), e le mette a confronto con i capisaldi della tradizione muratoria, sottolineandone le assonanze[29]. E rileggendo quelle pagine ispirate dobbiamo ammettere che Mazzini ha inteso offrire, e in certa misura è riuscito a far accettare, una sua "filosofia della Massoneria" a numerosi componenti delle logge italiane dei suoi tempi e anche dei tempi nostri. E intendiamo bene, d'altra parte, qual fosse l'angoscia dell'Apostolo nel constatare la diffusione del libero pensiero positivistico, divenuto prevalente, nella seconda metà dell'800, nell'ambito massonico e anche fra quei massoni che erano suoi seguaci politici. Sicché egli bollava quelle tendenze, con espressioni sdegnose come: «L'arida, tristissima menzogna di scienza che chiamano oggi Libero Pensiero»[30]; ovvero: «Se la Loggia diffonde... materialismo e ateismo, la credo dannosa all'avvenire del paese quanto una loggia borbonica»[31].

Alla mentalità massonica inspirata dalle dottrine del positivismo, Mazzini contrapponeva il suo pensiero religioso, che ebbe a definire come "Deismo puro"[32], ma che in realtà arricchiva un impianto deistico con un articolato complesso di dottrine, che sono state oggetto di appositi studi[33], e che non è questa la sede per riesporre. Va comunque rilevato che la posizione centrale assunta nel suo pensiero da concezioni relative al perfezionamento e al progresso così individuale come collettivo, attinte da fonti diverse, da Lessing[34] e Herder[35]ai Sansimoniani[36], lo poneva in contatto, grazie all'assiduo scambio di riflessioni con i suoi seguaci massoni, con l'inquadramento tradizionale dell'Istituzione[37].

Ecco dunque che l'estrinseca e frettolosa iniziazione dell'antico carbonaro, mai perfezionata in un'autentica appartenenza istituzionale, finiva pur tuttavia per inverarsi per effetto di profondi vincoli di fratellanza: quasi per l'introduzione, ritualmente irregolare, ma ricca di umano contenuto, in una massonica catena d'unione.

Di Augusto Comba

Note Bibbliografiche

[1] J.A. Ferrer Benimeli, L'unificazione italiana nell'opera dei massoni spagnoli, in A.A. Mola (a cura), La liberazione dell’Italia nell’opera della Massoneria, Foggia, Bastogi, 1990, pp.35-59. Cfr. p.55, nota 36.

[2] A. Combes, L'unificazione italiana nell'opera dei massoni francesi, ivi, pp.61-80. Cfr. p.62, nota 2.

[3] Sul rapporto tra carboneria e massoneria cfr. il documento Catechismo del Maestro Carbonaro” riprodotto in appendice, pp. ???? (nota del curatore)

[4] A. Galante Garrone, Mazzini in Francia e gli inizi della "Giovine Italia", in Mazzini e il Mazzinianesimo, Atti del XIV Congresso di Storia del Risorgimento italiano (Genova, 24‑28 settembre 1972), Roma, Istituto Storico del Risorgimento, 1974, pp.191‑238. Cfr. p. 199, nota 3.

[5] Ivi.

[6] Cfr. A. Comba, I repubblicani alla ricerca di un'identità (1870‑1895), in AA.VV. Mazzini e i repubblicani italiani, Torino, Istituto Storico del Risorgimento Italiano, Comitato di Torino, 1976, pp.457‑513. Cfr. p. 509 e nota 141.

[7] A.A. Mola, L'enigma Pellico, in "Studi piemontesi”, XVIII, 1989, p.379 e nota 43 a p.380.

[8] B.I. Nicolaevsky, Secret Societies and the First International, in M. M. Drachkovitch (a cura), The Revolutionary Internationals, Stanford Cal., Stanford University Press, 1966, pp.36‑56. Cfr.anche la lettera di Mazzini indirizzata a Londra a un gruppo di Cittadini, da Genova, aprile 1870 (Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, LXXXIX, Epistolario LVI).

[9] E. Morelli, L'Inghilterra di Mazzini, Roma, Istituto Storico del Risorgimento Italiano, 1965, p.125.

[10] G. Mazzini, Ricordi autobiografici, a cura di M. Menghini, Imola, Galeati, 1938.

[11] A. Comba, Nota storica a G. Mazzini,in T. Grandi e A. Comba (a cura), Scritti politici, Torino, UTET, 1972, cfr. II, pp. 87‑90.

[12] G. Mazzini, Ricordi autobiografici, cit., p. 30.

[13] Cfr. C. Gentile, Giuseppe Mazzini uomo universale, Roma, Erasmo, 1972, p. 52.

[14] Ivi, p. 51.

[15] Sui rapporti diretti di Mazzini con le logge cfr. le lettere pubblicate in appendice a pp. ????? e la bibliografia degli scritti di Mazzini contenenti riferimenti alla massoneria curata da M. Novarino a pp. ???? (nota del curatore)

[16] Lettera a F. Campanella da Lugano, 7 settembre 1869, in Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, LXXXVIII, Epistolario LV, pp. 169-170

[17] Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, LXXXV, Epistolario LIII, pp. 89‑90.

[18] C. Gentile, Giuseppe Mazzini, cit., p. 129.

[19] Ivi, pp. 130,137, 146. Sulla trattativa con Campanella, in particolare ivi, pp. 117‑126.

[20] G. Carducci, Prose, Bologna Zanichelli, 1954, p. 1468

[21] C. Gentile, Giuseppe Mazzini, cit., pp. 27 sg

[22] Cfr. M. Novarino, All’oriente di Torino. La rinascita della massoneria italiana tra moderatismo cavouriano e rivoluzionarismo garibaldino, Firenze, FirenzeLibri, 2003.

[23] A. Comba, I repubblicani alla ricerca di un'identità , cit.

[24] G. Carducci, Poesie, Bologna, Zanichelli, 1955, pp. 493-495

[25] G. Pascoli, Poesie, Milano, Mondadori, 1940, pp. 422

[26] E. Gruber (P. Ildebrando Gerber S.J.), Giuseppe Mazzini, massoneria e rivoluzione, Roma, Desclée, 1908.

[27] E. Nathan, Giuseppe Mazzini, Libreria Editrice Moderna, Roma 1917, pp. 35 sg.

[28] Cfr. C. Gentile, Giuseppe Mazzini, già più volte cit. (su C. Gentile si veda la nostra commemorazione in “Hiram”, agosto 1984, p. 121 sg.).

[29] È un motivo che ritorna in tutto il volume di C. Gentile ma viene accentuato particolarmente nella parte conclusiva (pp. 146‑162).

[30] Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, XCI, Epistolario LVIII, p. 9.

[31] Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, LXXXIX, Epistolario LVI, p. 237.

[32] Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, V, Epistolario I, p. 214.

[33] Se ne veda una scelta significativa nella Nota Bibliografica del vol. G. Mazzini, Scritti politici, cit., sotto il paragrafo Filosofia e religione, pp. 81 sgg.

[34] Da lui più volte, e con esplicito riferimento al suo trattato su, L’educazione del genere umano in Fede e avvenire (1835): cfr., G. Mazzini, Scritti politici, cit., p. 459 e nota 43

[35] G. Mazzini, Scritti politici, cit., p. 459 e nota 43

[36] Come venne messo in particolare evidenza da G. Salvemini, Il pensiero religioso politico sociale di G. Mazzini, Messina, Trimarchi, 1905. Ad approfondire il tema dell'influsso sansimoniano su Mazzini, Gaetano Salvemini tornò a pensare più volte, fino ai suoi anni più tardi (cfr. A. Galante Garrone, Salvemini e Mazzini, Messina‑Firenze, D'Anna, 1981, passim).

[37] Documento di eccezionale interesse in riferimento all'argomento di cui trattasi è la lettera scritta da Londra nel luglio 1868 a Giuseppe Moriondo a Torino (Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, LXXXVI, Epistolario LIV, p. 139 sgg.).