La Massoneria dopo l’Unità e i suoi numerosi nemici

La lettera del giorno - Corriere della Sera

5 novembre 2009


Concordo con le sue osservazioni riguardo al ruolo della massoneria nella sua attività a favore dell’Unità d’Italia. Ma desidero precisare che i massoni, durante il Risorgimento, erano divisi tra monarchici e repubblicani, gli uni vicini alle aspirazioni politiche dei Savoia e gli altri favorevoli a un cambiamento istituzionale. Il loro successo fu dettato dalla capacità di tenere vive la memoria risorgimentale e le idealità laiche. Sulla base di questa visione la definizione di Antonio Gramsci sulla massoneria come «partito della borghesia» è risultata erronea per l’abbassamento progressivo della collocazione sociale dei suoi iscritti. Più che la tesi gramsciana mi sembra che quella di Benedetto Croce abbia meglio interpretato la storia del Risorgimento per la considerazione della libero-muratoria come espressione del ceto medio impiegatizio e commerciale.


Nunzio Dell’Erba

nunzio.dellerba@unito.it


Risponde Sergio Romano


Caro Dell’Erba,

E’ certamente vero che vi furono in Italia sino alla Grande guerra una massoneria monarchica (si disse che persino Vittorio Emanuele III avesse simpatie massoniche) e una massoneria repubblicana, presente so­prattutto fra democratici e radicali. La prima fu più nazionale, la seconda più «francese» e accusata spesso, persino dai fratelli monarchici, di essere finanziata e manipolata dalla Repubblica di oltre Alpe. Più che laiche furono ambedue (la seconda più della prima) «laiciste», vale a dire anticlericali. Ma la colpa, in questo caso, fu anche della Chiesa cattolica che vide nel deismo della massoneria e nei suoi riti liturgici un pericoloso concorrente all’egemonia spirituale della Chiesa romana. Esiste una fondamentale differenza, infatti, fra le massonerie dei Paesi dell’Europa centro-settentrionale e le massonerie dei Paesi latini. Le prime ebbero complessivamente buoni rapporti con le Chiese riformate dei loro Paesi, e non è raro il caso, soprattutto in Gran Bretagna, di pastori protestanti che furono al tempo stesso libero-muratori. Le seconde invece furono rapidamente messe al bando e svilupparono verso la Chiesa una ostilità acida e preconcetta. La pubblica canonizzazione di Giordano Bruno, vittima dell’oscurantismo papale, il suo monumento in Campo de’ fiori con il volto e lo sguardo protesi verso la basilica di San Pietro, e le innumerevoli manifestazioni anticlericali dei primi decenni unitari hanno una matrice massonica.

Non vedo una grande differenza invece tra la frase di Gramsci alla Camera, quando venne in discussione la legge fascista contro le società segrete, e la tesi di Benedetto Croce. Un sociologo potrebbe sostenere che la parola «borghesia » e l’espressione «ceto medio impiegatizio e commerciale» rispecchiano gruppi sociali diversi. Ma per un uomo politico comunista erano probabilmente, in quel momento, la stessa cosa. Gramsci dette un giudizio storico politico. Croce invece definì molto realisticamente ciò che la massone­ria era progressivamente diventata, soprattutto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: una associazione in cui i soci, pur fra molte e sincere professioni ideali, cercavano soprattutto utili contatti sociali, sostegno al momento del bisogno, complicità e mutuo soccorso. Fu questa la borghesia che non piacque a Benedetto Croce, a Giovanni Gentile, agli intellettuali de «La Voce» (la rivista di Prezzolini), al Partito socialista, al Partito comunista e al Partito fascista.