Sull'Unità d'Italia

E’ sempre più di moda anche al Sud, mettere in discussione l’unità d’Italia, quale evento in se, oppure per le sue modalità.
Vi sono poi nutrite schiere di agitatori di folla, che nascondendosi dietro al paravento della loro fedeltà alla pre unitaria Dinastia dei Borbone di Napoli e delle due Sicilie (legittima e rispettabile che fosse…), si scagliano contro Casa Savoia quale fosse stata la più grossa sciagura per queste meravigliose terre. Non starò a ricordare in questo breve accenno che tra il 2 ed il 3 giugno 1946, la popolazione meridionale, così “oppressa e vessata” dalla Monarchia Sabauda votò a maggioranza per essa contro la repubblica, ma dovrebbe essere illuminante invece quanto descrive Nisco Nicola, della sua opera “Storia del reame di Napoli dal 1824 al 1860” : “…in un congresso del partito liberale riunito a Bologna, si offrì, per mezzo del giovane esule calabrese Nicola del Preite, a Ferdinando di Napoli, la Corona d'Italia, ch'egli non accettava, per non sapere che cosa fare del Papa, e tenne sempre fede al segreto al De Preite, volle che nel Regno ritornasse, e spesso il rivedeva con speciale benevolenza.
Certamente fino al 1833 nessun Principe italiano aveva dato ragione ai liberali come Ferdinando II; se egli avesse voluto, la storia d'Italia mutava, ma egli non sentì il palpito dell'italianità, volle rimanere Re assoluto, indipendente da tutti, anche dall'Austria”.
La successiva lettera che propongo quindi, scritta da Re Vittorio Emanuele II al Borbone suo cugino, può in questo contesto storico fugare una volta per tutte che all’alba dell’unità d’Italia, si arrivò ad un bivio. Esso come vedremo, era stato previsto. Le strade non potevano più essere scelte tra infinite possibilità, scrive a tal proposito il Re di Sardegna : "(...)Gli italiani possono più esser governati come lo erano trent'anni or sono. Eglino hanno acquistato la sapienza e la forza sufficiente per difendersi. D'altra parte la pubblica opinione ha sancito il principio che ogni nazione ha il diritto incontestabile di governarsi come meglio crede (la Monarchia Sabauda la pensò così anche nel 46, quando permise al popolo italiano di decidere, la repubblica impedisce questa libertà con una legge "costituzionale") Siamo così giunti a un tempo in cui l'Italia può essere divisa in due Stati potenti, l'uno del settentrione, l'altro del Mezzogiorno, i quali adottandoi una stessa politica nazionale, sostengano la grande idea dei nostri tempi, l'indipendenza nazionale. Ma per mettere in atto questo concetto, è come io credo, necessario che V.M. abbandoni la via che ha fino ad ora tenuta. Se Ella ripudierà il mio consiglio verrà forse il tempo in cui sarò posto nella terribile alternativa o di mettere in pericolo gli interessi più urgenti della mia stessa Dinastia, o di essere il principale strumento della sua rovina”.
Questo fu l’ultimo atto, di un progetto di buoni propositi, che voleva un’Italia forte indipendente costruita con la collaborazione di tutti i Sovrani allora regnanti nel rispetto di ognuno di loro, come auspicato dallo stesso padre di Vittorio Emanuele, SM Carlo Alberto di Savoia. L’8 maggio 1848 si inaugura infatti il Parlamento Subalpino, riunito a Torino ed eletto il 27 aprile dello stesso anno, attraverso 204 collegi uninominali. In tale occasione, si apre anche la tradizione del “Discorso della Corona”, da allora sempre seguita all’apertura delle nuove legislature. In quell’occasione, davvero solenne, Re Carlo Alberto, da poco partito per la prima guerra d’Indipendenza , delega alla sua lettura il Luogotenente del Regno, nominato in sua assenza.
S.A.R. il Principe Eugenio Emanuele di Savoia leggerà : “In Italia le disgiunte parti, tendono ogni giorno ad avvicinarsi, e quindi vi è ferma speranza che un comune accordo leghi i popoli che la natura destinò a formare una sola Nazione…”
Ed Ancora il 1° Febbraio 1849 comunque, alla ripresa delle operazioni militari, Carlo Alberto di Savoia, ormai solo contro il nemico Austriaco, auspicava al ricomponimento dell’originario programma Federalista affermando in Parlamento : “Ci aiuteranno nel nobile arrigo l’affetto e la stima delle nazioni più colte ed illustri d’europa, e specialmente di quelle che ci sono congiunte coi vincoli comuni della nazionalità e della patria. A stringere viemmeglio questi nodi fraterni intesero le nostre industrie; e se gli ultimi eventi dell’Italia centrale hanno sospeso l’effetto delle nostre pratiche, portiamo fiducia che non siano per impedirlo lungamente”, e più oltre a conclusione del medesimo discorso affermava ancora : “La confederazione dei Principi e dei Popoli Italiani è uno dei voti più cari del nostro cuore e useremo ogni studio per mandarle prontamente ad effetto”
L’Invasione, come qualcuno ormai ama definire lo sbarco dei mille ed i fatti successivi che portarono a proclamare l’Unità d’Italia il 17 marzo 1861, non era voluta e tanto meno programmata.
Si trattò di dare una guida ad un processo che autonomamente si era sviluppato e che con Garibaldi era giunto a maturazione.
L’unità della nostra Patria è un bene prezioso, e queste voci sono un falso storico divulgate ideologicamente al solo fine di minarla alla radice, preludio alle sognate secessioni da osteria, dalla quale ne risulterebbe il caos necessario ad alimentare per molti anni ancora l’idea sciagurata della repubblica che abbiamo sotto agli occhi.