Il governo, parte in causa, pretende essere garante della regolarità del referendum

Capitolo XV

Il governo, parte in causa, pretende essere garante della regolarità del referendum


Rimandare al 18 giugno la sentenza definitiva, mise in agitazione incomposta chi aveva la coda di paglia
La legge sul referendum aveva precisato i tempi, ed i tempi del ricontrollo e conteggio c’erano – oltre una settimana). Ma i vari personaggi che non dormivano più nel proprio letto (1), volevano affrettare i tempi, liberarsi al più presto della legittima e per loro ingombrante presenza del Re d'Italia.

Conciliaboli continui, sia al Viminale che nelle sedi dei partiti; pressioni sulla Corte di Cassazione, fino al diretto intervento di Romita, che falsamente afferma che il Re voleva partire e quindi occorreva che la Cassazione si riunisse subito; timori di inesistenti progetti di arresti e di congiure; insomma, la pace della coscienza perduta dagli artefici del referendum.
Quanto aveva dichiarato la Corte di Cassazione nella seduta, tanto premurata dal governo, del giorno 10 giugno 1946, " era sembrato incerto, in verità anche al Governo, tanto che De Gasperi, che aveva in tasca un breve discorso per celebrare l'avvento della repubblica, era stato dissuaso dal pronunciarlo " dice il Barzini (2).
Mino Cingolani afferma che in questo discorso preparato e non pronunciato, De Gasperi avrebbe annunciato di assumere immediatamente la carica di capo provvisorio dello Stato (3).
Questo provocò la rottura istituzionale !
Il Governo si riunì immediatamente, nella serata dello stesso giorno 10. L’ordinanza del Supremo Collegio creava un grave problema (al Governo dei malfattori). Infatti, i voti nulli non erano stati rilevati nei verbali circoscrizionali (e neppure, sia detto per inciso, nelle cifre trasmesse dalle Prefetture), e per rilevarli occorreva ricorrere ai 35.000 verbali sezionali. Non solo. Era chiaro che, una volta rimessi in discussione i verbali sezionali, gli stessi erano soggetti ad una “quadratura” fra voti validi, voti nulli ed elettori votanti, quadratura che doveva poi trovare riscontro in sede circoscrizionale, e rappresentava quel controllo, delle sommatorie già fatte e formalmente verbalizzate dai funzionari ministeriali, che la legge inizialmente non aveva previsto.
La discussione fu drammatica. Il segretario del Consiglio dei Ministri, Giustino Arpesani, verbalizzò che il Ministro della Giustizia, Togliatti, si oppose risolutamente alla rilevazione ordinata dalla Cassazione, con la motivazione che essa era impossibile, in quanto il materiale elettorale, schede comprese, non era disponibile, e “forse” era stato già “distrutto” (si badi, ad una settimana dalla chiusura della votazione).
Fatto sta, che il Consiglio dei Ministri, accogliendo la tesi di Togliatti, decise di andare avanti per la propria strada, ignorando l’ordinanza della Cassazione, e pertanto dichiarò che la repubblica era ormai un fatto compiuto. Inoltre, per ottenere un appoggio della piazza, dispose che il giorno successivo, 11 giugno, sarebbe stato di festa e di celebrazione della vittoria, mobilitando i repubblicani di tutta Italia ad esprimere la loro esultanza

Quindi cominciano gli affannosi viaggi di Alcide De Gasperi e dei suoi ministri al Quirinale, tra cui quel professore Mario Bracci che poi inventò di sana pianta, in un suo scritto sulla rivista Il Ponte (agosto 1946), gli occhiali di Lucifero battuti sul petto di De Gasperi. Notizia smentita dal ministro Lucifero in una dichiarazione pubblicata su La Settimana Incom illustrata (4).

La sera dell'11 giugno 1946 il presidente del consiglio De Gasperi chiama dal Viminale al telefono il ministro della Real Casa al Quirinale, Falcone Lucifero. Ezio Saini così descrive la scena: " Fu una telefonata di un'ora e un quarto. De Gasperi parlava circondato dai suoi minacciosi 'collaboratori'... Il tono era, contrariamente al solito, perentorio, provocante; quell'uomo, ammantato di pelle di agnello, voleva apparire energico di fronte ai suoi. E' facile immaginare la reazione di Lucifero "che" gli rispose -con sdegno: 'Luogotenenza, Luogotenenza, non è più il caso di parlarne, per vari motivi, lei m'intende... E non foss'altro per quel capolavoro che avete varato all'alba, in cui si legge che il governo si rende garante'. Non avete sempre detto che la Suprema Corte è l'unica arbitra responsabile? Voi governo siete soltanto un giudicabile! La vostra deplorevole espressione mi fa tornare in mente una famosa frase di Mussolini: 'La mia questione morale la risolvo io'. Se la ricorda, presidente ? " (5).

In questa agitata atmosfera, il consiglio dei ministri, la notte dal 12 al 13 giugno 1946, su proposta di Pietro Nenni, elaborata con l'ausilio dei colleghi Bracci e Molè, stabilisce illegalmente, senza attendere la pronuncia definitiva della Cassazione, che i poteri del Re erano ormai passati al Presidente del Consiglio Alcide Degasperi, quale capo provvisorio dello Stato. Ore 0,15 : al termine della seduta, De Gasperi, in accordo con tutti i ministri eccettuato Leone Cattani, dichiarò di assumere i poteri di capo !
Questo vero e proprio colpo di stato e la precedente manifestazione indetta per festeggiare una repubblica non ancora proclamata, sortirono l’effetto che cinicamente si voleva, “forzare la mano al Sovrano” sapendo del suo alto senso del dovere e amor di Patria.
Vi furono infatti altri e più numerosi scontri in piazza, dove ci furono morti e feriti, esclusivamente tra le fila Monarchiche…
Tutte queste poco edificanti vicende sono raccontate più o meno ampiamente nelle varie fonti già da noi più volte citate. Il quotidiano Die Tat di Zurigo, scrisse in proposito :
“Quale che sia la situazione giuridica, la intempestiva proclamazione della repubblica da parte del governo, che non ha voluto pazientare fino alla seduta conclusiva della Suprema Corte di Cassazione, fa apparire... quasi che il governo avesse una cattiva coscienza di fronte ai reclami monarchici e perciò abbia voluto prevenire la decisione della Corte Suprema. Ma anche se questa ipotesi non rispondesse al vero, il governo avrebbe dovuto per lo meno farsi guidare dal principio : evitare anche l'apparenza del male" .
Il Times di Londra commentò : "Il Governo italiano si è cacciato con le sue mani in una, situazione imbarazzante. Esso deve essere biasimato per l'affrettata proclamazione".
I vari autori italiani che si sono interessati di quegli eventi, li stigmatizzano. Citiamo per tutti quanto ha scritto in proposito Luigi Barzini, poi deputato al parlamento :
"I ministri nella notte tra il 12 e 13 giugno precipitarono le cose. Nominarono Degasperi capo provvisorio dello stato e dichiararono decaduto SM il Re Umberto. Non attesero il regolare passaggio dei poteri che avrebbe fatto della repubblica italiana, la sola, nella storia, creata legalmente per decreto reale. La decisione permise ad Umberto di partire senza abdicare, di pubblicare un proclama di protesta e di conservare il titolo di Re. Che qualcosa di irregolare fosse accaduto quella notte è forse confermato da poche righe, quasi invisibili, pubblicate più tardi dalla Gazzetta Ufficiale. Nel decreto con cui si passano i poteri a De Nicola, si affermava che Degasperi li deteneva dal 18 giugno 1946, dal giorno cioè della seconda e definitiva seduta, dal giorno che Umberto credeva fosse suo dovere aspettare, e non dal 13 giugno.
Il colpo di stato del governo è riconosciuto quindi implicitamente dalla stessa Gazzetta Ufficiale della repubblica".

Note

1 Sir Noel Charles, ambasciatore d'Inghilterra presso il Quirinale, disse al ministro Lucifero il 13 giugno 1946, subito dopo la partenza del Re, che Palmiro Togliatti, ministro di grazia e giustizia in carica, aveva trasferito i suoi sonni agitati nella sede dell'ambasciata russa a via Gaeta (Giovanni Artieri, op. cit., pag. 380), luogo in verità molto appropriato per lui, cittadino russo. Precisa Barzini (artt. cit., ivi, 8 genn. 1960) che l'ambasciatore britannico « aveva appreso tale notizia dai suoi servizi di informazione ». Manlio Brosio, allora ministro della difesa, ebbe poi a dire: «Al Viminale si parlava di movimenti dei monarchici, tanto che De Gasperi una volta mi disse: "Ma tu continui ad andare al ministero della difesa?"...» (Romersa e Caloro, art. cit., «Il Tempo illustrato », n. 2Il, 16 luglio 1960, pag. 33). Questo episodio é sostanzialmente ripetuto in una «conversazione» col Brosio di Antonio Gambino. Ivi Brosio così conclude: «Ad ogni modo io non cambiai le mie abitudini e il momento di tensione passò senza che nessun episodio concreto giungesse a provare che un complotto monarchico vi era stato davvero». (Antonio Gambino, op. cit., vol. cit., pag. 234).
2 Barzini, awt. cit., ivi, 8 gennaio 1960. Vedi anche Bruno Gatta, art. cit., ivi, 12 marzo 1960.
3 Mino Cingolani, La verità sul referendum: gli appunti di De Gasperi, in « Epoca », li gennaio 1960.
4 Falcone Lucifero, Un episodio del 2 giugno, in « La Settimana Incom illustrata », n. 23, giugno 1956, pag. li. .
5 Saini, op, cit., pag. 188. Questa conversazione telefonica é riportata in modo completamente diverso da come effettivamente si svolse, nel volume di Maria Romana Catti De Gasperi, De Gasperi, uomo solo, Milano, Mondadori, 1964, pagg. 220 e 221 e da Antonio Gambino (op. cit., vol. cit., pagg. 238-239).