In Calabria la prima Loggia Massonica d’Italia
Nel Comune di Girifalco (CZ) 1723, appena sei anni dopo la nascita di quella londinese: lo attesta inequivocabilmente un documento del 1845 di Rocco Ritorto.
E' ciò che accade, quando si procede a ritroso nel tempo e si cerca attraverso i riscontri documentali di dare ordine - vedi l'ordine di fondazione delle Logge. Accade cioè che ad un certo punto esce fuori un documento, una traccia scritta, un appunto, che rimettono in discussione un ordine che si pensava fissato. E' ciò che questo scritto documentale sembra mettere in discussione, e che speriamo ulteriori studi e ricerche chiariscano.
Sembra inverosimile che il verbo della Massoneria speculativa o moderna, fondata a Londra il 24 giugno 1717, sul ceppo di quella operativa, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, abbia avuto come primo approdo, oltre i confini della Gran Bretagna, un paese della Calabria ionica: Girifalco, in provincia di Catanzaro.
Nel Comune di Girifalco (CZ) 1723, appena sei anni dopo la nascita di quella londinese: lo attesta inequivocabilmente un documento del 1845 di Rocco Ritorto.
E' ciò che accade, quando si procede a ritroso nel tempo e si cerca attraverso i riscontri documentali di dare ordine - vedi l'ordine di fondazione delle Logge. Accade cioè che ad un certo punto esce fuori un documento, una traccia scritta, un appunto, che rimettono in discussione un ordine che si pensava fissato. E' ciò che questo scritto documentale sembra mettere in discussione, e che speriamo ulteriori studi e ricerche chiariscano.
Sembra inverosimile che il verbo della Massoneria speculativa o moderna, fondata a Londra il 24 giugno 1717, sul ceppo di quella operativa, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, abbia avuto come primo approdo, oltre i confini della Gran Bretagna, un paese della Calabria ionica: Girifalco, in provincia di Catanzaro.
Eppure è inequivocabilmente documentato da cinque paginette scritte a penna, un secolo e mezzo fa, dai margini bruciacchiati, ma chiaramente leggibili.
In tali paginette è tracciato il verbale del rinnovo delle cariche con relativo elenco dei votanti, risultato della votazione e altre indicazioni, tra cui una cosiddetta “frase commune”: FIDELITAS, che si presume fosse l’intestazione della Loggia.
Tale rinnovo avvenne nell’anno “1845 di numero centoventiduesimo dalla fondazione di essa a Girifalco ovvero l’anno 1723 sotto degnissima direzzione di S. A. il Duca di Girifalco del nobilcasato de’ Caracciolo di Napoli”.
La fondazione di questa Loggia sorprende per una serie di motivi.
Il primo è da ravvisare nel lasso di tempo (sei anni) intercorso tra la costituzione della Gran Loggia inglese e l’erezione della Loggia girifalchese.
Nella nostra epoca in cui si comunica da un continente all’altro in tempo reale, sei anni di tempo sono un’eternità.
Ma per quell’epoca era tutt’altra cosa.
Trattandosi, poi, non di notizie di cronaca, bensì di concezioni ideali proponenti scelte, modelli di vita, per maturare, venire assimilate, trovare accoglienza e proseliti, sei anni sono da considerarsi ancora oggi un periodo molto limitato, senza contare che la Loggia di via Maggio di Firenze, ritenuta la prima Loggia massonica d’Italia, fu fondata dal duca irlandese Carlo Sackville di Meddlessex, dieci anni dopo quella di Girifalco.
Sorprende il luogo, Girifalco, paese antico, ubicato nell’entroterra della costa ionica catanzarese, nel tratto più agevole per valicare il dorsale montuoso della regione, essendo la parte più stretta e meno accidentata di cui, nei tempi andati, approfittarono carovane di commercianti ed eserciti, ma pur sempre con minori vocazioni esoteriche di tanti altri centri calabresi e d’Italia, oltre che dell’Europa.
Sorprende, ancora, per lo stato di grande arretratezza non solo economica e strutturale, ma anche culturale, in cui stagnava la Calabria (e non era la sola), dopo secoli e secoli di dominazione straniera, aggravata dalla dinastia dei Borbone che, salvo qualche eccezione, si distinse per sciatteria ed ignoranza (uno di loro, Ferdinando II, disprezzava gli intellettuali che, spregiativamente, chiamava “pennaruli”).
Sorprende, infine, per il fatto che, come osservava il letterato massone Giovanni Giacomo Casanova, che ebbe modo di visitare questa parte della Penisola proprio nel ‘700, lasciandoci le sue impressioni, lo stato sociale della regione era degradato, i contadini erano oppressi dal potere feudale e soffocati da una economia arretrata.
“Al lento risorgimento del Mezzogiorno - scrive, infatti, Antonio Piromalli nella sua “Letteratura Calabrese” (vol. I, pp. 182/183) -, degli ultimi decenni del Seicento la Calabria non partecipa perché i mali tradizionali si perpetuano e sopravvivono nel primo Settecento.
Anche quando la Calabria passa ai Borboni (1734) le grandi famiglie feudali continuano a mantenere il loro dominio pur se la crisi feudale ha indebolito il baronaggio. (...)
Il popolo restava avvilito e ancora di lì a cento anni resterà avvilito e presterà voce all’armata del cardinale Fabrizio Ruffo, la nobiltà rimaneva ancora incivile, il clero ignorante perché la miseria e la fame dominavano ma delle crepe si venivano aprendo nell’ordine antico e cominciavano ad avere spicco per l’individualità, sia pure bizzarra, spiriti vivaci e anticonformisti”.
E “spiriti vivaci e anticonformisti”, in qualche misura si può dire che furono i Caracciolo di Girifalco che tennero in feudo il paese per poco meno di due secoli (1624-1806), impregnando l’ambiente del loro modo di essere che, alla luce dei fatti, trascendeva lo stato di subalternità dei sottoposti, per porsi in una posizione di rispetto, oltre che di fiducia, della loro identità sociale ed umana, atteggiamento da considerare rivoluzionario per quel tempo, che dimostra proprio la fondazione della Loggia, considerato che i principi e le finalità della Libera Muratoria erano e sono l’esatto contrario della visione etica e sociale dei padroni, per i quali esisteva ed esiste solo la propria libertà, o meglio, il proprio libero arbitrio, ritenendo l’uguaglianza e la fratellanza un’eresia.
D’altra parte, i Caracciolo si distinsero proprio per l’assenza di sintonia con l’apparato aristocratico del loro tempo, arroccato in una superiorità di classe netta, intoccabile, dogmatica.
Lo dimostrò non soltanto quel Gennaro che introdusse la Massoneria nel suo feudo di Girifalco, ma, in particolare, quel Francesco (1752-1799), Commodoro di re Ferdinando I di Borbone, notoriamente massone, finito appeso, nel porto di Napoli, all’albero maestro della Minerva per ordine di Nelson, reo di avere sposato la causa repubblicana.
E’ da riconoscere che, senza l’atteggiamento anticonformista dei Caracciolo, difficilmente, a Girifalco, si sarebbe creata quella fascia di borghesia libertaria, solo marginalmente sostenuta dal cosiddetto popolo basso non in grado di percepire i valori libertari, borghesia che non si piegò alla tirannia nemmeno quando la forca del Borbone consumò l’olocausto di alcuni suoi componenti di spicco: Raffaele Tolone, dottore fisico; Pier Antonio Maccaroni, notaio, Vincenzo Luigi Zaccone, notaio; D. Vitaliano Staglianò, sacerdote; Vincenzo Migliaccio, dottor chimico, impiccati in una piazza a Napoli nel 1801, per aver partecipato alla cacciata dei Borbone nel 1799.
La storia di Girifalco è disseminata di atti libertari e patriottici che furono pagati a caro prezzo dalla famiglia Tolone in particolare che, a seguito dell’impiccagione di Napoli di cui sopra, ebbe a subire la confisca dei beni e una serie di angherie, come racconta uno dei suoi membri, Rocco Tolone, che lasciò un documento scritto a memoria dei discendenti, da cui si apprende che la persecuzione fu talmente ferina contro questa famiglia, da ridurre l’autore del racconto a dover fare lo “scarparo” per sopravvivere.
Le tragedie e i drammi, però, non piegarono i Tolone che rimasero saldi nei loro principi ed ideali, tramandati da generazione in generazione, di cui l’avv. Mario Tolone Azzariti, prestigioso discendente, ne è espressione vivente.
La Citta del Sole – anno IV nr.2 Febbraio 1997
In tali paginette è tracciato il verbale del rinnovo delle cariche con relativo elenco dei votanti, risultato della votazione e altre indicazioni, tra cui una cosiddetta “frase commune”: FIDELITAS, che si presume fosse l’intestazione della Loggia.
Tale rinnovo avvenne nell’anno “1845 di numero centoventiduesimo dalla fondazione di essa a Girifalco ovvero l’anno 1723 sotto degnissima direzzione di S. A. il Duca di Girifalco del nobilcasato de’ Caracciolo di Napoli”.
La fondazione di questa Loggia sorprende per una serie di motivi.
Il primo è da ravvisare nel lasso di tempo (sei anni) intercorso tra la costituzione della Gran Loggia inglese e l’erezione della Loggia girifalchese.
Nella nostra epoca in cui si comunica da un continente all’altro in tempo reale, sei anni di tempo sono un’eternità.
Ma per quell’epoca era tutt’altra cosa.
Trattandosi, poi, non di notizie di cronaca, bensì di concezioni ideali proponenti scelte, modelli di vita, per maturare, venire assimilate, trovare accoglienza e proseliti, sei anni sono da considerarsi ancora oggi un periodo molto limitato, senza contare che la Loggia di via Maggio di Firenze, ritenuta la prima Loggia massonica d’Italia, fu fondata dal duca irlandese Carlo Sackville di Meddlessex, dieci anni dopo quella di Girifalco.
Sorprende il luogo, Girifalco, paese antico, ubicato nell’entroterra della costa ionica catanzarese, nel tratto più agevole per valicare il dorsale montuoso della regione, essendo la parte più stretta e meno accidentata di cui, nei tempi andati, approfittarono carovane di commercianti ed eserciti, ma pur sempre con minori vocazioni esoteriche di tanti altri centri calabresi e d’Italia, oltre che dell’Europa.
Sorprende, ancora, per lo stato di grande arretratezza non solo economica e strutturale, ma anche culturale, in cui stagnava la Calabria (e non era la sola), dopo secoli e secoli di dominazione straniera, aggravata dalla dinastia dei Borbone che, salvo qualche eccezione, si distinse per sciatteria ed ignoranza (uno di loro, Ferdinando II, disprezzava gli intellettuali che, spregiativamente, chiamava “pennaruli”).
Sorprende, infine, per il fatto che, come osservava il letterato massone Giovanni Giacomo Casanova, che ebbe modo di visitare questa parte della Penisola proprio nel ‘700, lasciandoci le sue impressioni, lo stato sociale della regione era degradato, i contadini erano oppressi dal potere feudale e soffocati da una economia arretrata.
“Al lento risorgimento del Mezzogiorno - scrive, infatti, Antonio Piromalli nella sua “Letteratura Calabrese” (vol. I, pp. 182/183) -, degli ultimi decenni del Seicento la Calabria non partecipa perché i mali tradizionali si perpetuano e sopravvivono nel primo Settecento.
Anche quando la Calabria passa ai Borboni (1734) le grandi famiglie feudali continuano a mantenere il loro dominio pur se la crisi feudale ha indebolito il baronaggio. (...)
Il popolo restava avvilito e ancora di lì a cento anni resterà avvilito e presterà voce all’armata del cardinale Fabrizio Ruffo, la nobiltà rimaneva ancora incivile, il clero ignorante perché la miseria e la fame dominavano ma delle crepe si venivano aprendo nell’ordine antico e cominciavano ad avere spicco per l’individualità, sia pure bizzarra, spiriti vivaci e anticonformisti”.
E “spiriti vivaci e anticonformisti”, in qualche misura si può dire che furono i Caracciolo di Girifalco che tennero in feudo il paese per poco meno di due secoli (1624-1806), impregnando l’ambiente del loro modo di essere che, alla luce dei fatti, trascendeva lo stato di subalternità dei sottoposti, per porsi in una posizione di rispetto, oltre che di fiducia, della loro identità sociale ed umana, atteggiamento da considerare rivoluzionario per quel tempo, che dimostra proprio la fondazione della Loggia, considerato che i principi e le finalità della Libera Muratoria erano e sono l’esatto contrario della visione etica e sociale dei padroni, per i quali esisteva ed esiste solo la propria libertà, o meglio, il proprio libero arbitrio, ritenendo l’uguaglianza e la fratellanza un’eresia.
D’altra parte, i Caracciolo si distinsero proprio per l’assenza di sintonia con l’apparato aristocratico del loro tempo, arroccato in una superiorità di classe netta, intoccabile, dogmatica.
Lo dimostrò non soltanto quel Gennaro che introdusse la Massoneria nel suo feudo di Girifalco, ma, in particolare, quel Francesco (1752-1799), Commodoro di re Ferdinando I di Borbone, notoriamente massone, finito appeso, nel porto di Napoli, all’albero maestro della Minerva per ordine di Nelson, reo di avere sposato la causa repubblicana.
E’ da riconoscere che, senza l’atteggiamento anticonformista dei Caracciolo, difficilmente, a Girifalco, si sarebbe creata quella fascia di borghesia libertaria, solo marginalmente sostenuta dal cosiddetto popolo basso non in grado di percepire i valori libertari, borghesia che non si piegò alla tirannia nemmeno quando la forca del Borbone consumò l’olocausto di alcuni suoi componenti di spicco: Raffaele Tolone, dottore fisico; Pier Antonio Maccaroni, notaio, Vincenzo Luigi Zaccone, notaio; D. Vitaliano Staglianò, sacerdote; Vincenzo Migliaccio, dottor chimico, impiccati in una piazza a Napoli nel 1801, per aver partecipato alla cacciata dei Borbone nel 1799.
La storia di Girifalco è disseminata di atti libertari e patriottici che furono pagati a caro prezzo dalla famiglia Tolone in particolare che, a seguito dell’impiccagione di Napoli di cui sopra, ebbe a subire la confisca dei beni e una serie di angherie, come racconta uno dei suoi membri, Rocco Tolone, che lasciò un documento scritto a memoria dei discendenti, da cui si apprende che la persecuzione fu talmente ferina contro questa famiglia, da ridurre l’autore del racconto a dover fare lo “scarparo” per sopravvivere.
Le tragedie e i drammi, però, non piegarono i Tolone che rimasero saldi nei loro principi ed ideali, tramandati da generazione in generazione, di cui l’avv. Mario Tolone Azzariti, prestigioso discendente, ne è espressione vivente.
La Citta del Sole – anno IV nr.2 Febbraio 1997
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