La svolta - 19 settembre 1920

La svolta

Articolo di fondo del Direttore


Corriere della Sera del 19 settembre 1920


La crisi che attraversiamo non si risolve mutando un uomo di governo. È ben più vasta, ha radici così profonde nella storia dell’ultimo ventennio, che oggi non si possono tagliare operando alla superficie. L’aria che respiriamo è tutta viziata. All’abdicazione ed all’impotenza del Governo fanno riscontro l’indifferenza dei cittadini e la complicità dei loro rappresentanti al Parlamento, fra i quali è accesa una gara di popolarità, non contenuta ad alcuna reazione di questi interessi legittimi che da gara sono offesi. In altre parole il Governo non ha anima perché non ne ha la borghesia, perché si è adattata al dominio, alla soprafazione della minoranza. È così da vent’anni, tolta la parentesi della guerra. Dopo la guerra, dopo le ultime elezioni specialmente, il processo si è aggravato. Qual potere detengono ormai la cosiddetta classe dirigente ed i suoi organi ? Nessuno.

Siamo finanziariamente paralizzati all’aggravio per il grano, andiamo alla rovina vendendo il pane sotto costo ad un prezzo che non ha il corrispondente in nessun paese del mondo. Ma il fanatismo e l’ignoranza socialista vogliono così, e così si va avanti ciecamente. Un bel giorno l’onore della bandiera italiana è impegnato a Valona. Si tratta di tutelarlo con un gran sacrificio, e di tutelare insieme interessi economici e strategie ormai tradizionali. I socialisti oppongono il loro veto : non più un soldato in Albania. Via dunque dall’Albania in fretta e furia, vergognosamente. Il Governo cede subito e la maggioranza approva.

L’attuale invasione delle fabbriche e le conseguenti prove d’impotenza statale sono episodi dello stesso malanno. Sciopero ed ostruzionismo consentiti nei servizi pubblici, fermo di treni che trasportano agenti e materiali che ai ferrovieri non garba di trasportare, soppressione dell’articolo 115 a favore fei ferrovieri secondari, ripresa delle relazioni commerciali con la Russia bolscevica tentata non per acutezza ma contro convinzione, regalo di navi al capitano Giulietti, e via via, tutto rientra in questo quadro di sopraffazione socialista e di rassegnazione borghese, rassegnazione che giunge all’aberrazione quando si scopre che c’è un modo di frenare la corsa all’abisso richiamamdo al potere l’on. Giolitti, l’inventore primo ed il più autorevole interprete della politica di abdicazione.

I superstiti del Fascio che, per realizzare il patto di Londra, hanno fatto alla Nazione questo regalo, non sanno ancora riaversi dalle delusioni patite. Legislazione ultrademagogica, sgombero dell’Albania, rinuncia a risolvere il problema del pane, invasione delle fabbriche consentita. E poi ? Poi tutto quello che i socialisti vorranno. Figurarsi se l’on. Giolitti e l’on. Corradini, che gli dà manforte al Ministero degli Interni, pensano mai a ristabilire quelle cose vecchie e fruste che sono il rispetto della legge e la restaurazione dell’autorità stabile, a rischio di guastarsi per sempre coi socialisti e di spingerli nelle braccia di Nitti! Se Turati, Treves e Modiglioni hanno da andare al potere, devono andarci con Giolitti non con Nitti. Nitti ragionava lo stesso, ed Orlando non era di diverso parere. La gara è aperta fra gli uomini politici e borghesi che aspirano all’alto onore di portare i socialisti al Governo. E l’Italia nel frattempo va in malora.

Giorno per giorno, ora per ora, il suo disagio aumenta. Si seguitano a fare concessioni su concessioni. Nulla chiede la canea rivoluzionaria che non venga largito. Basta sfogliare la raccolta dei giornali da Vittorio Veneto in poi: è tutto un interminabile elenco di offe gettate per non essere divorati, per farci perdonare la guerra, la vittoria, il piedestallo su cui abbiamo sollevato l’Italia, salvandola dalla sua mortale nemica, compiendo l’unità nazionale, sconfiggendo il militarismo prussiano.

Ma ormai non abbiamo più nulla da concedere: le otto ore di lavoro sono state accordate, i disertori sono stati amnistiati, i pubblici funzionari possono scioperare e ricattare impunemente lo Stato, le inchieste sulla guerra sono state deliberate insieme alla confisca totale dei sopraprofitti, alla nominatività dei titoli, all’imposta sul patrimonio, a quella complementare sul reddito, all’aumento delle tasse di successione. Non c’è crediamo, paese al mondo in cui le aliquote di tassazione siano più alte che in Italia. Che altro si vuole ancora da questa borghesia? L’invasione pacifica delle fabbriche: ecco l’ultima richiesta. Ma qui allora si vuole ridurre all’agonia, ci si chiede la vita! Non dubiti il Paese: l’On. Giolitti non sarà da meno in questa circostanza. La politica sua, quella che egli ha appreso ai suoi imitatori, ha una logica ferrea: va alle ultime conseguenze. E le sue ultime conseguenze quali sono? La fine del regime borghese?

Senza dubbio, se si va anti così. E’ vero che i socialisti più ragionevoli chiedono l’evoluzione, non la morte del regime. Ma il regime muore, non tanto perché lo vogliano i suoi nemici, quanto perché è mortale la formula politica alla quale il suo Governo ubbidisce. Comanda chi non è responsabile. La borghesia detiene apparentemente il potere: ma sono i socialisti che le ordinano quello che deve fare, senza calcolo delle conseguenze. Se si perisce, la colpa non è del socialismo, ma della borghesia che governa.

Orbene, bisogna ripudiare questa formula fatale. E’ arrivato il momento di decidersi: o la borghesia si da un Governo, se è ancora in tempo, se trova l’uomo, se l’uomo trova un seguito; oppure da la responsabilità piena del potere ai socialisti ed ai capi della Confederazione del Lavoro.

Ogni corno del dilemma può giustificare obiezioni formidabili; ma non ci sarà persona sensata la quale non riconoscerà che tutto è preferibile a questa vita grama, a questa agonia vergognosa, nella quale l’Italia vincitrice nella Grande Guerra balbetta il linguaggio della paura e consente a tutte le transazioni più disonoranti. O siamo capaci di tenere il potere secondo le nostre idee, secondo le nostre convinzioni, o vengano avanti gli uomini nuovi ad assumersi la responsabilità di governare senza ragguagliare il prezzo del pane al costo, senza imporre ai pubblici funzionari la più elementare disciplina, senza tassare il vino, senza mettere un freno a tanta licenza dilagante in tutte le classi, senza combattere il veleno che si insinua in ogni vena dell’organismo nazionale. Fuori voi ad operare il miracolo di spremere denaro della ricchezza nazionale uccidendola, negando il valore dei più forti elementi , dei più efficaci sostegni della civiltà.

Sarebbe un periodo di rischio supremo quello che s’inizierebbe con la prova fatta dall’altra parte. Ma se non c’è via d’uscita? Se non c’è da scegliere? Se non c’è altro modo di svegliare questa borghesia pavida, consenziente ad ogni maggiore rinuncia? Guardiamo bene ! Il Comunismo in Italia non è voluto forse da alcuno, nemmeno dai massimalisti. Ma può essere lo sbocco fatale, involontario, di un regime che non funziona più, che si corrompe in tutti i suoi organi, ch esi sgretola per impotenza. Ossia, siamo arrivati al punto di chiederci : non sarebbe oggi meno pericoloso, più forte, un governo socialista composto dagli uomini migliori del socialismo e dell’organizzazione sindacale, di quanto lo sia un governo formato da questi complici della nostra perdizione? Ecco il problema che, volente o nolente, la coscienza nazionale deve risolvere. Risolvendolo, si ripudiano le arti con le quali trasciniamo questa ignobile esistenza e si prende il nemico in fronte. Può darsi che egli ci abbatta: ma noi risorgeremo, perché la nostra concezione sociale ha il conforto di secoli di esperienza, anzi risponde ad una legge fatale di vita.

Articolo attribuibile al Direttore Luigi Albertini