Un responsabile - 24 novembre 1920

Un responsabile

Articolo di fondo del Direttore


Corriere della Sera del 24 novembre 1920


È stato osservato nella discussione alla Camera sui fatti di Bologna che la responsabilità di quanto accaduto pesa in buona parte sui Governi che hanno retto l’Italia negli ultimi anni. Nulla di più vero. Si è determinato dopo la guerra un tale senso di cieca paura della potenza e della prepotenza socialista che lo Stato, di fronte alle intimidazioni rivoluzionarie, non ha fatto che cedere una dopo l’altra quasi tutte le posizioni di difesa sociale. Ferrovieri, postelegrafonici, Camere del Lavoro, Sindacati, municipi socialisti, tutti si sono levati in armi contro i poteri costituzionali per strappar loro qualunque concessione economica, qualunque acquiescenza a violazioni di legge fosse acconsentito senza lottare, senza resistere, è fuggito sempre. La fuga più clamorosa, quella di cui scontiamo e sconteremo per lungo tempo le conseguenze morali ed economiche, è stata l’ultima, quella di settembre. Abdicazione siffatta non avvenne mai, in alcuna nazione civile. Ma essa per fortuna ha destato l’opinione pubblica, la quale ha capito che i socialisti, colla rassegnazione dei governanti, conducevano il paese alla rovina. Quella rivoluzione che i capi socialisti stessi dicono di volere, ma in realtà non vogliono – perché preferiscono di gran lunga i beni morali e materiali di cui godono nello Stato borghese a quelli di cui godrebbero in una organizzazione di tipo russo – stava per maturare perché nessun ostacolo era opposto da chi doveva opporlo alle intenzioni e agli atti degli elementi più torbidi. Da tutti i maggiori centri della provincia si è allora gradito: basta, non se ne può più. Le elezioni amministrative sono avvenute sotto questa impressione, e, se non hanno segnato ovunque la sconfitta assoluta dei socialisti, ne hanno però ovunque segnato la sconfitta morale.

A questa i socialisti non sanno, non vogliono adattarsi. Abituati a vincere senza incontrare resistenza senza esporsi a pericoli, abituati a vedere la borghesia ed il governo piegare sempre il capo ai loro ultimatum oggi avvertono che c’è qualcosa di mutato nell’ambiente, ed al mutamento non sanno rassegnarsi. Hanno perduto la calma; farneticano di reazione, di borghesia reazionaria, di agguati, la dove c’è il destarsi di una conoscenza civile da parte di maggioranze e minoranze troppo docili, troppo prone, troppo sottomesse. Può darsi che questo risveglio sia talvolta accompagnato da intemperanze e da eccessi; ma non hanno il diritto di deplorare eccessi ed intemperanze proprio coloro che vogliono abbattere con la violenza un regime sorretto dalla volontà della maggioranza, che vogliono sostituire a questa volontà la dittatura cosiddetta del proletariato, in realtà di pochi forsennati, che infrangono ogni legge civile e morale per sostituirla con quelle che essi si sono date, e che rinnegano i nostri più cari sentimenti, che danno la caccia a Carabinieri ed Ufficiali come a “ belve monturate”, che condannano a morte chi non la pensa come loro, e sentenze di morte eseguiscono nelle aule municipali contro i più nobili e i più degni rappresentanti della minoranza.

Abbiamo invece diritto di chiedere che si ponga fine a queste strazianti imprese di guerra civile, noi che vogliamo, contro tutti e soprattutto, restaurare l’autorità dello Stato, autorità per la cui difesa siamo in campo non da oggi, contro quanti vi attentano, sfidando ogni impopolarità così di ferrovieri e postelegrafonici, e di burocratici invocanti l’orario unico, come di nazionalisti ed esaltati. Si, responsabili di quanto avviene e in buona parte, come dicevamo, il Governo, il quale costringe i cittadini ad opporre all’assalto rivoluzionario quella resistenza, dalla quale il Governo, per paura inveterata, rifugge. È inutile che esso deplori in Parlamento un stato d’animo di cui è causa diretta la assenza e di cui gode gli utili per il ricostituirsi, senza suo merito, di un’opinione pubblica cosciente.

Si riprenda, invece, si faccia coraggio, si decida ad applicare fermamente la legge, si redima della schiavitù in cui l’ha tenuta la minoranza socialista, governi come crede necessario per il bene pubblico, ed il paese gli ubbidirà.

Riporti anzitutto la disciplina nei suoi organi: questo è essenziale.

Vano è chiedere d’essere ubbiditi quando il maggior stimolo di ribellione è offerto proprio dai funzionari della Stato. Poi, legiferi, non come suggerisce la più vuota e fatale demagogia, ma come richiede la nostra salvezza economica.

Non reazione, non sopraffazione, non violenza, ma rispetto assoluto delle leggi più essenziali in ogni società civile, e coraggio e sincerità nel segnalare la via che si crede migliore per il bene pubblico. Ecco che cosa occorre a spegnere ogni fuoco di guerra civile che da essi minaccia di divampare. L’Italia cerca affannosamente il terreno di una ricostruzione sociale tranquilla che le eviti gli errori di una rivoluzione, che la mantenga fedele a quel programma per cui ha incontrato il sacrificio della guerra; lo cerca dirigendosi verso l’orizzonte luminoso delle sue glorie, non verso gli errori del bolscevismo. Lo ritroverà; ne abbiamo certezza.


Articolo attribuibile al Direttore Luigi Albertini