Re Vittorio Emanuele III fu il vero regista dell’Intervento, a cominciare dai negoziati segreti che portarono il 26 aprile 1915 alla firma del “Patto di Londra” insieme alle Potenze dell’Intesa: Inghilterra, Francia e Russia. Le clausole segrete di questo accordo, che promettevano all’Italia le province austriache fino al Brennero, l’Istria,
Gorizia, Gradisca, Trieste, la Dalmazia settentrionale, Valona e parte del territorio albanese, oltre alla sovranità del Dodecanneso, furono il motivo che spinsero il Sovrano ad abbandonare definitivamente i vecchi alleati, che avevano nutrito sempre sentimenti di ostilità nei confronti dell’Italia e gli diedero la possibilità di realizzare il sogno di completare l’epopea risorgimentale, portando a termine il processo di unificazione nazionale che il suo avo Re Carlo Alberto aveva iniziato varcando il Ticino nel marzo del 1848.
Solo Re Vittorio Emanuele III, il Presidente del Consiglio Salandra ed il nuovo Ministro degli esteri, il Barone Sidney Sonnino, erano a conoscenza del Patto di Londra, di cui erano anche gli artefici.
Le “radiose giornate” che portarono all’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa
furono convulse e ricche di colpi di scena. Mai come in quei frangenti Re Vittorio Emanuele III fu il “deus ex machina” della situazione. Il 3 maggio l’Italia comunicava a Vienna la rottura del Trattato della Triplice Alleanza, il 13 maggio Antonio Salandra rassegnava al Re le sue dimissioni in seguito alla crisi extraparlamentare provocata da oltre trecento deputati e cento senatori, che dimostrarono la loro solidarietà con il neutralista Giolitti inviando alla sua abitazione romana una montagna di biglietti da visita e lettere di adesione. Di fronte alle dimissioni del Governo interventista di Salandra, Vittorio Emanuele III, sempre convinto della necessità di entrare in guerra,
seppe condurre il gioco con grande abilità.
Dopo brevissime consultazioni, convocò il dimissionario Antonio Salandra il 15 maggio e lo incaricò di presentarsi di fronte alle Camere, Salandra era il simbolo della decisione del Governo di entrare in guerra. Il 16 maggio il Governo Salandra ottenne la fiducia parlamentare con ben 407 voti contro solo 74. Il Re, come farà anche in seguito nei momenti più drammatici della vita della Nazione, si comportò da Sovrano Costituzionale, ma la sua scelta, in quel particolare momento storico, era qualcosa di più di un semplice adempimento di una corretta prassi statutaria, poiché Salandra recandosi a Villa Savoia dal sovrano aveva detto: “Il nostro ritorno è la guerra”. Quella del Sovrano fu una decisione sofferta, respingendo le dimissioni di Salandra il Re spianò la strada all’intervento dell’Italia in guerra a fianco delle Potenze dell’Intesa. Del resto, il Re aveva già operato la propria scelta di campo quando aveva sottoscritto
il Patto di Londra. Vittorio Emanuele III, fedele al principio secondo il quale “quando un governo è debole, la Corona deve sempre sapersi imporre” guidò la Nazione in un particolare momento storico in perfetta sintonia con il suo ruolo di Monarca rispettoso delle prerogative Statutarie. In quel “maggio radioso” Vittorio Emanuele III portava a termine un progetto che aveva in mente a partire dal 1900, allorché era salito al trono: il progressivo sganciamento dell’Italia dalla Triplice Alleanza a fianco degli Imperi Centrali, e in particolare di quell’Impero Austro-Ungarico che occupava le nostre terre irredente di Trento e Trieste, ed il nostro allineamento a fianco delle Potenze dell’Intesa.