Garibaldi torna in Patria - 1848

Garibaldi torna in Patria - 1848

Già famoso oltre oceano, ad un tratto venne raggiunto dalla notizia che in Europa, succedevano grandi sconvolgimenti : Pio IX aveva concesso l'amnistia, e poi altre notizie davvero sensazionali. Dai primi di giorni di gennaio 1848, in Sicilia c’era la rivoluzione !
Senza pensarci due volte, Garibaldi aveva deciso di rientrare in Patria. Mentre si organizzava, aveva spedito in Europa a febbraio, Giacomo Medici perché si accordasse con Magrini che lo aspettasse in Toscana, ammonendolo : "Terrai presente soprattutto che lo scopo nostro è di recarci in patria, non per contrariare l'andamento attuale delle cose ed i Governi che le cose acconsentono, ma per aggregarci ai buoni e, d'accordo con loro, andare innanzi, per il meglio del paese".


Il 15 aprile parte da Montevideo con 63 legionari sul brigantino "Speranza", non è ancora a conoscenza delle cinque giornate di Milano, di Venezia, dello Statuto di Carlo Alberto, e nemmeno che il Re di Sardegna, il 24 marzo si era deciso a marciare contro gli Austriaci.
Raggiunta la Spagna, nel porto di Santa Pola, viene aggiornato di questi fatti, e anche del concorso degli altri principi italiani. Riprende il mare, ma a quel punto,  invece di far rotta sulle coste toscane, Garibaldi dirige la prora verso Nizza (sua città natale) per offrire il suo braccio al Re di Sardegna.

Sbarcato il 21 giugno a Nizza, il 25 farà in pubblico la sua professione di fede :
"Voi sapete che non fui mai partigiano dei Re; ma poiché Carlo Alberto si è fatto il difensore della causa popolare, io penso di recargli il mio concorso e quello dei miei camerati".
Poi il 2 luglio, sbarcato a Genova, conferma questa dichiarazione di fede al "Circolo Nazionale" aveva confermato quanto aveva detto a Nizza, aggiungendo una realistica considerazione ancora oggi valida più che mai :
"Noi dobbiamo fare ogni sforzo possibile perché gli Austriaci siano presto cacciati dal suolo italiano e non si abbia a sostenere una guerra di due o tre anni. Ma non possiamo ottenere quest'intento se ora non siamo molto uniti. Si dia il bando ai sistemi politici, non si aprano discussioni sulla forma di governo, non si sollevino partiti. La grande, l'unica questione del momento è la cacciata dello straniero e la guerra dell'indipendenza. Pensiamo a questo solo (...) Io fui repubblicano, ma quando seppi che Carlo Alberto si era fatto campione d'Italia, io ho giurato di ubbidirlo e seguire fedelmente la sua bandiera. In lui solo vidi riposta la speranza della nostra indipendenza; Carlo Alberto sia, dunque il nostro capo, il nostro simbolo. Gli sforzi di tutti gli Italiani si concentrino in lui. Fuori di lui non vi può essere salute. Guai a noi se invece di stringerci tutti fortemente intorno a questo capo, disperdiamo le nostre forze in conati diversi ed inutili e, peggio, ancora, se cominciamo a spargere fra noi i semi di discordia".

Il 7 luglio, Giuseppe Garibaldi si reca a Roverbella, ma Carlo Alberto, più che pensare all’ammutinato della Marina del suo Regno, forse non credeva alle qualità del condottiero che gli si era presentato, formatosi fuori dalle caserme e dalle scuole di guerra. Così, prendendo a pretesto le norme costituzionali, lo rimandò a Torino al Governo e ai suoi ministri. Una settimana dopo, proprio a Torino, il Ministro Ricci rifiutava di accogliere la richiesta di Garibaldi, disquisendo che il Governo in quel particolare momento non poteva considerare la possibilità di formare corpi volontari paralleli a quelli dell'esercito regolare così duramente impegnato.
L’argomentazione, che poteva anche essere vera, considerando le scarse riserve finanziarie del Regno, non riuscì però a nascondere che forse a Torino, ma poi in parte anche a Milano, mancava semplicemente la fiducia in lui, soprattutto a causa dei suoi trascorsi repubblicani.

Disilluso ed anche un poco offeso, riconciliatosi accanto al letto di Anzani morente con Medici che già lo aveva accusato di voltafaccia al partito repubblicano, Garibaldi si recò a Milano, dove, non senza difficoltà, venne nominato dal Governo provvisorio della città, Maggior Generale con l'incarico di organizzare un corpo di volontari.

Già il 18 luglio 1848, formerà il "Battaglione Italiano della Morte", ma era ormai troppo tardi; gli avvenimenti infatti volgeranno precipitosamente al peggio per l’Armata Sarda e quindi per la causa italiana.
Garibaldi e i suoi volontari così, non furono in grado di portare un contributo effettivo a questa prima fase per l’indipendenza italiana.

Alberto Conterio