Dopo la perdita della fortezza di Peschiera e la sonora sconfitta di Goito, gli austriaci misero in moto tutta la loro diplomazia. Gli scopi inizialmente, erano di porre fine alle operazioni militari per cercare di salvare almeno il veneto dalla totale sollevazione, ricucendo relazioni diplomatiche accettabili tra il governo imperiale e le province italiane.
Una buona pace in quelle condizioni diventava la benvenuta, tanto che fin dai primi giorni d'aprile (quindi prima della crisi militare più evidente raggiunta da Radetzky dopo Goito) il governo austriaco, per mezzo del Conte Francesco Hartiz, aveva inoltrato al Governo provvisorio di Milano le seguenti proposte di pace :
"L'Austria sgombrerebbe la Lombardia dal Ticino al Mincio e la Lombardia assumerebbe per conto proprio 2000 milioni di fiorini del debito austriaco, e pagherebbe un indennizzo per le spese della guerra: conclusa la pace, si negozierebbe fra l'Austria e il Regno Sardo un trattato doganale e commerciale con le condizioni più vantaggiose alle due parti contraenti; durante la condotta dei negoziati, si stipulerebbe un armistizio con i Sardi".
Ma Lord Abercromby, ambasciatore britannico a Torino, su incarico di lord Palmerston Primo Ministro, aveva cercato di persuadere il Governo sardo a impedire che i governanti Lombardi prendessero in considerazione le proposte austriache. Purtroppo, il consiglio dei ministri piemontese, in data del 24 aprile dandogli ragione, aveva risposto deliberando che :
"Si dovevano rifiutare tutte le proposte, che non assicuravano la completa liberazione dell'Italia dalla dominazione austriaca; e nel caso che la pace si dovesse negoziare all'infuori di una tale clausola, il ministero doveva rassegnare le due dimissioni".
La stessa risposta (quasi) fu data al Conte Hartiz dal Governo provvisorio di Lombardia, che come abbiamo visto protendeva per l’unione al Regno di Sardegna e quindi aveva una marcata politica filo-sabauda.
Dopo Goito, al culmine delle fortune “italiche”, ed essendosi aggravate anche, le condizioni interne dell’Impero (le sollevazioni non erano solo in Italia, ma ovunque) l’Austria, messo alla porta l’obsoleto Metternich, aveva ripreso i negoziati, allargando le concessioni e facendo appello alla mediazione inglese (incredibile).
Per incarico del ministro degli esteri austriaco Pellersdorf, il Barone Hummelhauer, aveva presentato a Lord Palmerston un memorandum in cui era scritto che :
"l'Austria avrebbe lasciato la Lombardia dandole facoltà di costituirsi indipendente o di unirsi ad altro stato; che il debito pubblico sarebbe stato proporzionalmente assunto dalla Lombardia, che il Veneto sarebbe rimasto sotto il dominio dell'imperatore, ma avrebbe usato un'amministrazione tutta nazionale, truppe stanziali proprie, e a capo del governo un arciduca viceré residente a Venezia".
Palmerston aveva risposto che l'Inghilterra non avrebbe accordato la sua mediazione se l'Austria non avesse ceduto tutte le terre italiane al di qua di una linea che poteva esser fissata da una parte fra Trento e Bolzano (confine di Salorno), e dall’altra fra Venezia e Trieste (sul Carso) aggiungendo:
"Lo spirito di nazionalità e d' indipendenza si è fatto tra gli Italiani così universale e così energico che l'Austria, per mantenervi la propria dominazione, dovrebbe sostenere un dispendio di forze militari e pecuniarie sproporzionato rispetto a qualsiasi vantaggio da poterne ritrarre".
Ma il buon Hummelhauer non era stato autorizzato a trattare a quelle condizioni, il suo mandato dal ministero non era tanto “aperto”, e dovette ritirarsi in buon ordine. L’Austria rinunciando alla mediazione inglese, si rivolse così direttamente al governo provvisorio di Milano, mandando al suo presidente, per mezzo del consigliere di legazione Schmitzermeeray, la seguente lettera :
"S. M. Imperiale, mossa da sentimenti di umanità e di pace, desidera vivamente di veder presto posto un termine alla guerra che rende desolate le sue province italiane. A questo scopo, io sono autorizzato ad aprire con il Governo provvisorio stabilito a Milano un negoziato, che avrebbe per base la separazione e l'indipendenza della Lombardia. Il governo di S. M. I. R. A. non vi aggiungerà che alcune condizioni di pura equità, le quali consisterebbe principalmente nel trasporto di una parte proporzionale del debito dell'Impero austriaco a carico della Lombardia; più un regolamento che assicurasse certi vantaggi al Governo austriaco, ed alcune stipulazioni riguardanti la proprietà privata della famiglia imperiale e i danni sofferti dagli impiegati civili e militari in seguito agli ultimi avvenimenti. Voi vedete, signor Conte, che io entro nella questione con tutta la franchezza possibile. Io vi annunzio nel medesimo tempo che S. M. I. R. A. ha dato gli ordini opportuni per la conclusione d'un armistizio, al quale il governo provvisorio vorrà concorrere indubbiamente. Non rimane ora che nominare, da una parte e dall'altra, dei plenipotenziari per condurre il negoziato allo scopo desiderato".
Questa lettera, scritta il 13 giugno, e presentata il 17, aveva ormai più un solo scopo… prendere tempo. Carlo Alberto a Roverbella era in stallo, l’Armata Sarda era senza idee di come sfruttare il successo, Radetzky, ritornato a Verona e con tutte le comunicazioni con l'impero aperte ed efficienti, aveva bisogno di far giungere tutti gli uomini e i mezzi che riteneva necessari.
Alla lettera, il Conte Casati (indubbiamente poco o nulla informato dalla situazione militare) aveva risposto così al ministro degli esteri austriaco :
"Eccellenza, il Signor consigliere di legazione Schmitzermeeray mi recapitò una lettera di V. E. contenente proposte di pacificazione, che si riassumono nei punti seguenti:
1) Indipendenza assoluta della Lombardia e sua separazione dalla monarchia;
2) Obbligo per la Lombardia di accollarsi una parte proporzionale del debito austriaco, ecc. Nello svolgimento di tali proposte si nota innanzi tutto la considerazione che V. E. tratta la questione come semplicemente lombarda, mentre da noi fu sempre tenuta come una questione italiana.
Ciò posto, se l'art. 10, in luogo di parlare dell'indipendenza lombarda, avesse accennato all'indipendenza di tutte le province italiane soggette allo scettro dell'Austria, i successivi contatti aprirebbero il campo a un negoziato, nel quale andiamo persuasi che non sarebbe difficile il riuscire ad intenderci. Il Governo provvisorio, in cui nome scrivo, partecipa vivamente al desiderio di porre fine ad una guerra desolatrice e che potrebbe durare a lungo con gravi sacrifici per entrambi le parti: ma la causa della quale si tratta è agli occhi suoi tanto sacra che non saprebbe mai determinarsi ad abbandonarla neppure in parte. Le dichiarazioni delle altre province proclamano la fratellanza, né la nostra indipendenza sarebbe sicura se fosse soltanto mezza. V. E. può essere certa che l'Austria troverebbe allora nella vicina Italia una nazione amica, e che gl'interessi materiali delle due nazioni ci guadagnerebbero immensamente, più che se le province italiane dovessero in tutto o in parte rimanere forzatamente unite alla monarchia austriaca".
Era una risposta idealista, molto bella ed altruistica, ma poco realistica. A quella data infatti si sarebbe già dovuto tenere in debito conto la pesante defezione degli alleati più importanti, il Papa e Ferdinando delle due Sicilie, cercando di arrivare assolutamente ad un accordo. La strada dell’accordo invece venne chiusa in modo definitivo. In pratica, si buttava alle ortiche un accordo che prevedeva quasi gli stessi progressi che avremmo compiuto con le operazioni militari della seconda guerra d’indipendenza del 1859 !
Del rifiuto di questa seconda proposta austriaca non si può attribuirne la colpa a Carlo Alberto, il Sovrano infatti, in questo frangente apparve il più lucido e il più realista.
Quando il ministro della guerra Generale Franzini gli fece sapere al campo di Roverbella che Abercromby (l'ambasciatore britannico a Torino) lo consigliava di concludere con l'Austria una pace onorevole, servendosi della sua mediazione, il Re, in data del 7 luglio 1848, rispose con una lettera di cui riproduciamo le parti essenziali :
"Voi conoscete perfettamente il mio pensiero sugli ingrandimenti che io credo dobbiamo desiderare per il nostro paese, avuto riguardo soprattutto alle nostre finanze e alla forza effettiva che il nostro esercito può portare in battaglia. Dal momento che, noi non possiamo far conto su alcun alleato né d'altra parte da tempo non riceviamo un appoggio reale dalle truppe lombarde.
Voi avete visto tutto quello che vi ho scritto in questi ultimi giorni e che dovrebbe togliere ogni illusione agli uomini che riflettono in buona fede. Credo dunque in coscienza che, se potremo ottenere con la mediazione inglese, la Lombardia fino all'Adige e insieme i Ducati, avremo fatto una campagna gloriosa; con uno Stato così piccolo com'è il nostro a confronto del colossale Impero Austriaco, si potrà dire d'aver conseguito acquisti superbi e quasi inauditi nella storia. Ecco, davanti a Dio, il mio intimo pensiero, e voi potete confidarlo al signor Abercromby. Desiderare di più, specialmente ora che l'arciduca Giovanni è stato messo a capo della Confederazione germanica, la quale si è dichiarata a noi avversa, è una temerarietà, quasi una pazzia. Significa voler dichiarare la perdita, la rovina per sempre della causa italiana, o l'intervento della Repubblica francese, la quale vorrà toglierci allora la Savoia e Nizza, e ci porterà i suoi principi (rivoluzionari) dai quali potremmo esser travolti".
Carlo Alberto con questa lettera fu perfino veggente per ciò che sarebbe accaduto nel 1859 !
Forse, si era reso conto da un pezzo di essere stato di fatto il burattino di una regia di idealisti ed interessi internazionali, ed ebbe la lucidità di un ripensamento. Da quel momento però, venne bollato come “Re tentenna”.
Tre giorni dopo il ministro Pareto, sotto l’influsso di cattivi consigli, dichiarava alla Camera :
"Se vi fosse qualche trattativa di pace che non trattasse dell'evacuazione d'Italia dall'Austriaco,
ognuno di noi domanderebbe le sue dimissioni".
A quella data comunque, anche se il pensiero di Carlo Alberto fosse stato compreso e condiviso dall’intero governo di Torino, era ormai troppo tardi. La guerra ha il suo ritmo coma la marea, prima sale e poi scende. Radetzky ormai rinfrancato e rinforzatosi di uomini e materiale, conosceva perfettamente la criticità della situazione militare piemontese. Consigliò il suo governo di non fare alcuna concessione al nemico. Lui, con le sue armi era ormai nelle condizioni di riprendersi tutto quanto gli era stato strappato, compresa la Lombardia, che pareva persa definitivamente nelle proposte di negoziato !
Dopo un mese circa di riposo, le negoziazioni diplomatiche cessavano. Ricominciavano a parlare le armi, incaricate di decidere delle sorti della guerra una volta per tutte.