Armistizio del 1849
Il nuovo Re di Sardegna e l’incontro di Vignale
Vittorio Emanuele riceveva lo scottante scettro dal padre, che abdicava, e che già era pronto a partire per l'esilio.
L'esuberante primogenito di Carlo Alberto, era sempre stato tenuto lontano da ogni faccenda politica, lontano dal "palazzo", mai a contatto con i suoi ministri borghesi pretenziosi, demagoghi, gonfi di boria. Non era mai stato partecipe dell'attività politica interna. Non era mai stato neppure associato ad una decisione qualsiasi.
Carlo Alberto non lo aveva mai disturbato, perché lo voleva conservare puro e libero da ogni impegno, da ogni compromesso della politica, fin quando sarebbe arrivato il suo giorno, in modo che potesse, se ve ne fosse stato bisogno, cambiare pagina senza compromissioni.
Il nuovo Re, la sera stessa dell'abdicazione del padre, sebbene digiuno di tutto, non perse tempo.
Il giorno dopo iniziò la sua improba impresa, mandando al quartiere generale austriaco il ministro Cadorna e il Generale Cossato chiedendo di trattare le dure condizioni imposte al padre.
Radetzky, alla notizia della abdicazione, rispose che accettava di fissare i patti con il nuovo Re.
Il giorno dopo Vittorio Emanuele II di Savoia, dovette recarsi dal vecchio Maresciallo che lo aspettava nel cortile di un cascinale nei pressi di Vignale.
L'anziano Feldmaresciallo, che aveva 84 anni acconsentì al colloquio con curiosità e fare paternalistico, con il giovane e sconosciuto “Principe” 28enne, divenuto improvvisamente Re.
Simpatizzarono subito, ma Radetzky , rimase fermo sulle condizioni, cercando di trascinare Vittorio Emanuele nella scia di Vienna.
Il giovane Savoia, fu altrettanto abile, rivendicando la sua piena libertà d'azione "evitando" discussioni sopra punti troppo delicati, e che non conosceva, quali argomenti di politica interna ed estera, che non avrebbe potuto sopportare con l’espertissimo interlocutore.
Fece però capire al Radetzky , che avrebbe impugnato saldamente le redini del governo, domando le derive del Partito Democratico, e disse di “odiare”.
Convinse Radetzky, che avrebbe portato avanti una dura politica per tornare ad un regime assolutista, al pari degli altri principi italiani.
Radetzky rimase colpito dalla sicurezza e affascinato da quell'atletico giovane che sprizzava orgoglio da tutti i pori, acconsentendo a modificare parte delle pesanti condizioni dettate dalla foga della battaglia appena terminata, a patto che non si superassero i dettami del precedenti trattati di Vienna del 1815.
Non riuscì invece nel far abolire o stracciare il documento dell'annessione della Lombardia, così come non riuscì a imporgli un proclama da fare ai cittadini per sconfessare che quel documento fatto da suo padre non aveva più valore. Il giovane principe gli fece notare che sarebbe stata un'umiliazione rinnegare davanti ai cittadini quel proclama, lui avrebbe perso prestigio e autorità prima ancora di esserne investito d’essa, che avrebbe fatto solo la figura di un burattino nelle sue mani. Insomma anche in ciò persuase Radetzky. In effetti non era poi così molto importante in quel momento formalizzare un documento che sconfessava un precedente editto, dal momento che praticamente gli austriaci rioccupavano Milano e tutta la Lombardia.
Radetzky con lusinghe e promesse di appoggio, cercò poi di indurlo ad abolire lo Statuto Albertino, al che, Vittorio Emanuele rispose :
"Ho giurato come Principe, sto per giurare come sto per giurare come Sovrano. La bandiera innalzata dal mio padre non può essere ripiegata senza tradimento. Non cerco alleanza dall'Austria : domando tregua e mi affido all'avvenire".
Un tipo del genere al vecchio Maresciallo piacque. Nemmeno suo padre gli aveva mai parlato così. Dissero i maligni, che Radetzky nel lasciarlo lo abbracciò pure; un gesto che non va certamente a disonore di nessuno dei due.
Invitato da Radetzky a passare in rassegna le truppe imperiali al termine ufficiale dell’incontro, ne percorse le file al galoppo con spavalderia, non certo con lo spirito di un Sovrano sconfitto, perché si potesse pensare e credere di essere ancora capace di contrastare il terreno al nemico con le armi in pugno.
Uscito quindi a testa alta dal quartier generale di Radetzky, il nuove Re accingeva ad affrontare i problemi interni, che non apparivano certo di facili soluzioni.
Senza poter contare sull’esperienza che gli era stata negata, fu istintivo, ma comunque abile.
Pubblicò il proclama della pace alla nazione sotto la sua sola responsabilità, con la sola sua firma. Non vi figurava nessun nome di appartenenti al governo.
La monarchia sabauda insomma, riprendeva contatto diretto con il popolo come era sempre stato, ed in effetti, far firmare una pace proprio da chi (politicanti e governo) aveva voluto la guerra (così sciagurata) sarebbe stato grottesco.
L’Armistizio
Dopo lunghe trattative si concluse la sospensione delle ostilità ai seguenti patti, che dal Re, dal Radetzky e dal Generale Chrzanosky furono sottoscritti a Novara il 26 marzo 1849.
Questo il testo integrale :
Art. I ° - Il re di Sardegna assicura positivamente e solennemente che si affretterà a conchiudere con S. M. l'imperatore d'Austria un trattato di pace, del quale sarebbe preludio questo armistizio.
Art II° - Il re di Sardegna scioglierà il più presto possibile i corpi militari formati di Lombardi, Ungheresi, e Polacchi, sudditi di S. M. l'imperatore d'Austria, riservandosi tuttavia di conservare nel proprio esercito alcuni ufficiali dei sudetti corpi, giusta le sue convenienze. S. E. il maresciallo conte Radetzky s'impegna a nome di S. M. l'Imperatore d'Austria, perché sia accordata piena ed intera amnistia a tutti i sopradetti militari lombardi, ungheresi e polacchi, che ritornassero negli stati di S. M. I. R. A.
Art. III° - Il re di Sardegna permette, finché dura l'armistizio, l'occupazione militare di 18 mila uomini di fanteria e di 2 mila di cavalleria delle truppe di S. M. l'imperatore del territorio compreso fra il Po, la Sesia e il Ticino e della metà della piazza di Alessandria. Quest'occupazione non avrà influenza alcuna sull'amministrazione civile e giudiziari delle province comprese nel territorio suddetto. Le truppe su nominate, nel numero totale di 3000, potranno fornire la metà della guarnigione della città e fortezza di Alessandria, mentre l'altra metà sarà fornita dalle truppe sarde. La parola di S. M il re è garante della sicurezza di queste truppe di S. M. l'imperatore. Le truppe austriache avranno libera la via da Valenza ad Alessandria per la loro comunicazione con la guarnigione della detta città e fortezza. Il mantenimento di questi 20.000 uomini e 2000 cavalli per parte del governo sardo sarà stabilito da una commissione militare. Il re di Sardegna farà evacuare sulla riva destra del Po tutto il territorio di Piacenza, di Modena e del granducato di Toscana, vale a dire tutti i territori che non appartenevano prima della guerra agli Stati Sardi.
Art. IV° - L'ingresso della metà della guarnigione nella fortezza di Alessandria da fornirsi dalle truppe austriache, non potendo aver luogo che in tre o quattro giorni, il re di Sardegna garantisce l'entrata regolare della suddetta parte di guarnigione nella fortezza di Alessandria.
Art. V° - La flotta sarda con tutte le vele e i battelli a vapore lascerà l'Adriatico nello spazio di quindici giorni per condursi negli Stati Sardi. Il re di Sardegna darà l'ordine più perentorio alle sue truppe ed inviterà gli altri suoi sudditi che si trovano a Venezia, a ritornare immediatamente negli Stati Sardi, sotto pena di non essere più compresi in una capitolazione che le autorità militari imperiali potrebbero concludere con quella città.
Art. VI° - Il re di Sardegna promette, per mostrare il suo verace desiderio di conchiudere una pace pronta e durevole con S. M. l'imperatore d'Austria, di ridurre il suo esercito sul piede ordinario della pace nel più breve spazio di tempo.
Art. VII° - Avendo il re di Sardegna il diritto di dichiarare la guerra e fare la pace, per questa stessa ragione ritiene inviolabile questa convenzione d'armistizio.
Art. VIII° - Il re di Sardegna manderà immediatamente un plenipotenziario munito di pieni,
poteri "ad hoc" in una città qualunque, da scegliersi di comune accordo, per intavolare le prime pratiche della pace.
Art. IX° - La pace stessa e le sue singole condizioni saranno fatte indipendentemente da questo armistizio, e giuste le reciproche convenienze dei due governi. S. E. il Maresciallo Radetzky, si fa un dovere di prevenire senza indugio la corte imperiale del reale desiderio di S. M. Sarda di concludere una pace durevole con S. M. I. R. A.
Art. X°. La presente convenzione d'armistizio è obbligatoria per tutto il tempo della durata delle negoziazioni della pace, e in caso di loro rottura l'armistizio dovrà essere denunziato dieci giorni prima della rinnovazione delle ostilità.
Art. XI° - I prigionieri di guerra saranno immediatamente restituiti dalle due parti contraenti.
Art. XII° - Le truppe imperiali si fermeranno nei loro movimenti, e quelle che già passarono la Sesia rientreranno nel territorio accennato di sopra per l'occupazione militare.".
Alberto Conterio