Le operazioni militari preliminari e lo scontro di Mortara
Il 20 marzo a mezzogiorno, la 4a Divisione del Duca di Genova passava il Ticino a Buffalora: Carlo Alberto era alla testa della colonna con i bersaglieri. Le truppe avanzarono fino a Magenta senza incontrare il nemico, eccettuati piccoli drappelli di Ussari che si allontanavano al galoppo al loro avvicinarsi. Si ipotizzò allora che il nemico si fosse ritirato dietro l'Adda, oppure che avrebbe tentato di passare il Ticino presso Pavia per invadere il territorio piemontese e puntare a sua volta alla capitale del Regno; Torino: Diventava quindi molto importante il ruolo del Generale Ramorino, posto di guardia proprio in quel settore.
Chrzanowsky, comunque, aveva dinanzi a sé la via libera per Milano. Avrebbe potuto spingersi ad oriente, sollevarvi le popolazioni e render quindi difficilissima al nemico la ritirata; ma non osò allontanarsi dalla sua base di operazione e preferì aspettare gli Austriaci nelle posizioni occupate.
Gli austriaci del resto furono fulminei, e sorpresero il disegno piemontese, passando il fiume Ticino che segnava il confine, proprio presso Pavia.
Come abbiamo visto, questa manovra, che prevista da Chrzanowsky, e doveva essere assolutamente contrastata. Ciò non avvenne, perché il Generale Ramorino, incaricato con la sua 5a Divisione (la Divisione Lombarda, quasi esclusivamente composta di volontari lombardi appunto) di fare la guardia ai guadi sul Ticino tra Vigevano e Pavia, aveva spostato gran parte dei suoi uomini al di là del Po, a sud, verso Piacenza sulla sponda destra, traendosi di fatto fuori zona.
Radetzky, appena cessato l'armistizio, aveva ordinato che si cominciasse il passaggio del Gravellone con tre colonne comandate dal generale D'Aspre. Gli austriaci non vi trovarono quasi nessuna resistenza, perché Ramorino aveva lasciato duecento uomini alla Cava e il Battaglione Bersaglieri di Manara al Gravellone. Furono questi uomini infatti a opporre qualche resistenza al nemico, ma vennero presto sopraffatti dal numero e dovettero ritirarsi.
Quando al quartier generale si seppe ciò, si informò il Generale Ramorino di recarsi a Novara per render conto del suo operato e il comando della 5a Divisione fu affidato al Generale Fanti.
Ramorino, giunto a Novara, cercò di scusare la sua disobbedienza adducendo che la sua manovra tendeva a contrastare il nemico - che puntava all’Oltrepo pavese - con un movimento aggirante e diversivo, ma poi fuggì. Fu però arrestato ad Arona e condotto nella cittadella di Torino.
La sera stessa del 20 quindi, essendo ormai certo che il nemico da Pavia aveva fatto irruzione in territorio piemontese, Chrzanowcky ordinò alla divisione Durando di trasferirsi da Vespolate a Mortara, e alla divisione Bes, che era a Cerano e a Cassoluovo di portarsi alla Sforzesca spingendo un posto avanzato a S. Siro. All'alba del 21 ordinò alla riserva del Duca di Savoia di raggiungere le il Generale Durando; poi lui stesso con le Divisioni di Perrone e del Duca di Genova si pose in marcia per Vigevano.
Radetzky intanto, mirando a Mortara, vi mandò il 2° e il 3° corpo, protetto dal primo che da Zerbolò mosse verso Gambolò, e dal 4° che dalla Cava marciò su S. Giorgio. L'avanguardia del 1° Corpo di Wratislaw, comandata dal Colonnello Schanz, giunta a S. Siro incontrò gli avamposti della Divisione del Generale Bes e, sostenuta dalla Brigata Strassoldo, li assalì. Sebbene molto inferiori di numero i piemontesi si difendessero bene, ma dovettero poi ripiegare sulla Sforzesca.
Anche questa località fu attaccata dal nemico, ma gli Austriaci furono più volte respinti alla baionetta dal 17° Reggimento di Fanteria al comando del Colonnello Mollard e dal 23° del Colonnello Enrico Gialdini, comandato in sua assenza dal Maggiore Fontana che nell'azione perse il cavallo, ucciso sotto di se mentre lo montava. Due squadroni del Piemonte Reale, nonostante le asperità del terreno ricoperto di vigneti e attraversato da tanti fossi, eseguirono due cariche molto irruente, che respinsero il nemico, il quale lasciava nelle loro mani numerosi prigionieri.
Verso le quattro del pomeriggio, gli Austriaci sferrarono un altro attacco su Gambolò con le Brigate Strassoldo e Wohlgemath, sostenute da numerosa cavalleria e da molte batterie; ma l'assalto non fu più fortunato del precedente. Si distinse nella difesa il primo Reggimento Savoia, comandato dal Colonnello Saillet di Saint. Cergues, che non cedette di un palmo, cagionando al nemico numerose perdite.
Queste però, erano mosse dimostrative degli austriaci, per distrarre l'attenzione dei piemontesi dal loro principale obiettivo, che era e rimaneva Mortara.
Lo scontro di Mortara - 21 marzo 1849
Chrzanowcky aveva mandato a Mortara il Generale Alessandro La Marmora affinché gli ordini emanati per lo schieramento fossero eseguiti alla lettera, ma malgrado ciò, l'esecuzione della manovra risultò imperfetta. Il Generale Durando infatti, recatosi tra le strade di Garlasco e di S. Giorgio, spiegò la sua Divisione dal convento di S. Albino al cimitero, mettendo alla sinistra la Brigata Aosta, la cavalleria e una batteria di riserva, e alla destra la Brigata Regina, comandata dal Generale Tratti, che aveva un battaglione nel convento. Vittorio Emanuele invece, giunto a Castel d'Agogna, spiegò la sua Divisione a sinistra fin quasi dietro la destra di Durando; ma tra le due divisioni, a causa del terreno difficile e poco conosciuto, mancò il collegamento e tutto il peso della battaglia gravò sulla sola Brigata Regina della Divisione di Durando, che non fu sostenuta da nessun altro.
L'attacco fu iniziato dal Generale D'Aspre alle cinque del pomeriggio con l’appoggio di ventiquattro cannoni al quale seguì l'azione delle fanterie che si gettarono sulla destra della divisione sarda (la Brigata Regina appunto). Le truppe sabaude, composte in gran parte di reclute, che a stento si erano mantenute ferme sotto il bombardamento, non riuscirono a sostenere l'urto e ripiegarono in disordine verso Mortara, inseguite dagli austriaci, tre battaglioni dei quali riuscirono ad occupare la porta Garlasco.
Il Duca di Savoia (Vittorio Emanuele) cercò di rimediare ordinando a due battaglioni della Brigata Cuneo di accorrere verso la strada di S. Giorgio, ma quando vi giunsero la notte cominciavano a calare e la confusione rese impossibile riprendere il controllo della situazione, neppure se vi fossero state forze maggiori a disposizione.
Egualmente inutile fu il tentativo di Alessandro La Mormora, che, riordinato un Battaglione della Regina in ritirata, lo aveva ricondotto ordinatamente al fuoco. Questi a causa della poca luce rimasta, scambiato per un reparto nemico fu preso alle spalle sotto il fuoco dai reparti della Vrigata Cuneo. Le truppe di S. Albino, anche dopo la rotta della Regina, continuarono a sostenere con gran bravura il combattimento, ma sopraffatti dai soldati del Generale Kollovrat, lasciarono il convento e con i due Battaglioni della Cuneo si ripiegarono verso Mortara. A Mortara però era già entrato il Colonnello Benedeck con il Battaglione Gyulai, che combatteva già per le vie cittadine contro i piemontesi. Tuttavia all'arrivo dei Battaglioni della Cuneo e del Battaglione della Regina al comandi di La Marmora in persona, Benedeck si trovò in gravissima inferiorità numerica. Giocando d’audacia però intimò la resa ai piemontesi, che cascarono in parte nel tranello.
I Colonnelli Delfino e Abrate infatti, vennero fatti prigionieri.
Durante tutta la giornata, oltre alle importanti posizioni, i piemontesi avevano perso cinquecento uomini in combattimento e altri duemila erano stati fatti prigionieri. Gli austriaci in totale, tra morti e feriti avevano perso circa cinquecento uomini.
L’accanimento messo dai piemontesi nella difesa, fu comunque era provato dai feriti “eccellenti”, durante lo scontro. Il comandante del 17° Reggimento di Fanteria infatti ricevette un colpo di baionetta, mentre il vecchi Generale Bussetti comandante della Brigata Cuneo fu ferito da un colpo di sciabola e addirittura da uno di lancia !
Durante la notte, il resto della Brigata Regina, l'artiglieria, i Granatieri della Guardia, con i Cacciatori e i Reggimenti Savoia e Nizza Cavalleria completarono il ripiegamento a Novara, dove la mattina del 22 giunsero anche la Brigata Aosta, il resto della Cuneo, i quattro squadroni del Novara Cavalleria e l'artiglieria della riserva.
Il Re Carlo Alberto, ricevette l'annunzio della rotta di Mortara alle due di mattina. Il messo lo trovò disteso in un fosso, avvolto nel suo mantello, con il capo appoggiato sullo zaino di un granatiere. Alla notizia non parve turbato e non si scoraggiò, anzi, levatosi in piedi, espresse il desiderio di ritentare la sorte delle armi con una battaglia decisiva.
Vi erano due possibilità, marciare su Mortara e riprenderla al nemico con l’audacia, o concentrare le forze intorno a Novara aspettando lo scontro con Radetzky.
Chrzanowsky scelse la seconda opzione, impartendo alle truppe l’ordine di movimento.
Di fatto, la ritirata verso Novara di Chrzanowsky, provocò la separazione dell’Armata Sarda dai suoi accantonamento principali siti in Alessandria, che del resto però, erano già stati praticamente separati dalla manovra di sfilamento su Mortara operato dagli stessi austriaci.
Il Feldmaresciallo Radetzky però, in attesa tra Novara e la sua colonna avanzante oltre Mortata, ritenendo in un primo momento insensata la ritirata dei Sardi su Novara, attaccò con il grosso delle sue forze la città di Vercelli credendo di trovarci , l’Armata piemontese, e delegando al secondo Corpo d’Armata di d’Aspre, e al Corpo d’Armata del giovane Arciduca Alberto l’occupazione “secondaria” di Novara.
Ciò diede a Chrzanowski la straordinaria opportunità il 22 marzo, di contrattaccare una frazione delle forze Austriache con il vantaggio del numero. D’Aspre e l’Arciduca Alberto furono infatti respinti e l’attacco austriaco sventato !
Visto quanto successo, Radetzky, comprese l'errore tattico, e riconsiderò la presenza dell’esercito piemontese a Novara, prevedendo di attaccare con la totalità delle forze a disposizione quella località.
Siamo alla vigilia del 23 marzo 1849 !