L'ultima battaglia : Milano (4 agosto 1848)

L'ultima battaglia : Milano (4 agosto 1848)

Il 1° agosto, il Generale Aix di Sommariva, che con la sua Divisione si trovava a Grotta d'Adda, per contrastare come concordato, il passo al nemico, abbandonava senza motivo le posizioni ripiegando verso Piacenza. Crollava così senza alcuna resistenza anche la linea dell'Adda, sulla quale Carlo Alberto avrebbe voluto combattere l'ultima battaglia di quella campagna per vincolare, con quel gesto d'onore, il destino di Milano alla sua dinastia.

Carlo Alberto, opponendosi caparbiamente al Generale Bava, che consigliava a questo punto di passare il Po, decise di arretrare con tutto l’esercito sotto le mura di Milano per tentarne la difesa.
Giustifico quella decisione,  scrivendo lo stesso giorno ai ministri, di avere scelto "il partito meno militare, ma più nobile" del sacrificio !

Il 2 agosto giunse al quartier generale una deputazione lombarda per informare il Re che il popolo milanese era risoluto a difendersi, e per pregarlo di mandare l'esercito sotto le mura della città. Faceva parte della deputazione il Generale Manfredo Fanti, il quale però, pratico com'era di arte militare, comprese subito che l'esercito sardo avrebbe meglio difeso Milano portandosi sulla destra del Po che non sotto alle sue mura e, d'accordo con il Bava, cercò di persuadere il Sovrano a trasferire le truppe a Piacenza. Carlo Alberto però, rispose che era troppo tardi per revocare gli ordini dati (il giorno prima) e non bisognava disperare.

Lo stesso giorno il Governo provvisorio di Lombardia annunziava con un proclama di essersi trasformato in Consulta straordinaria e di avere rimesso i poteri al Generale Angelo Olivieri, al Marchese Massimo Cordaro di Montezemolo e al Nobile Gaetano Strigelli, regi commissari. Rimaneva però in funzione il Comitato di difesa che lavorava a preparare opere di difesa, aiutato dagli ufficiali piemontesi Cardona e Pettinengo.
L'esercito Sardo giunse a Milano il giorno 3 agosto e si dispose a semicerchio fuori della città con la destra appoggiata al Naviglio di Pavia e la sinistra a Porta Orientale. L'estrema destra era formata della 2a Divisione, che occupava la Chiesa Rossa e per Castellazzo, Vigentino, Nosedo e Gamboloita, si univa al centro, costituito dalla Divisione Broglia. Questa si protendeva a sinistra per Besana, Calvairate e Senavra legandosi alla 4a Divisione stanziata alle Cascine Doppie e a Loreto. La Divisione di riserva, comandata sempre da SAR il Duca di Savoia Principe ereditario, fu posta sulla strada di circonvallazione tra Porta Romana e Porta Tosa, verso il centro della linea, per esser pronta ad accorrere sul punto più minacciato dello schieramento.

La Divisione Lombarda (formata di volontari), comandata da Generale Perrore, ridotta per le diserzioni a poco più di millecinquecento uomini, collocò le sue avanguardie a Crescenzago collegandosi per Ponte Seveso alle milizie comandate dal Generale Fanti, consistenti in un battaglione di riserva delle Guardie, in uno del 18° reggimento e duecento Polacchi del Generale Antonimi più quattromila reclute lombarde (freschissime) cui dovevano aggiungersi tremila guardie nazionali al comando del Generale Zucchi.
L'artiglieria lombarda, con venti cannoni e sei obici, era distribuita alle porte settentrionali ed occidentali; la cavalleria sarda, eccettuati alcuni drappelli dislocati presso le divisioni, era concentrata sulla piazza d'armi insieme con due batterie a cavallo. Il Re alloggiava in un modesto albergo, il “San Giorgio”, fuori Porta Romana.

Gli Austriaci comparvero nelle vicinanze di Milano la mattina del 4 agosto. La battaglia incominciò con alcuni scontri verso le ore 10 della mattina stessa, in località Gamboloita e divenne subito generale. Da parte “italiana”, non vi era un piano prestabilito e unicità di comando. Scarsi i collegamenti tra le diverse unità e realtà di comando. La lotta acquisì subito l’aspetto di un insieme di scontri locali molto sanguinosi, tra i campi, accanto alle case dei sobborghi, presso i fossi, vicino ai punti improvvisati di difesa. La disperazione reggeva il morale degli italiani. La Brigata Casale, che per prima aveva ricevuto l'urto nemico, resistette due ore alla Gamboloita, poi prima di essere soprafatta iniziò il ripiegamento verso la località “Casa Bianca”, dove con l'aiuto di un battaglione delle Guardie si arrestò nuovamente combattendo valorosamente fino a notte inoltrata.

Davanti a Besana e a Boffalora la Divisione Broglia resistette stoicamente allo stesso modo fino alle cinque di sera.
All’imbrunire, lo spettacolo della pianura lombarda era davvero sinistro, case di campagna che bruciavano ovunque, il tuono rimbombava e pioveva a dirotto.

Carlo Alberto con grande energie e dignità si tenne per tutta la giornata nei punti dove maggiore era il pericolo e la pressione avversaria. Forse cercava una morte gloriosa sul campo di battaglia e invece miracolosamente rimase illeso mentre attorno a lui non furono pochi gli ufficiali che caddero colpiti da colpi e schegge. Il Capitano Avogadro e il Tenente Gazzelli tra questi.
La giornata si chiuse mestamente, il nemico non era stato arrestato.
A sera fatta, mentre le campane suonavano a stormo, si costruivano barricate dappertutto e regnava una grande confusione.

Carlo Alberto entrò in Milano con l'animo lacerato dallo sconforto e prese dimora al palazzo Greppi, dove subito dopo tenne consiglio di guerra.
Tenuto conto che scarseggiavano i viveri e le munizioni e che ostinandosi in una difesa inutile si procurava danno alla città senza speranza di bene, si giunse in fretta alla logica conclusione di offrire la capitolazione della città, a patto però che fosse accordato un indulto ai cittadini e si lasciasse libera la ritirata oltre il Ticino all'esercito sardo e a tutti coloro che volevano seguirlo.

Alle 9 di sera del 4 agosto furono inviati al Feldmaresciallo Radetzky i Generali Lazzari e Rossi, accompagnati dal vice Console inglese Campbell e dal segretario della legazione francese Reiset. Gli inviati tornarono da San Donato, dov'era ubicato il quartier generale austriaco, alle sei del mattino successivo. Radetzky aveva accordato l'armistizio alle seguenti condizioni :

"L'esercito sardo doveva sgombrare entro due giorni Milano e la Lombardia; ai cittadini maggiormente compromessi si concedevano dodici ore di tempo per lasciare la città; alle quattro e mezza del pomeriggio del 5 doveva avvenire lo scambio delle ratifiche; al mattino del 6 gli Austriaci dovevano ricevere la consegna di Porta Romana e al mezzogiorno il Feldmaresciallo sarebbe entrato in città con le truppe".