Venezia insorge e si scrolla di dosso il dominio austriaco - marzo 1848

Venezia insorge e si scrolla di dosso il dominio austriaco
Marzo 1848

Iniziati i piazza San Marco i tumulti continuarono nell'intricato dedalo di calli e campi della città, in cui diversi soldati austriaci isolati furono sorpresi, assaliti e uccisi, continuarono tanto da permettere al Podestà Giovanni Correr (legato ai dimostranti dall’ideale di libertà dallo straniero) e a Daniele Manin, di chiedere e ottenere l'istituzione della Guardia civica.
Il comando d’essa venne affidato ad un ex soldato napoleonico Angelo Mengaldo, persona coraggiosa e preparata, mentre la sera stessa del 18 marzo giunsero i dispacci ufficiali da Vienna e il Governatore Pallfy, volle leggerli al popolo. Per l’occasione, si dichiarò fortunato di essere il primo governatore costituzionale di Venezia.


L’entusiasmo dei veneziani durante la notte e nei giorni successivi si mantenne molto alto e furono molte le dimostrazioni di giubilo.
Mentre i cittadini si dimostravano così appagati, e bastava loro ornarsi della coccarda tricolore, acclamando a e all'Italia mostravano la loro gioia ingenua, Daniele Manin ed altri patrioti, stabilirono che non ci si poteva certo accontentare di una costituzione. Essi infatti desideravano per la loro Patria l'indipendenza dallo straniero, e si impegnarono da subito in questo senso con un'intensa propaganda fra le guardie civiche, gli arsenalotti e gli ufficiali italiani della marina militare imperiale.

Il 22 marzo, sparsasi la voce che il Governo di Vienna aveva tutta l’intenzione di revocare le concessioni fatte e soffocare “la rivolta”, gli arsenalotti, pronti alla rivolta vera, si levarono all’unisono, uccisero il Colonnello Marinovich che era giunto a Venezia per riprendere il controllo della città.
Con il pretesto di rimetter l'ordine nell’Arsenale, una compagnia di guardie civiche, vi penetrò, e quando Manin la raggiunse, costrinse alla resa il Contrammiraglio Martini.

Occupato l'Arsenale, gl'insorti vennero in possesso di cinquantamila fucili e di parecchi pezzi d'artiglieria. Sei cannoni furono puntati contro la caserma dei Croati, pronti al fuoco se questi tentavano di uscire; i soldati italiani della marina fecero causa comune con il popolo, il tricolore fu innalzato sull'Arsenale, da cui era stata tolta la bandiera austriaca e il Manin, seguito dalla folla delirante si recò in piazza San Marco, dove arringò il popolo.

"Veneziani, noi siamo liberi e possiamo doppiamente gloriarcene perché a questo siamo giunti senza aver versato una goccia del sangue nostro né del sangue dei nostri fratelli, perché tutti gli uomini per me sono fratelli. Avere rovesciato l'antico governo non basta; bisogna costituirne uno nuovo; il migliore per noi a me sembra quello della repubblica, che rammenterà le glorie passate e vi aggiungerà la libertà dei tempi nuovi. Noi non ci separeremo per questo dai nostri fratelli italiani, ma formeremo uno dei centri che dovranno servire alla successiva unione di tutta l'Italia in un solo Stato. Viva dunque la repubblica! viva la libertà! viva San Marco !".

Nel pomeriggio cominciarono le trattative con il Governatore Pallfy, il quale, non volendo subire l'onta di una capitolazione, cedette i poteri al comandante militare Conte Ferdinando Zichy. Questi, riconosciuta l’impossibilità di tentare una possibile resistenza, firmò una convenzione con la quale consegnava la piazza al Consiglio municipale e si impegnava ad uscire dalla città con i soldati stranieri nel più breve tempo possibile, lasciandovi il materiale bellico (comprese le artiglierie) e la cassa.

Il Consiglio municipale, che si era costituita in governo provvisorio, la sera stessa del 22 marzo rimise il potere nelle mani di Menegaldo (il Comandante della Guardia civica). Il giorno dopo si rese solennemente grazie a Dio per la vittoria e il Cardinale Monico benedisse la bandiera nazionale.
Fu quindi proclamata ufficialmente la Repubblica di San Marco sotto la presidenza di Daniele Manin, al quale furono affiancati come collaboratori Niccolò Tommaseo, Antonio Paolucci, Jacopo Castelli, Grancesco Solera, Pietro Paleocapa, Francesco Camerata, Leone Pincherle e Angelo Toffoli.

In meno di una settimana, tutte le province venete della terraferma si scrollarono di dosso il giogo austriaco: la notte dal 22 al 23 la Guardia civica di Mestre prese possesso della cittadella di Marghera sgombrata dagli Austriaci; il 23 gli abitanti di Chioggia costrinsero il presidio della fortezza a capitolare; Rovigo e Treviso istituirono governi provvisori; il 24 il Maresciallo D’Aspre, per ordine di Radetzky, lasciò Padova con gli ottomila uomini della guarnigione e si rifugiò a Verona; Vicenza e Belluno furono libere il 25. Anche il Friuli si sollevò; la fortezza di Palmanova cadde in potere dei cittadini i quali ne diedero subito il comando al Generale Zucchi, la imprigionato fin dal 1837.

Si cercò di riunire in un solo organismo tutte queste città e fu pubblicato a questo scopo il seguente proclama:
"La prima nostra parola è parola di gratitudine al popolo veneziano, il quale ad un tratto insorgendo si è dimostrato degno del suo nome. Non desterà meraviglia se questo popolo grida con giubilo il nome di Repubblica, nel quale si conciliano le gloriose memorie del passato con le mature condizioni presenti e con maggior perfezionamento in avvenire. Il nome di Repubblica Veneta non porterà con sé alcuna idea ambiziosa o municipale. Le province le quali si sono dimostrate tanto maggiormente unanimi alla comune dignità, le province che a questa forma consentono, creeranno con noi una sola famiglia, senza veruna disparità di vantaggi e diritti, perché uguali per tutti saranno i doveri".

Purtroppo non si riuscì ad impedire che gli Austriaci si ritirassero quasi indisturbati a Verona concentrando nel quadrilatero (Verona, Legnano, Peschiera e Mantova) la loro forza, dove poterono riorganizzare le truppe per condurre poi la guerra.
Gli Austriaci inoltre, grazie all’imperizia del Consiglio municipale di Venezia, riuscirono ad evitare che le loro navi da guerra, fornite d'equipaggi italiani, venissero catturate, riuscendo a prendere il mare in direzione di Pola. Di undici legni, nove sfuggirono.
Fu un grave scacco, che venne pagato dai Veneziani che soffrirono danni incalcolabili dal blocco navale attuato dagli austriaci proprio con quelle navi !
In caso contrario, sarebbe stato possibile il blocco degli “italiani” a Trieste e nell’Istria.

Alberto Conterio