Cinque giornate di Milano - Come ebbero inizio (17 e 18 marzo 1848)

La gloria delle cinque giornate di Milano
Come ebbero inizio - 17 e 18 marzo 1848

Se a Venezia la notizia della rivolta di Vienna era giunta il giorno 17 marzo mattina, e la cacciata dello straniero si era compiuta praticamente senza versare sangue, molto diversamente invece sarebbe successo a Milano. La notizia dei moti di Vienna giunse soltanto a sera del 17 marzo. Quel giorno stesso era partito per Verona l'Arciduca Ranieri, Viceré del Lombardo-Veneto e, poiché erano assenti il Conte di Ficquelmont e il Governatore Spaur, il governo era, rimasto nelle mani del vicegovernatore O' Donnel.
Quando fu sparsa la voce - incredibile - degli avvenimenti di Vienna, i patrioti presero a radunarsi per stabilire la linea di condotta atta a servirsi del momento, finalmente ritenuto favorevole.
I riformisti, favorevoli alla linea riformatrice appunto di Carlo Alberto, si riconoscevano nella guida di Gabrio Casati, Vitaliano Crivelli e Borromeo, Cesare Giulini e Alessandro Porro, non volevano impegnarsi a fondo e desideravano solo fare quel tanto che bastasse a dare un pretesto al re di Sardegna di varcare il Ticino; contrari ad un movimento rivoluzionario erano invece i repubblicani capitanati da Carlo Cattaneo sia perché non credevano al buon esito di una lotta contro i quindicimila-ventimila qualcuno diceva centomila uomini di Radetzky, sia perché temevano che, in caso di riuscita, se n'avvantaggiasse il partito dei riformatori appunto !


I giovani invece, che erano i più accesi, fra i quali gli studenti, che formavano due gruppi, uno intorno a Cesare Correnti, l'altro intorno al prete Don Angelo Fava, volevano muovere risolutamente contro gli Austriaci e cacciarli fuori dalla città !

Finalmente i capi dei vari gruppi la stessa notte del 17 marzo, trovarono un accordo e convennero che il giorno dopo il popolo si sarebbe affollato al Broletto. Una loro deputazione si sarebbe presentata al Municipio e avrebbe domandato che - trovandosi assente il viceré e il governatore - si istituissero un governo provvisorio ed una Guardia civica, che si fossero liberati i detenuti politici, e che venisse concessa la libertà di stampa. Infine si sarebbe dovuto chiedere che fossero convocati tutti i Consigli comunali per procedere all'elezione dei deputati.
La mattina del 18 marzo però, un manifesto di O'Donnel dava ai Milanesi l'annuncio di una prevista riforma “concessa”, a nome dell’Imperatore ! Era un provvedimento che mirava a prendere tempo :

"Sua Maestà I. R. l'Imperatore ha determinato di abolire la censura e di far pubblicare sollecitamente una legge sulla stampa, nonché convocare gli Stati dei Regni Tedeschi e Slavi e le congregazioni centrali del Regno Lombardo-Veneto. L'adunanza avverrà al più tardi il giorno 3 del prossimo venturo mese di luglio".

Chiaramente queste piccole e tardive riforme non potevano più accontentare i milanesi; anche i più moderati fra i liberali desideravano a questo punto - molto critico per gli austriaci - l'indipendenza dallo straniero. I giovani infatti si stavano preparando a ottenerla con le armi e già quella mattina, di buon'ora, una trentina di loro, fra cui i fratelli Enrico ed Emilio Dandolo e Luciano Manara, tutti del gruppo di Don Angelo Fava, si erano recati in chiesa per ricevere l'assoluzione da Don Sacchi in previsione di uno scontro armato.
Erano circa le undici, quando una folla enorme si radunò al Broletto. Pioveva a dirotto, ma per mezzo di una deputazione, si investì il Podesta, Conte Gabrio Casati della responsabilità di recarsi dal Governatore (facente funzione) O'Donnel per presentargli ufficialmente le richieste convenute la sera prima.
II Conte Casati acconsentì e, preceduto da una bandiera tricolore al seguito di circa ventimila persone, si avviò verso il palazzo del governo. Assieme a Casati, erano presenti e testimoni Cesare Correnti, Enrico Cernuschi, Anselmo Guerrieri, Marco Greppi, Antonio Beretta, carlo Taverna e Giulio Terzaghi.

Quando la testa della colonna giunse in vicinanza del ponte di San Damiano, due sentinelle croate aprirono il fuoco sulla folla, che sorpresa dalla reazione reagì rabbiosa nei loro confronti. Nella mischia, una fu trafitta da un pugnale e l'altra fu uccisa da un colpo di pistola sparato dallo studente liceale Giovanni Battista Zaffaroni.

La moltitudine del popolo quindi irruppe nel palazzo del governo, travolse, disarmò e fece prigioniero l’intero corpo di guardia, mise in fuga gli impiegati e occupò l'intero fabbricato.
O'Donnel, nascosto, fu trovato da Cernischi, venne costretto a firmare tre brevissimi decreti scritti dal Conte Casati :

1° - Il vicegovernatore, vista la necessità assoluta di mantenere l'ordine, concede al Municipio di armare la Guardia civica;

2° - La direzione di polizia è destituita e la sicurezza della città è affidata al Municipio;

3° - La guardia di polizia consegnerà le armi al Municipio immediatamente.

Firmati i decreti, occorreva però farli eseguire.
Istituire la Guardia civica non fu difficile perché erano numerosissimi i cittadini al Broletto pronti ad iscriversi, ma non era certo facile disarmare le guardie di polizia.
Il Podestà, infatti, avendo ordinato al comandante Torresani di consegnar le armi, si senti rispondere che lui "non riconosceva nessuna autorità nel vicegovernatore O'Donnel, non essendo questo libero, e che lui ubbidiva soltanto agli ordini già impartiti dal Radetzky".
La risposta di Torresani fu coerente con la risposta che ci si poteva aspettare da un soldato, e aggiunse che "…non riconosceva a Milano altra autorità all'infuori di se stesso e dei suoi soldati e che avrebbe trattato come reo d'alto tradimento chiunque avesse osato di resistergli".

Occorreva dunque fare i conti con il Maresciallo Radetzky e con i suoi ufficiali esecutori che comandavano a loro volta i soldati, con le quali, i Milanesi non tardarono a venire a conflitto.
Racconterà lo stesso O'Donnel :

"Dopo aver firmato i decreti, dichiarai esser mio primo dovere di informare personalmente il Conte Radetzky per evitare conflitti. Invitai il Podestà e il delegato Bellati  ad accompagnarmi. Un'onda di popolo, in parte armato, ci venne dietro. Quando noi, a piedi, arrivammo in contrada Monte Napoleone, si era già cominciato a combattere dalle finestre e dai tetti. Un plotone di fanteria schierato in fondo alla strada e che aveva sofferto già delle perdite, indirizzò una scarica contro di noi. Si può immaginare che cuore fosse il mio a sentirmi fischiare sul capo quel piombo delle nostre truppe ! D'attorno a me caddero a terra fulminati due individui: gli altri si rifugiarono in una casa vicina ed io fui trascinato con loro. Qui la scena cambiò interamente; io fui trattenuto come ostaggio; la mia attività ufficiale era cessata".

La casa dove l'O'Donnel era stato condotto era quella dei VIDISERTI, che per un pò divenne il quartiere generale della sommossa che già divampava furiosa per la città.
Suonavano a stormo le campane e i cittadini corsero ad armarsi di fucili da caccia, di carabine svizzere, di pistole, di sciabole, di lance, di forche. Furono saccheggiate le botteghe degli armaioli, e le case patrizie dove si sapeva che esistevano raccolte di armi.
Comincio anche la costruzione febbrile di barricate. Inizialmente furono innalzate al Ponte San Damiano, a Porta Orientale, a Porta Nuova e in molti altri punti della città, dalle le quali i Milanesi sparavano contro le truppe austriache non appena queste tentavano di avvicinarsi.
Mentre ormai si combatteva in modo generalizzato, Radetzky ordinò ad un grosso concentramento di milizie provviste anche di artiglierie di assalire la zona del Broletto, dove si pensava fossero raccolti i responsabili dell'insurrezione.

Al Broletto nel palazzo municipale erano rimasti gli assessori Greppi, Bellotti e Belgioioso con il compito di ricevere le iscrizioni dei cittadini alla Guardia civica. Informati che il palazzo sarebbe stato preso d’assalto dagli austriaci, mandarono a Radetzky un Capitano dei pompieri con la seguente missiva :

"Le circostanze veramente eccezionali di questi momenti incutono il massimo terrore nella popolazione milanese e minacciano l'ordine pubblico. Non può essere nell'intenzione dell'Autorità di mettere a soqquadro la nostra città, la quale non ha nessun torto da rimproverarsi. Questa Congregazione pertanto, dopo aver fatto oggi stesso le opportune pratiche presso il Governo civile, invita l'E. V. pregandola di far sospendere ogni misura che tende ad esacerbare gli animi, e a recar danni che sarebbero incalcolabili per tutti. La Congregazione confida nei sentimenti di umanità, che non possono non animare il di lei cuore".

Erano le ore 17.00 del 18 marzo 1848, e Radetzky trattenne al Castello il capitano latore della lettera, ma spedì con un suo messo una risposta tanto arrogante quanto minacciosa :

"Dopo gli avvenimenti della giornata non posso riconoscere i provvedimenti dati per cambiare le forme del governo e per riunire ed armare una Guardia civica a Milano. Intimo a codesta Congregazione municipale di dare immediatamente gli ordini per il disarmo dei cittadini; altrimenti domani mi troverò nella necessità di bombardare la città. Mi riservo poi, di fare uso del saccheggio e di tutti gli altri mezzi che sono in mio potere per ridurre all'obbedienza una città ribelle. Ciò mi riuscirà facile, avendo a mia disposizione un esercito agguerrito di centomila uomini e duecento pezzi di cannone".

Un'ora dopo la consegna della risposta (erano quasi le 19.00 del 18 marzo), circa duemila Austriaci con due cannoni al seguito, diedero l'assalto al palazzo del Broletto, ma furono respinti con diverse perdite dai difensori, che erano in tutto circa trecento persone con una sessantina di fucili e ben poche munizioni.
Tornati gli Austriaci all'attacco, il combattimento si riaccese furioso e durò quasi due ore, fino a quando cioè i difensori finirono i colpi a disposizione.
Andato in pezzi il portone di ingresso del palazzo sotto i colpi dell'artiglieria, la resistenza non fu più possibile. Le truppe penetrarono nel palazzo e fecero centoventi prigionieri che furono condotti prigionieri al Castello Sforzesco. Fra loro c'erano anche il Conte Greppi, il Conte Belgioioso e Pietro Bellati. Con loro anche altri stimati cittadini milanesi, quali il vecchio Generale napoleonico Teodoro Lecchi, Gilberto e Giulio Porro, Filippo Manzoni, Ercole Durini, Carlo De Capitani, Ignazio Lainati e Agostino Brambilla.
Dopo questi fatti, non si poteva più tornare indietro, era la guerra aperta.

Alberto Conterio