Gli alleati, entrano in Milano (8 giugno 1859)
La disfatta subita a Magenta da Gyulai provocò un effetto
catena ben più grave di quanto fosse realmente accaduto sul campo (nonostante
le perdite). Lo scontro infatti, impostato e voluto proprio dagli austriaci in
vantaggio numerico, aveva lo scopo di arrestare l’esercito alleato davanti a
Milano per riprendere l’iniziativa. Il disordine causato dalla sconfitta però,
proprio alle porte di Milano ebbe un effetto di panico dilagante. La città
lombarda cominciò ad essere sgombrata dagli austriaci già il giorno 5 giugno.
Il timore austriaco di essere nuovamente agganciati dalle forze franco sarde
era tale, che si trasformo presto in terrore. Le operazioni furono eseguite con
tale rapidità e apprensione, che nella notte tra il 5 ed il 6 giugno, il
comando generale austriaco situato al Castello, fu abbandonato così
precipitosamente che, oltre ad abbandonare ingenti quantità d’armi, effetti
militari e gran quantità di viveri, fu abbandonata anche la cassa militare
dell’Armata, contenente parecchi milioni.
Gli austriaci non erano ancora completamente usciti di
città, che le vie cittadine si riempirono di tricolori e il governo della città
fu affidato alla Congregazione Municipale, che si affrettò a lanciare il
seguente manifesto :
"Cittadini ! L'eroico esercito alleato condotto dal
magnanimo Imperatore Napoleone III, che ha preso la difesa dell'indipendenza
italiana, dopo splendide vittorie si avvicina alle porte della città ! Le
truppe nemiche sono state sconvolte e sono in piena rotta. Il Re Vittorio
Emanuele II, il primo soldato dell'Italia redenta, giungerà fra poco fra voi e
domanderà quello che l'eroica Milano ha fatto per la causa nazionale. La
resistenza morale di dieci anni all'oppressione straniera vi ha già meritato la
stima di tutta Italia, ed ha confermato la gloria delle "cinque
giornate".
Ma ora si deve preparare un accoglimento degno di voi
all'esercito nazionale ed all'esercito alleato. Proclamate RE VITTORIO EMANUELE
II, che da dieci anni prepara la guerra dell'indipendenza; rinnovate
l'annessione della Lombardia al generoso Piemonte; rinnovatela, con i fatti,
con le armi, con i sacrifici. Viva il Re ! Viva lo Statuto ! Viva
l'Italia".
I primi ad entrare in Milano furono le truppe del
Maresciallo Mac Mahon il giorno 7 giugno, ed il giorno seguente, l’8, fra
l'entusiasmo delirante della popolazione fecero il loro trionfale ingresso a
cavallo Re Vittorio Emanuele II e l'Imperatore Napoleone III. Questi “dirigeva”
il corteo in testa, seguiva leggermente arretrato un recalcitrante Vittorio
Emanuele, che dovette sopportare “l’onta” perché l’Imperatore si sentisse il
più possibile “partecipe e entusiasta della spedizione in Italia”
E l’Imperatore impressionato dalla folla osannante e dagli
onori tributatigli, lo stesso giorno, lanciò il proclama famoso che riportiamo:
"Italiani ! La fortuna della guerra mi conduce oggi
nella capitale della Lombardia; ora vengo a dirvi perché vi sono. Quando
l'Austria aggredì ingiustamente il Piemonte, ho deciso di sostenere il mio
alleato, il Re di Sardegna, l'onore e gli interessi della Francia me lo
imponevano. I vostri nemici, che sono i miei, hanno tentato di sminuire la
simpatia, che era universale in Europa per la vostra causa, facendo credere che
io volevo fare la guerra per ambizione personale o per ingrandire il territorio
della Francia. Se mai ci sono uomini che non comprendono il loro tempo, io
certo non sono nel numero di costoro.
L'opinione pubblica è oggi illuminata per il modo che si
diventa più grande per influenza morale esercitata che non per sterili
conquiste, e questa, influenza morale io la cerco con orgoglio, contribuendo a
far libera una delle più belle parti d'Europa. La vostra accoglienza mi ha già
provato che mi avete compreso. Io non vengo tra voi con un sistema preconcetto,
non per spodestare sovrani o per imporre la mia volontà; il mio esercito non si
occuperà che di due cose: combattere i vostri nemici e mantenere l'ordine
interno; esso non porrà alcuno ostacolo alla libera manifestazione dei vostri
legittimi voti. La Provvidenza favorisce talvolta i popoli, come gl'individui,
dando loro occasione di farsi grandi d'un tratto, ma a questa condizione
soltanto, che sappiano approfittarne.
Il vostro desiderio d'indipendenza, così lungamente
represso, così sovente deluso, si effettuerà se saprete mostrarvene degni.
Unitevi dunque in un solo intento, la liberazione del vostro paese, ordinatevi
militarmente, volate sotto le bandiere di Vittorio Emanuele, che vi ha così
nobilmente indicata la via dell'onore. Ricordatevi che senza disciplina non vi
c'è esercito, e infiammati dal santo fuoco dell'amor patrio siate oggi soldati;
domani sarete liberi cittadini di un grande paese".
Vittorio Emanuele attese il giorno seguente per indirizzare
anch’esso un proclama ai Lombardi :
“Popoli della Lombardia ! La vittoria delle armi liberatrici
mi conduce fra voi ! Restaurato il diritto nazionale, i vostri voti riaffermano
l'unione con il mio regno, che si fonda nelle guarentigie del vivere civile. La
forma temporanea che oggi do al governo è richiesta dalle necessità della
guerra. Assicurata l'indipendenza, le menti acquisteranno la compostezza, gli
animi la virtù, e sarà quindi fondato un libero e durevole reggimento. Popoli
della Lombardia ! I Subalpini hanno fatto e fanno grandi sacrifici per la
patria comune; il nostro esercito, che accoglie nelle sue file molti animosi
volontari delle nostre e delle altre province italiane, già offrì splendida
prova del suo valore, vittoriosamente combattendo per la causa nazionale.
L'Imperatore dei francesi, generoso nostro alleato, degno del nome e del genio
di Napoleone, facendosi duce dell'eroico esercito di quella grande nazione,
vuole liberare l'Italia dalle Alpi all'Adriatico.
Facendo a gara di sacrifici, asseconderete questi magnanimi
propositi sui campi di battaglia, vi mostrerete degni dei destini, cui l'Italia
è ora chiamata dopo secoli di dolori".
Cavour da Torino, informato dai frequenti dispacci inviatigli
dell’entusiasmo milanese, volle vederci chiaro e di persona… raggiunto Milano,
senza farsi annunciare, sali su una carrozza privata e si fece scorrazzare per
la città in un giro panoramico per valutare da se le informazioni ricevute ed
il grado di “sentimento” unitario della popolazione. Dopo qualche ora,
soddisfatto, si fece riaccompagnare dal vetturino dove era salito, con
l’intento di riprendere la strada per Torino, sconosciuto tra gli sconosciuti,
ma l’intento non gli riuscì completamente, infatti il buon uomo alla guida –
che l’aveva riconosciuto da un pezzo – non volle essere pagato, rispondendo in
dialetto alle insistenze del Conte “ lu ‘el paga minga “. Fu così che Camillo
Benso di Cavour si convinse definitivamente che nell’animo della gente milanese
c’era vero senso di gratitudine. Alberto Conterio