Visita in Calabria del Re Ferdinando II di Borbone - 1852



Visita in Calabria del Re Ferdinando II di Borbone - 1852

di Pietro Vitale

Cari amici, in molte altre occasioni mi sono impegnato in articoli e ad informarVi sulle vicende e le gesta dei Re di Borbone. Considerando, in corso delle mie esposizioni anche le molte luci e ombre che lo hanno caratterizzato e, fecero comunque ricordare come un buon Re. Orbene, in un articolo apparso sulla Rivista Fiamme d’Argento del 03/2010, non ho potuto trattenere la mia curiosità e la tentazione di renderVi partecipi a questi scritti, per me inediti.

Nella dinastia dei Borbone si susseguirono una serie di sovrani dalla personalità controversa.
Quando morì Ferdinando I (gen. 1825), dopo aver realizzato solo in parte il suo programma di riforme delle Forze Armate del Regno, suo figlio Francesco I, suo successore, continuò solo in parte l’opera paterna con l’arruolamento di tre Reggimenti svizzeri che di fatto sostiutirono le truppe austriache di occupazione e garantirono la solidità del trono dei Borbone, ma provocarono nel contempo l’odiosità e l’inefficienza materiale e morale delle forze nazionali.
La definitiva ristrutturazione dell’esercito fu intrapresa dal principe ereditario Ferdinando di Borbone (1810-1859), Duca di Calabria, che nel maggio 1827 assunse la carica di Comandante in capo delle Forze Armate del Regno, adottando misure straordinarie e impopolari ma necessarie per una efficace epurazione degli elementi inaffidabili. Quando poi fu incoronato (1830), Re delle Due Sicilie in un’epoca di grandi fermenti politico-sociali, il giovane sovrano Ferdinando II adottò una lunga serie di provvedimenti tendenti a perfezionare l’assetto organico, addestrativo, operativo e logistico delle forze di terra e di mare. Nel giro di pochi anni la situazione dell’Esercito e della Marina poté considerarsi soddisfacente merito del fervore innovativo di Re, ovunque presente alle esercitazioni , alle parate, nelle caserme e durante le marce dei reparti, rendendosi molto gradito alle truppe. Nell’autunno del 1852 Re Ferdinando volle che la campagna addestrativa per l’esercito venisse svolta con particolare risalto in Calabria con un contingente formato da due divisioni, otto squadroni di cavalleria e venti pezzi di artiglieria, concentrati nei pressi di Lagonegro. Il Re s’imbarcò nel Fulminante a Napoli, insieme al quindicenne principe ereditario e un folto seguito di corte, sbarcò nella rada di Sapri da dove, data la mancanza di strade, proseguì a piedi fino a Torraca, poi in berlina a Lagonegro con tappa a Castelluccio, proseguendo a cavallo verso Rotonda, fino a Morano.

Giunse a Castrovillari il 4 ottobre. Quando giunse a Cosenza, senza scorta ne battistrada, fu accolto dalle acclamazioni della popolazione e “dette larghe udienze, fece delle grazie, largì dei sussidi…” . Ma durante tutto il viaggio il Sovrano tenne un contegno stravagante. Più fu scortese senza necessità, fu diffidente con tutti, capriccioso, mordace; rimproverò pubblicamente le autorità, quasi volesse alimentare con i suoi comportamenti, lo scontento e le critiche. A Cosenza, si recarono ad ossequiarlo i Giudici della Corte Criminale che non godeva di buona reputazione agli occhi del Re per una sentenza di libertà provvisoria concessa ad un uomo accusato di “cospirazione e attentati” Il Re rivolgendosi al loro presidente Luigi Corapi con modi bruschi, ne disapprovò pubblicamente l’operato. Dinnanzi alla doglianza reale, il magistrato non rispose; rientrò a casa, si cambiò d’abito e si presentò nuovamente al Re, rassegando la dimissioni dall’incarico. Questo gesta di grande orgoglio scosse il sovrano, che accolse la dimissioni del Corapi e ordinò però che gli fosse corrisposta la pensione con importo pari all’intero stipendio. Il Re, dopo Rogliano, Carpanzano e Scagliano, giunse all’osteria di Coraci, poi, dopo la visita dei reparti schierati, il sovrano ricevette le autorità militari e civile, mostrandosi freddo e scostante anche con l’Intendente da Catanzaro venuto a rendergli omaggio. Nella notte sul 12 - erano le tre di notte - il Re volle partire a cavallo, sostando a Soveria e a Triolo per proseguire in carrozza per Catanzaro dove si prevedeva l’arrivo del corteo per le ore 16. Ma - per i capricci del Sovrano che fece spronare i cavalli, accorciando i tempi del viaggio - già a mezzogiorno e mezzo il corteo reale entrò a Catanzaro, naturalmente deserta. Il Re ne fu turbato, sospettando un complotto politico. Recatosi al Duomo, lo trovò chiuso (il Vescovo stava facendo la siesta).
Nell’Intendenza non trovò il picchetto della guardia, ma solo pochi militari, uno dei quali, nel goffo tentativo di baciare la mano del sovrano, per poco non gli ruppe la testa con lo schioppo che aveva a tracolla. Il Re poi, distribuì rimproveri a chiunque incontrasse, si ritirò furente nell’appartamento destinatogli, mentre per la città si diffuse un’atmosfera di vera inquietudine, ancora aumentata quando il cuoco reale rifiutò per diffidenza perfino la frutta ed il pesce fatti venire da Pizzo.
A Catanzaro Re Ferdinando, ancora in preda al malumore, destituì dal comando il Gen. Salerno e adottò punizioni per un capitano di gendarmeria. Le scortesie regali finalmente si esaurirono per l’intervento pacificatore di alcuni ufficiali del seguito che persuasero  il Re dell’insistenza del paventato complotto e lo placarono, ma solo in parte. Non volle infatti ricevere le autorità civili, il Vescovo De Franco, i Vescovi di Squillace e di Crotone e l’Arcivescovo di S. Severina. In serata, il Re si recò a piedi a visitare i lavori di costruzione della strada per Crotone, rientrando a casa fra le acclamazioni della popolazione.