La resistenza a oltranza di Venezia (1848 – 1849)

La resistenza a oltranza di Venezia (1848 – 1849)

Salpata la Flotta Sarda dell’Ammiraglio Albini, e rimasti soli in laguna, i veneziani si apprestavano a decidere le loro sorti.
Manin convocata l'assemblea aveva chiesto ai veneziani con voce commossa se la popolazione se la sentiva di resistere al nemico. La risposta era stata positiva, i veneziani avrebbero resistito ad ogni costo. La decisione in effetti era “favorita” da fatto che gli austriaci, avrebbero dovuto, prima di passare all’assalto, concentrare ingenti forze per bloccare la città e superare la difficoltà naturale della Laguna prima di offendere realmente la città e la popolazione, e questo dava ai veneziani del tempo a disposizione per sperare e preparasi al peggio.


Passarono infatti diversi mesi, e si entrò nel successivo anno 1849. Gli austriaci concentrarono sulla terra ferma ingenti truppe e cannoni decisi a punire severamente la Serenissima.
Si arrivò cos’ al Lunedì Santo, 2 Aprile 1849. In ogni angolo delle calli e dei campi apparve un brevissimo quanto eloquente proclama, di due tragiche righe soltanto!
"Venezia resisterà all'Austriaco a tutti i costi". Non era neppure firmato come si usava allora, non era necessario. Tutti compresero la gravità del comunicato attribuendolo a Manin.

Venticinquemila Austriaci e più di centocinquanta cannoni si preparavano ad assaltare la città lagunare.
Il bombardamento d’artiglieria si concentro inizialmente sulla fortezza di Marghera nel tentativo di metterla a tacere. Qui la guarnigione veneta (scelta) aveva il compito essenziale di difendere l'ingresso a Venezia, il loro era un sacrificio prevedibile. Fin dai primi colpi, il presidio difensivo, venne sottoposto ad un massacro indicibile. Gli austriaci sparavano con cannoni ed obici di grosso calibro, su un’opera fortificata antiquata di un secolo, non aggiornata e protetta contro una tale micidiale “pioggia”, ma la guarnigione non cedette. Tutti gli uomini della difesa avevano fatto voto di farsi seppellire tra le rovine della fortezza stessa piuttosto di arrendersi. E così fu !
Anche quando rimasero in pochi, nessun veneziano alzò bandiera bianca.
(questo fatto da solo, dovrebbe far pensare non pochi idioti odierni, che inneggiando contro l’Italia in “lingua veneta” hanno la nostalgia di Ceco Beppe ! – ndr)

Eliminato l’intralcio del Forte di Marghera, gli austriaci passarono all’assalto della città.
I veneziani si barricarono in essa e per i tre mesi che seguirono subirono la furia del nemico.
L'assedio, navale e terrestre cingeva la città totalmente isolandola dal resto del mondo.
Ciò provocò molte rovine e danni, il mancato arrivo di viveri freschi e l’arrivo di eventuali rinforzi esterni.
“Portate sotto” le artiglierie, il bombardamento della città divenne quotidiano, sulle case, sui campanili, sui depositi. Incendi e crolli ovunque, fecero scempio di secolari palazzi, tesori d'arte e di mole vite.
Dopo mesi di questo “trattamento”, in luglio, con il caldo afoso che solo la laguna veneta sa portare ai limiti della sopportazione, gli austriaci vennero affiancati nella loro azione dal colera.
Ad inizio agosto, gli stessi si convinsero che le difese erano state abbastanza ammorbidite da tentare la presa della città. Impiegarono comunque 3 settimane per aver ragione delle ultime difese cittadine.
La fame, il colera (più di 270 morti) le distruzioni, i feriti e parecchie centinaia di appestati, convinsero più degli austriaci, Manin e gli ultimi irriducibili cedere !

Il 23 agosto 1849 per evitare la distruzione totale della città Manin, Tommaseo ed altri 40 "ribelli", si arresero senza condizioni all'intimazione del maresciallo Radetszky.
Tutti arrestati furono inviati in esilio in Francia. Manin vi morì nel 1857 senza mai più aver rimesso piede nella sua città.
L’avventura della neo repubblica veneta era durata poco più di un anno, l'assedio cinque mesi.
Tutto era stato inutile.