Venezia proclama l’annessione al Regno di Sardegna

Venezia proclama l’annessione al Regno di Sardegna

In giugno, mentre si organizzava e svolgeva il plebiscito in Lombardia, le province venete, avverse com'erano al primato di Venezia. Ciò era dovuto inoltre perché il sistema “democratico” proposto dalle fazioni repubblicane, non era particolarmente approvato da quelle popolazione e dalla classe piccolo borghese della provincia.
Così, senza neppure aspettar l'esito della votazione, i deputati di Vicenza, Padova, Treviso e Rovigo avevano già dichiarato che se entro il 4 giugno Venezia non avesse condiviso il desiderio delle loro province di unirsi al Regno di Sardegna si sarebbero staccate dalla neo repubblica Serenissima dichiarata da Daniele Manin.
Costui (Manin) e altri membri del Governo, erano contrari all'annessione e avrebbe preferito che il Veneto con la Lombardia formassero una repubblica a se, la quale per far fronte all'Austria chiedesse alla Francia l'aiuto di un esercito. (altro che Italia unita – ndr). Ma quando, dopo l'invio a Parigi (in un primo momento) di Angelo Zanardini e Giacomo Nani prima, e di Aleardo Aleardi e Tommaso Gar poi, si comprese che l'aiuto francese non ci sarebbe stato, Manin e Paleocapa, nel timore di perdere il controllo delle province di terraferma, pubblicarono, il 3 giugno, un decreto in cui era detto:

 "È convocata a Venezia un'assemblea di deputati di questa provincia, la quale:
    a) deliberi se la questione relativa alla presente condizione politica debba essere decisa subito o a guerra finita;
    b) determini, nel caso ché resti deliberato per la decisione istantanea, se il nostro territorio debba fare uno Stato da sé o associarsi al Piemonte;
    c) sostituisca o confermi i membri del Governo provvisorio".


La prima riunione dell'assemblea doveva aver luogo il 18 giugno, ma per le vicende della guerra (nel frattempo erano già cadute Vicenza il giorno 11 e Padova e Treviso il 13) fu rinviata al 3 luglio.
Nell’attesa, il Governo veneziano mandava ai governi di Roma, Toscana e Sicilia una lettera circolare in cui, chiamandoli arbitri del destino del Veneto, chiedeva loro se giudicassero necessario che fosse chiamato l'intervento straniero.
I governi di Roma e di Firenze concordemente sconsigliarono di ricorrere all'aiuto straniero.
"Chi sa - scriveva il ministro dalla Toscana Neri Corsini - che, chiamati i Francesi, invece di un solo nemico e di avere un solo oppressore, non si trovi ad averne due?".
Mentre Marchetti, ministro degli esteri romano, considerava l'appello allo straniero "l'espressione di un disperato partito, cui gli Italiani non si appiglieranno mai finché vorranno concordemente bastare a sé stessi".

Finalmente il 3 luglio, nelle sale del palazzo dei Dogi si riunirono i rappresentanti di Venezia, di Chioggia, di Loreo e di pochi altri distretti. Nella prima tornata ebbe luogo la verifica dei poteri e il Presidente Manin, in un lucido e sereno discorso, narrò gli eventi accaduti dopo il 22 marzo ed espose i motivi della convocazione dell'assemblea. Nella seconda tornata, sempre Manin, parlando degli affari esteri della repubblica, disse tutto quanto aveva fatto per ottenere un soccorso della Francia. Castelli dipinse a tinte fosche le condizioni dell'erario e Tommaseo parlò contro la fusione al Regno di Sardegna, proponendo che si rimandasse ogni deliberazione a guerra finita.
Paleocapa invece, ammonì l’assemblea a non seguire "una politica astratta, vaporosa e nubiforme, che si può convertire troppo facilmente come le nubi in tempesta" e sostenne la necessità pratica dell'unione allo Stato Sardo.

Torno quindi a parlare Daniele Manin : "Io conservo oggi - disse - la medesima opinione che avevo il 22 marzo, quando dinnanzi alla porta dell'Arsenale e sulla Piazza di S. Marco proclamai la repubblica. Io l'ho ancora e tutti allora l'avevano. Ora tutti non l'hanno più. Parlo con parole di concordia e di amore e prego di non essere interrotto. È un fatto che tutti oggi non hanno quell'opinione. È pure un fatto che il nemico sta alle nostre porte, che attende e desidera una discordia in questo paese, inespugnabile finché siamo d'accordo, espugnabilissimo se qui entra la guerra civile.
Io, astenendomi da ogni discussione sulle opinioni mie e sulle altrui, domando oggi un gran sacrificio, e lo domando al partito mio, al generoso partito repubblicano. Al nemico che è sulle porte, e che aspetta la nostra discordia, diamo oggi una solenne smentita. Dimentichiamo oggi tutti i partiti; mostriamo oggi che dimentichiamo di essere realisti o repubblicani e che siamo invece tutti italiani. Ai repubblicani io dico: l'avvenire è nostro. Tutto quello che si è fatto e che si fa è provvisorio. Deciderà la dieta italiana a Roma". 
Dopo questo generoso discorso, che commosse l'uditorio, si venne alla votazione.
Di 133 deputati, 127 a favore dell'unione al Regno di Sardegna solo 6 contro !

Il risultato, su proposta di Iacopo Castelli, fu decretato con la seguente Formula :

"Obbedendo alla suprema necessità che l'Italia intera sia liberata dallo straniero, e all'intento principale di continuare la guerra dell'indipendenza con la maggiore efficacia possibile, come veneziani in nome e per l'interesse della città e provincia di Venezia, e come Italiani per l'interesse di tutta la nazione, votiamo l'immediata fusione della città e provincia di Venezia negli Stati Sardi con la Lombardia ed alle condizioni stesse della Lombardia con la quale in ogni caso intendiamo restare perpetuamente incorporati, seguendone i destini politici unitamente alle altre province venete".

Niccolò Tommaseo avrebbe voluto che nel patto della fusione fosse incluso il Trentino, ma il suo volere non venne accolto, ma semplicemente registrato nel verbale della seduta del 4 luglio. L'assemblea su proposta di un Deputato, voleva dichiarare Manin benemerito della Patria, ma questi, un poco risentito dall’esito delle votazioni si oppose dicendo :

"Se i miei concittadini si vogliono mostrare riconoscenti per un atto molto semplice, io li prego, li scongiuro che la concordia inaugurata ieri duri finché il nemico sarà in Italia. Non si parli più, per amor di Dio, di partiti finché il nemico non sarà cacciato: ne parleremo in seguito e fra noi, fraternamente, questa è l'unica ricompensa che io chiedo".

Il 5 luglio, si procedette quindi all'elezione dei componenti del nuovo Governo. Tutti desideravano che Manin ricoprisse la carica di presidente e la votazione gli diede la maggioranza con 76 voti, 46 andarono a Paleocapa e 9 a Castelli.

Tuttavia Manin confermando che un repubblicano, non serve con fedeltà il volere popolare, ma semplicemente l’egoismo e la supponenza della propria ideologia, rifiutò la nomina insistendo sulla sua fede : "In uno Stato monarchico io non posso essere niente; posso essere solo dell'opposizione, quindi non posso essere del Governo".

Fu allora data la presidenza al Castelli e furono chiamati a far parte del Governo Paleocapa, Camerata, Paolucci, Martinengo, Cavedalis e Reali, che accettarono !

Alberto Conterio