L’ateo Garibaldi a messa per Anita

L’ateo Garibaldi a messa per Anita

di Egidio Picucci
9 marzo 2011

Estate del 1849, al tempo della fragile Repubblica Romana. Poco prima che il generale francese Nicolas Oudinot entrasse nell’Urbe, Garibaldi iniziò da piazza San Giovanni in Laterano una ritirata memorabile che lo avrebbe dovuto condurre, secondo i suoi progetti, al soccorso di Venezia con un esercito di 2500 fanti, 400 cavalli, alcune bestie da soma e un cannone. Al suo fianco l’immancabile Anita. In Toscana il generale fece due fuggevoli soste nei conventi di Sarteano e Cetona. Seguendo poi un itinerario studiato a tavolino, l’eroe dei due mondi s’avviò verso le Marche, dove entrò valicando il passo di Bocca Trabaria. Quindi dopo aver attraversato Mercatello sul Metauro, Sant’Angelo in Vado e Macerata Feltria, si fermò nel convento dei cappuccini di Pietrarubbia.


Era il 30 luglio e, oltre alla moglie Anita, c’erano con lui personaggi passati alla storia, come il colonnello Forbes, il barnabita padre Ugo Bassi, Stefano Ramorino e Angelo Brunetti detto «Ciceruacchio» con il figlio tredicenne Lorenzo. In una Memoria manoscritta redatta 50 anni dopo la sosta di Garibaldi nel convento, l’archivista padre Giuseppe da Fermo scrisse: «Questo convento di Pietrarubbia fu invaso dai garibaldini e da Garibaldi stesso, che con la sua Anita passò la notte nel medesimo. Per la presenza di spirito del padre Salvatore da Senigallia, il convento non ebbe a subire guasti importanti da quell’accozzaglia di gente… Curioso e sintomatico è quanto fu scritto nel Libro delle messe avventizie: «Messe tre ordinate da Giuseppe Garibaldi per la povera Anita, tanto sofferente». Ma essendone i tedeschi alle calcagna, nel mattino seguente abbandonarono questi luoghi con tanto sollievo di quei montanari che, pieni di spavento, parte coi loro armenti se n’erano fuggiti tra rupi e parte se n’erano rinchiusi nelle loro casupole [...] Quei buoni vecchi, che tali cose mi raccontavano, sembrava che tuttora sentissero i brividi del momento». Altri particolari riguardano la richiesta, da parte di padre Bassi, «di due uova fresche perché ammalato di stomaco.

Egli portava con sé il breviario e il vasetto dell’olio santo che poi lasciò in ricordo ai cappuccini della Repubblica di San Marino, e cercava di rassicurare quei buoni villici, spaventati dall’inaspettato passaggio di tanta gente armata, con lo scoprire un crocifisso che portava sotto la veste e col dire: "Non temete, buona gente, non temete, siamo anche noi cristiani"». Scrive padre Giuseppe Santarelli, storico del santuario mariano di Loreto: «Quella nota del Libro delle messe avventizie purtroppo è andata perduta. Nel 1931, stando a quanto scrive padre Pacifico da San Severino, essa era ancora conservata, perché egli dice: "Come risulta da un registro ancora esistente".

Dalla testimonianza di un altro religioso sappiamo che, dopo la seconda guerra mondiale, il domestico del convento, solito a prelevare le carte dalla biblioteca e dall’archivio per avvolgere i semi degli ortaggi da distribuire alla gente, una volta stracciò la prima pagina della "Vacchetta" dove erano registrate le tre messe ordinate da Garibaldi, per avvolgervi alcuni semi, e consegnò l’involucro al parroco di Carpegna. Questi, notata la cosa, riportò al convento il prezioso foglio che andò definitivamente smarrito. Nessuno, comunque, per l’esplicita attestazione dei due seri studiosi cappuccini, può dubitare della fondatezza storica della notizia.

Garibaldi, nonostante la proclamata irreligiosità, in questo caso rivela fiducia nell’aiuto di Dio e sensibilità nei riguardi della sposa gravemente inferma, che morirà poco dopo nella Pineta di Ravenna. D’altro canto si sa che il generale, di passaggio a Loreto nel 1848, comprò "una cassetta di rosari" per la mamma Rosa, donna devotissima». Continuando la marcia, Garibaldi arrivò nella Repubblica di San Marino il 31 luglio 1849, accolto dal Reggente Domenico Maria Belzoppi e "dirottato" poi al convento dei cappuccini, il cui Guardiano, padre Raffaele, soccorse amorevolmente i soldati feriti, confortandoli e ristorandoli.

Anita, gravemente inferma, fu ospitata in una stanza della portineria. Scrive ancora padre Santarelli: «Una curiosa tradizione narra che Garibaldi avrebbe provato subito un’amichevole simpatia nei riguardi di padre Raffaele che sarebbe stato invitato a unirsi alla refezione dei soldati, costituita da carni rosolate all’aperto su lunghi spiedi. Il cappuccino all’inizio avrebbe cercato di schermirsi, ma alla fine si sarebbe associato alla brigata e avrebbe pronunciato parole spiritose sulle vivande fumanti". Il giorno dopo l’arrivo Garibaldi partì e, dando un ultimo sguardo al cenobio, disse: «Ove sono i conventi, ivi pur l’aria è buona». Sui gradini della chiesa scrisse l’Ordinanza che conteneva anche il doloroso rinvio della Legione, ormai ridotta allo stremo, pronunciando le storiche parole: «Io vi sciolgo dall’impegno di accompagnarmi. Tornate alle vostre case, ma ricordatevi che l’Italia non deve rimanere nel servaggio e nella vergogna!».

Una lapide, posta sotto il porticato della chiesa, ricorda l’episodio con queste parole: «Da questo sacro luogo/ ove primo sostava/ accolto dalla pietà francescana/ nel mattino del 31 luglio 1849/ incalzandolo da presso l’Austriaco/ Giuseppe Garibaldi/ emanava ai suoi militi/ l’ordine del rispetto alla Terra di rifugio/ e scioglieva la Legione». Tra i legionari era sempre presente padre Ugo Bassi, in camicia rossa, il quale lasciò ai cappuccini, in amabile ricordo, il vasetto d’olio degli infermi e il breviario, trasferiti poi nel Museo Garibaldi di San Marino, dove tuttora sono gelosamente custoditi.

Tratto da :  www.avvenire.it/