Gli austriaci abbandonano la città

La gloria delle cinque giornate di Milano
Gli austriaci abbandonano la città

Il 22 marzo, ormai cadute le caserme austriache di San Simpliciano e di San Vittore, la lotta si spostò verso le mura. I Milanesi volevano rompere il cerchio che li divideva dagli insorti della campagna e assalirono le porte. Un tentativo fatto contro Porta Ticinese però fallì; uguale negativo risultato in un altro tentativo contro Porta Romana; ma a Porta Tosa il valore, l'audacia e la costanza degli insorti ebbero ragione del numero e delle armi dei nemici. Mille soldati austriaci con sei pezzi d'artiglieria difendevano la porta e a queste forze i Milanesi non potevano contrapporre che due cannoncini e tre piccole spingarde, eppure sfondarono la resistenza nemica.
Si sparava dalle finestre e dai tetti delle case che fiancheggiavano Porta Tosa, le artiglierie dell'una e dell'altra parte tuonavano senza tregua, dalla barricata gli insorti facevano un fuoco d'inferno contro il fortilizio; ma la resistenza nemica era salda. Venne allora ideata una specie di barricata mobile, formata di fascine bagnate, ideata dal matematico pavese Antonio Carnevali, che proteggesse un manipolo di insorti durante l’avvicinamento alla porta.
Il gruppo, capitanato da Luciano Manara, Luigi Torelli ed Enrico Cernuschi, procedendo al riparo mentre sparava ininterrottamente sul nemic, giunsero effettivamente ai piedi della porta. Qui giunti, accatastarono delle fascine asciutte e al comando del pittore-scultore Gaetano Borgocorati, si provvide ad appiccarne il fuoco, che immediatamente interessò la stessa porta e la sua solidità.


L’azione, per audacia e genialità, superò l’accanimento della difesa austriaca, risultando decisivo.
Enrico ed Emilio Dandolo si batterono da leoni, così come Cernuschi e Torelli diedero prove magnifiche del loro valore. Tutti mostrarono in quei momenti un non comune sprezzo del pericolo.
Luciano Manara però riuscì a distinguersi anche tra loro; fu lui infatti a dar fuoco alla porta avanzando a petto scoperto fra il grandinare delle palle !
Porta Tosa, battezzata poi Porta Vittoria fu occupata: il primo a superare la barriera fu un ragazzo, un falegname diciassettenne, Paolo Pirovano, che, richiesto qual premio desiderasse per aver speso così bene il suo coraggio, rispose: "far parte della Guardia civica". Manara piantò sul bastione la bandiera tricolore e dalla porta, cominciarono ad entrare schiere di armati della Brianza, di Bergamo e d'altri luoghi che da alcuni giorni si battevano fuori le mura.

Rotta la cerchia dove da cinque giorni i Milanesi erano stati rinchiusi, il Feldmaresciallo Radetzky, capì che la rivolta non era più domabile, considerando anche che cominciava a scarseggiare di viveri e di munizioni. Le truppe stanche e avvilite lo preoccupavano, ma il suo turbamento più grosso era dovuto alle notizie che gli giungevano da tutta la Lombardia, dove l'insurrezione dilagava, ed era infine preoccupato dalle voci di un arrivo imminente dell'esercito piemontese.

Ritenuto quindi che non era il caso di insistere in una lotta che, allo stato delle cose, non avrebbe potuto vincere, preferì ritirarsi finché era ancora possibile farsi strada fino al Quadrilatero !
Nella notte dal 22 al 23 marzo così, Radetzky abbandonò il Castello e si allontanò da Milano con l’intera guarnigione, proteggendo il suo sganciamento con un intenso fuoco delle artiglierie.
In città lascio quattrocento soldati morti e più di seicento soldati feriti negli scontri ritenuti non trasportabili. Costoro furono poi curati dalla cittadinanza senza rancore.

La gioia dei Milanesi, quando si accorsero che gli Austriaci se n'erano andati, fu immensa e non valse a diminuirla lo spettacolo delle nefandezze commesse dal nemico.
Così, nella capitale lombarda, si credeva finita la guerra e si pensava ad organizzare la caccia al nemico con reparti di truppe regolarmente costituiti. Un proclama, in data 23 marzo del Comitato di guerra, e intestato "Italia Libera, W. Pio IX, Esercito Italiano", diceva :

"I cinque giorni sono compiuti, e già Milano non ha più un solo nemico nel suo seno. Da ogni parte accorrono con ansia dalle altre terre i combattenti. È necessario raccoglierli unirli e ordinarli in legioni. D'ora in poi non basta il coraggio, bisogna inseguire con arte in aperta compagna un nemico che può trarre tutto il vantaggio dalla sua cavalleria, dai cannoni, dalla mobilità delle sue forze: ordiniamoci dunque almeno in due parti; l'una rimanga, come fin qui, a difendere con le barricate e con ogni varietà d'armi, la città, l'altra, provvista interamente da armi da fuoco e di qualche drappello di cavalli e, appena possibile anche di artiglieria volante, esca audacemente dalle mura e, aggiungendo al valore la mobilità e la precisione, incalzi di terra in terra il nemico in ritirata, lo fermi nelle rapine, lo rallenti nella fuga, gli impedisca ogni scampo. Siccome la sua meta è raggiungere quanto più presto si può la cima delle Alpi e la futura frontiera che il dito di Dio fin dal principio dei secoli segnò per l'Italia, noi la chiameremo Legione Prima, Esercito della frontiera, Esercito delle Alpi. I difensori della città si chiameranno Legione Seconda e per uniformarsi ai fratelli e compiere una grande istituzione italiana: Guardia civica. Valorosi, che accorrete a noi da tutte le vicine e lontane terre, unitevi e all'Esercito e alla Guardia, secondo l'armamento che avete. Ma unitevi, ordinatevi, ubbidite al comando fraterno. I vostri comandanti saranno eletti da voi. Suvvia, dunque, viva l'Esercito delle Alpi, viva la Guardia della città".

Un centinaio di volontari capitanati da Luciano Manara intanto, con la spensieratezza e l'imprudenza di giovani ubriacati dal trionfo si diedero all'inseguimento del Radetzky per tornarsene dopo alcuni giorni a Milano a descrivervi le tracce orribili trovate a Melegnano e a Lodi dopo il passaggio degli Austriaci.

Radetzky infatti, sapendo che sarebbe stato difficile attraversare chilometri di campagne in rivolta, penso bene di procurarsi un “lasciapassare”, conducendo con se come ostaggi alcuni dei più insigni cittadini caduti prigionieri nelle sue mani : Alberto De Herra, Antonio Bellati, Filippo Manzoni, Giuseppe Belgoioso, Gilberto e Giulio Porro, Carlo Porro, Antonio Peluso, Carlo De Capitani ed Ercole Durini. Conduceva con se anche le famiglie dei suoi ufficiali, ma quando giunsero davanti a Melegnano, gli Austriaci si videro sbarrare il passo dagli abitanti di quel villaggio, i quali però, dopo qualche resistenza, furono cacciati dal paese. La comunità di Melegnano venne punita con il sacco dell’abitato.
I fuggiaschi si portarono sul fiume Lambro per fare la guerriglia, e gli Austriaci, che persero tempo ad inseguirli, dovettero fermarsi e passare la notte in quel luogo. Durante quelle ore di sosta, il Conte Carlo Porro ostaggio, venne ucciso con una fucilata. Tento forse la fuga ? Non fu mai stabilito, ne si stabilì che sparò.
La sua salma abbandonata dagli austriaci venne trasportata a Milano il 31 marzo 1848, dove ebbe esequie solenni.

Radetzky, proseguì per Lodi, quindi si recò a Montichiari. Qui si fermò il tempo necessario a far riposare le truppe mentre le riordinava, ma venne ancora incalzato dall'insurrezione, riuscendo infine a chiudersi nel Quadrilatero in data 4 aprile, dove conoscendo benissimo le carenze del nemico, sapeva che la riconquista delle città e delle campagne da parte del suo esercito era soltanto questione di tempo.
L’unica incognita, restava l’esercito piemontese, che seppur distanziato, aveva percorso inseguendo, tutte le sue tappe fino al Mincio !

Alberto Conterio