I partigiani ammettono la vergogna di esodo e foibe
Il coordinatore dell'Anpi veneto riconosce che molti
perseguitati italiani non erano fascisti ma oppositori del nuovo regime
comunista e illiberale
Da Padova, Fausto Biloslavo – 01.12.2013
Si scusa con gli esuli in fuga dall'Istria, da Fiume e dalla
Dalmazia per l'accoglienza in patria con sputi e minacce dei comunisti
italiani.
Ammette gli errori della facile equazione profugo istriano
uguale fascista e della simpatia per i partigiani jugoslavi che non fece vedere
il vero volto dittatoriale di Tito. Riconosce all'esodo la dignità politica
della ricerca di libertà. Maurizio Angelini, coordinatore dell'Associazione
nazionale partigiani in Veneto, lo ha detto a chiare lettere venerdì a Padova,
almeno per metà del suo intervento. Il resto riguarda le solite e note colpe
del fascismo reo di aver provocato l'odio delle foibe. L'incontro pubblico è
stato organizzato dall'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia con l'Anpi, che
solo da poco sta rompendo il ghiaccio nel mondo degli esuli. Molti, da una
parte e dall'altra, bollano il dialogo come «vergognoso».
Angelini ha esordito nella sala del comune di Padova, di
fronte a un pubblico di esuli, ammettendo che da parte dei partigiani «vi è
stata per lunghissimi anni una forte simpatia per il movimento partigiano
jugoslavo». Tutto veniva giustificato dalla lotta antifascista, compresa
«l'eliminazione violenta di alcune centinaia di persone in Istria - le
cosiddette foibe istriane del settembre 1943; l'uccisione di parecchie migliaia
di persone nella primavera del 1945 - alcune giustiziate sommariamente e
precipitate nelle foibe, soprattutto nel Carso triestino, altre - la
maggioranza - morte di stenti e/o di morte violenta in alcuni campi di concentramento
jugoslavi soprattutto della Slovenia». Angelini ammette, parlando dei veri
disegni di Tito, che «abbiamo colpevolmente ignorato la natura autoritaria e
illiberale della società che si intendeva edificare; abbiamo colpevolmente
accettato l'equazione anticomunismo = fascismo e ascritto solo alla categoria
della resa dei conti contro il fascismo ogni forma di violenza perpetrata
contro chiunque si opponeva all'annessione di Trieste, di Fiume e dell'Istria
alla Jugoslavia». Parole forti, forse le prime così nette per un erede dei
partigiani, poco propensi al mea culpa. «Noi antifascisti di sinistra -
sottolinea Angelini - non abbiamo per anni riconosciuto che fra le motivazioni
dell'esodo di massa delle popolazioni di lingua italiana nelle aree istriane e
giuliane ci fosse anche il rifiuto fondato di un regime illiberale,
autoritario, di controlli polizieschi sulle opinioni religiose e politiche
spinti alle prevaricazioni e alle persecuzioni».
Il rappresentante dei partigiani ammette gli errori e sostiene
che va fatto di più: «Dobbiamo riconoscere dignità politica all'esodo per
quella componente di ricerca di libertà che in esso è stata indubbiamente
presente». Gli esuli hanno sempre denunciato, a lungo inascoltati, la
vergognosa accoglienza in Italia da parte di comunisti e partigiani con sputi e
minacce. Per il coordinatore veneto dell'Anpi «questi ricordi a noi di sinistra
fanno male: ma gli episodi ci sono stati e, per quello che ci compete, dobbiamo
chiedere scusa per quella viltà e per quella volgarità».
Fra il pubblico c'è anche «una mula di Parenzo» di 102 anni,
che non voleva mancare. Il titolo dell'incontro non lascia dubbi: «Ci
chiamavano fascisti, ci chiamavano comunisti, siamo italiani e crediamo nella
Costituzione». Italia Giacca, presidente locale dell'Anvgd, l'ha fortemente
voluto e aggiunge: «Ci guardavamo in cagnesco, poi abbiamo parlato e adesso ci
stringiamo la mano». Adriana Ivanov, esule da Zara quando aveva un anno,
sottolinea che gli opposti nazionalismi sono stati aizzati prima del fascismo,
ai tempi dell'impero asburgico. Mario Grassi, vicepresidente dell'Anvgd,
ricorda le foibe, ma nessuno osa parlare di pulizia etnica. Sergio Basilisco,
esule da Pola iscritto all'Anpi, sembra colto dalla sindrome di Stoccolma
quando si dilunga su una citazione di Boris Pahor, scrittore ultra nazionalista
sloveno poco amato dagli esuli e sulle vessazioni vere o presunte subite dagli
slavi. Con un comunicato inviato al Giornale, Renzo de' Vidovich, storico
esponente degli esuli dalmati, esprime «perplessità di fronte alle “prove di
dialogo” con l'Anpi» che farebbero parte di «un tentativo del Pd di Piero
Fassino di inserire i partigiani nel Giorno del ricordo dell'esodo». L'ex
generale, Luciano Mania, esule fiumano, è il primo fra il pubblico di Padova a
intervenire. E ricorda come «solo due anni fa a un convegno dell'Anpi sono
stato insultato per un quarto d'ora perché avevo osato proporre l'intitolazione
di una piazza a Norma Cossetto», una martire delle foibe.
In sala tutti sembrano apprezzare «il disgelo» con i
partigiani, ma la strada da percorrere è ancora lunga e insidiosa.