Occhetto: "Fino all'89 non sapevo cosa fossero le
foibe". È vittima della sua stessa disinformazione?
L'ex leader comunista, in un'intervista al Tempo, ammette
candidamente di aver scoperto gli eccidi con cinquant'anni di ritardo. È
vittima della sua stessa disinformazione?
di Riccardo Pelliccetti
13 gennaio 2014
Che le foibe siano state un tabù per decenni, lo sanno
tutti. Non una riga sui libri scolastici, nessun volume storico diffuso nel
grande circuito editoriale, zero commemorazioni ufficiali.
Quei massacri di migliaia di italiani a fine guerra sui
confini orientali sono stati nascosti e negati talmente a lungo da apparire
quasi una leggenda. Forse per questo Achille Occhetto, ex segretario del Pci,
che con il suo partito ha contribuito a far credere che non esistessero,
afferma candidamente in un’intervista: “Io stesso ho appreso del dramma delle
foibe solo dopo la svolta della Bolognina. Prima non ne ero mai venuto a
conoscenza”. D’altronde è stato l’ultimo leader dei comunisti italiani, maestri
nella propaganda e nel distorcere la verità. E perciò può essere rimasto
vittima della sua stessa disinformazione se ha scoperto un pezzo di storia solo
nel 1989. Oppure continua a mentire come hanno fatto i suoi compagni per quasi
mezzo secolo, raccontando che gli esuli dell’Istria, Fiume e Dalmazia non erano
semplici italiani in fuga dalle stragi comuniste ma fascisti che scappavano per
i loro misfatti. Un messaggio che aveva già fatto presa nel 1947. C’è un
episodio indimenticabile. Il 16 febbraio, un piroscafo parte da Pola con
migliaia di connazionali che, dopo essere sbarcati ad Ancona, sono stipati come
bestie su un treno merci diretto a La Spezia. Quel treno, il 18 febbraio,
arriva alla stazione di Bologna, dove è prevista una sosta per distribuire
pasti caldi agli esuli. Ma ad attendere i disperati c’è una folla con bandiere
rosse (toh, i compagni di Occhetto?) che prende a sassate il convoglio, mentre
dai microfoni è diramato l’avviso “se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la
stazione”. Il treno è costretto a ripartire. Questo il clima.
La propaganda comunista e la mistificazione della realtà,
come sappiamo, hanno influenzato non poco la cultura italiana del secondo
Novecento. Ma è stato impossibile seppellire la memoria: troppi profughi,
troppi testimoni e quella destra che alimenta i ricordi. E poi c’è Trieste, che
Occhetto conosce bene, città decorata con la medaglia d’oro al valore militare
dal capo dello Stato, nella cui motivazione c’è scritto “…subiva con fierezza
il martirio delle stragi e delle foibe, non rinunciando a manifestare
attivamente il suo attaccamento alla Patria…”. Tutti sapevano delle foibe,
anche se era scomodo e sconveniente parlarne. Per questo motivo facciamo fatica
a credere che il prode Achille l’abbia saputo così tardi. Fosse stato per il
Pci, probabilmente non se ne sarebbe mai parlato, ma per fortuna è stato
sconfitto dalla storia. E al grande libro dei fatti è stata aggiunta quella
pagina strappata.