Istituto della Reale Casa di Savoia
Centro Studi - 2010
Sulla ricorrenza del 25 Aprile
Basandosi sul giuramento di fedeltà al Re e sul contenuto degli ordini diramati, lo Stato legittimo, che faceva capo al Re, fece il possibile per reagire all’aggressione tedesca. Poteva contare sulle forze armate regie, composte da unità presenti sia all’interno sia all’esterno del territorio nazionale, sulle formazioni partigiane monarchiche, sulle organizzazioni clandestine fedeli al Re e, naturalmente, sul Quartier Generale di Brindisi.
Le Forze Armate Regie
Furono moltissimi i soldati italiani, di ogni ordine e grado, che, fedeli al giuramento prestato al Re e sostenuti dalla popolazione, affrontarono viaggi lunghi e pericolosi per raggiungere i territori controllati dagli alleati ed unirsi alle formazioni regolari dell’esercito. Ricordiamo, fra gli altri, l’asso dell’aviazione silurante Carlo Emanuele Buscaglia, la M.O.V.M. Edgardo Sogno e persino l’attuale Presidente della Repubblica, C.A. Ciampi, che però non riuscì ad arrivare al sud e si fermò a Scanno, in Abruzzo.
Ricostituito su impulso di Umberto di Savoia nel Primo Raggruppamento Motorizzato, l’esercito italiano venne rinominato “C.I.L.” (Corpo Italiano di Liberazione) il 17 Aprile 1944, per poi riorganizzarsi su 4 divisioni (“Cremona”, “Forlì”, “Foligno” e “Legnano”) nel Settembre dello stesso anno. Fu la Commissione Alleata di Controllo che vietò al Principe Ereditario di assumere il comando del C.I.L. e che cercò di impedirgli di partecipare alle operazioni militari (la stessa commissione vietò perentoriamente anche la partecipazione di Umberto di Savoia alla guerra partigiana…). Non è dunque un caso il fatto che sia monarchico il più giovane caduto nella guerra di liberazione: il sedicenne torinese Gimmy Curreno, portaordini, che cadde gridando “viva il Re!”.
Il Corpo Italiano di Liberazione esordì a fianco degli alleati vincendo, già nel dicembre 1943, l’aspra battaglia di Monte Lungo. Vi partecipò anche il Principe Ereditario Umberto di Savoia.
Riportiamo a questo proposito quanto scrisse il generale americano Clark, comandante della V Armata americana: “il 7 Dicembre 1943, alla vigilia dell’attacco di Monte Lungo, il Principe Umberto credette essere Suo dovere offrirsi per un volo di ricognizione sulle linee nemiche, data la sua pericolosità ed importanza e dato che questa avrebbe salvato migliaia di vite italiane e americane, come infatti ebbe poi a verificarsi”. Per questa azione il Principe fu proposto dal generale americano Walker per un’alta decorazione militare americana: la Silver Star.
Il Corpo Italiano di Liberazione combatté fino al maggio 1945, liberando numerose città italiane e conquistando il plauso di tutti gli ufficiali superiori alleati.
Fuori dalla penisola, e specialmente in Sardegna e in Corsica, nei Balcani, a Cefalonia e Corfù, in Egeo, Albania e Dalmazia, la resistenza delle forze armate regie fu eroica.
Secondo Eugenio di Rienzo, “nell’estate del 1943, dopo lo “squagliamento” militare dell’8 settembre, tutta la Marina e quel che restava dell’esercito, in Italia e fuori d’Italia, imbracciarono le armi contro Salò e Berlino in ossequio al giuramento che li legava al Monarca e non in obbedienza ai proclami dei comitati antifascisti, in quel momento ancora per lo più assenti o scarsamente presenti sulla scena politica attiva” (cfr. “Il Giornale”, 7 giugno 2006).
A parere di Ugo Finetti, “la lotta armata contro i tedeschi venne iniziata dagli ufficiali legittimisti: un nervo scoperto per chi invece insiste nella letteratura classista della guerra civile, enfatizzando certi scioperi del ’43 e cancellando tutti i militari protagonisti della resistenza, ma Montezemolo a Edgardo Sogno” (cfr. “Libero”, 8 Giugno 2006).
Non vanno dimenticati i Reali Carabinieri, molti dei quali si sacrificarono generosamente nella guerra di liberazione. Basti ricordare i fatti di Fiesole, delle Valli di Lanzo e delle Alpi Apuane. Fu proprio di una formazione comandata da un Capitano dei Reali Carabinieri, Ettore Bianco, il primo successo in combattimento contro i tedeschi, conseguito a Teramo il 25 settembre 1943.
E tutti ricordano il sacrifico della M.O.V.M. Carabiniere Reale Salvo d’Acquisto.
Questi soldati, come ha autorevolmente ricordato il prof. Gian Enrico Rusconi (docente di scienze politiche all’Università di Torino ed editorialista de “La Stampa”), “combatterono contro i tedeschi per salvare l’onore della bandiera” (cfr. “L’Eco di Bergamo”, 24/04/2005).
La leggenda secondo la quale solo i militari della R.S.I. combatterono per l’onore d’Italia va dunque completamente sfatata. Si calcola che siano stati almeno 80.000 i soldati italiani morti a causa della lotta contro i tedeschi (fonte: Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito) ma non vanno dimenticati neppure le migliaia di militari italiani che, fedeli al giuramento prestato al Re ed internati nei campi nazisti, rifiutarono d’aderire alla RSI, pagando la loro fedeltà con la morte. Secondo Gerard Schreiber, (“I Militari Italiani internati in Germania”, in “La Lampada”, 2003), i Caduti furono almeno 70.000.
Il ricercatore tedesco ricorda anche che nel novembre 1943 il Ministero degli Affari Esteri del Terzo Reich dichiarò alla Croce Rossa Internazionale che gli italiani non erano considerati prigionieri di guerra e che ad essi non spettavano le garanzie previste per tali prigionieri dal diritto internazionale. Secondo Schreiber, la ragione principale dei maltrattamenti ai danni dei soldati italiani non fu una reazione all’armistizio, ma derivò da una spiccata motivazione razzista.
Le formazioni partigiane monarchiche
Queste unità, dette anche “autonome” perché non politicizzate, erano costituite soprattutto da militari che, sorpresi dall’armistizio in territorio sotto controllo tedesco e non potendo raggiungere il sud, prima rifiutarono d’arrendersi e poi si diedero alla macchia, continuando la lotta sotto forma di guerriglia armata. Ricordiamo, fra le tante, la formazione piemontese costituita dai soldati della IV Armata, la Brigata “Amendola” del Col. Gancia, la Brigata “Piave”, che operava nel trevigiano, la Brigata “Scordia” di Cavarzerani in Cansiglio, le formazioni dei comandanti Longhi, Genovesi, De Prada e Lombardini, operanti in Val d’Ossola e in Val di Toce, il Reggimento “Italia libera”, che agiva in Carnia, i gruppi operanti in Lombardia e nel Veneto, il gruppo “Berta” di Tullio Benedetti, la banda comandata da Manrico Ducceschi (“Pippo”) e la banda di Bosco Martese, che agiva nel Teramano.
Ma soprattutto va ricordato l’organismo militare più importante: quello di Enrico Martini Mauri, che operò nel basso Piemonte fino alla fine della guerra di liberazione.
La resistenza monarchica al nazismo fu la prima a sorgere, conseguenza immediata, senza soluzione di continuità, dell’esercizio del proprio dovere da parte dei militari. Nell’ambito della trasmissione “Passpartout”, andata in onda su RaiTre il 27 dicembre 2005, Giorgio Bocca, ex partigiano e quotato esponente della cultura di sinistra, ha affermato che la resistenza non era soltanto repubblicana, ricordando le numerose formazioni partigiane monarchiche che operavano in Piemonte ed affermando che si trovavano partigiani fedeli al Re anche in “Giustizia e libertà”.
Le organizzazioni monarchiche clandestine
Ricordiamo, ad esempio, l’ “Organizzazione Franchi” di Edgardo Sogno, l’ “Organizzazione Otto” del prof. Otto Balduzzi e il “Centro Militare”, diretto in Roma dal colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo, che coordinava tutte le azioni di resistenza nell’Italia centrale (capo riconosciuto della resistenza romana, fu la vittima più illustre del massacro nazista delle Fosse Ardeatine).
E ancora le attività di Amedeo Guillet (già eroe della guerriglia italiana in Africa orientale) e di Giorgio Perlasca che, fingendosi ambasciatore spagnolo a Budapest, salvò, a suo rischio, circa 5.000 ebrei ungheresi.
I fatti storici dunque dimostrano che, fedeli al giuramento prestato al Re ed eseguendo gli ordini ricevuti, le forze fedeli alla Monarchia, sorrette per quanto possibile dal Quartier Generale di Brindisi, si sacrificarono generosamente nella lotta di liberazione e costituirono il maggior fattore italiano di resistenza al nazismo.
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Aggiorniamo il File, con questa precisazione giunta a noi via Mail…
Come abbiamo risposto ai gentili lettori, il testo non è nostro, ed abbiamo fornito gli estremi per un contatto diretto, al momento quindi, pubblichiamo quanto ricevuto senza modificare il testo.
Potremmo cancellare tutto, ma non ci sembra giusto nei confronti delle altre informazioni presenti e non "osservate"
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Abbiamo visto casualmente nel suo Blog, all'indirizzo
http://archiviostorico.blogspot.com/2010/04/esercito-regio-il-maggior-fattore.html ,
che ha citato anche il Comandante della Formazione dell'XI Zona Patrioti Manrico "Pippo" Ducceschi.
Ringraziandola per l'attenzione che ha rivolto a questo storico personaggio, vorremmo tuttavia segnalare, auspicando le opportune correzioni, che il cognome del Comandante è "Ducceschi" e non "Duceschi" come riportato nel testo. Inoltre la sua Formazione, operante prevalentemente in Val di Serchio e in Val di Lima (Toscana), se è vero che era apartitica non è altrettanto vero che fosse monarchica visto che lo stesso Manrico Ducceschi era repubblicano. Anche la bandiera di combattimento della formazione era sì il Tricolore ma privo dello stemma sabaudo come può verificare Lei stesso guardandone la foto al seguente indirizzo: http://xoomer.virgilio.it/laurapog/PIPPO/bandiere1.htm .
Ulteriori informazioni sulla vita e le azioni del Comandante Manrico "Pippo" Ducceschi e della sua Formazione può trovarle all'indirizzo
www.manricoducceschi.it
Un cordiale saluto
La Redazione
www.manricoducceschi.it