La scesa in campo dell’Italia (La scelta di VE III)

Come si arriva al 24 maggio 1915

La scesa in campo dell’Italia (La scelta di VE III)

Qualcuno a questo punto, è pronto a urlare per ribadire, che l’Italia doveva e poteva restare fuori dalla guerra.

Dirlo oggi è facilissimo, farlo nel 1914/15 era difficile, anzi nelle nostre condizioni, era pressoché impossibile.

L’Italia era un Paese con una popolazione numerosa ed in grande sviluppo demografico, che già stentava a trovare sussistenza. Sono di allora infatti le grosse masse di emigranti che prendono il mare. L’Italia inoltre, come abbiamo visto, viveva un isolamento politico internazionale, ma dipendeva per tutto il resto (economia, rifornimenti vari ed energia) dalle potenze dell’Intesa. Di fatto, venivamo internazionalmente tollerati, perché da un lato si faceva parte di un’alleanza, e dall’altro lato perché si era grossi clienti.

Ecco quindi che SM il Re Vittorio Emanuele III - che la storiografia ufficiale dovrà prima o poi rivalutare nella sua grandezza - cala il primo degli assi, che in 46 anni Regno, lo caratterizzeranno, e che favoriranno la sopravvivenza stessa dell’Italia nonostante tutto e nonostante tutti.

Egli infatti, con la sua intelligenza intuisce che pur non essendo “obbligato” ad entrare in guerra, lo deve fare per garantire al suo paese un processo di sviluppo, economico e sociale nel futuro ma soprattutto di poterlo fare questo sviluppo, …in piena autonomia e sovranità.

Purtroppo ha di fronte una classe politica e dirigente abbastanza miope che vede nelle piccole commesse militari per l’estero, una facile fonte di guadagno immediata. L’opinione pubblica poi - vessata da politicanti ancora più miopi - è sostanzialmente contraria e divisa da problemi sociali non indifferenti.

I contrari alla guerra, vorrebbero aspettare la fine della stessa per poi aggirarsi come avvoltoi senza onore sui tavoli della pace per raccogliere qualche briciola. Giolitti ad esempio è tra questi, contro l’intervento.

Va detto che la situazione internazionale per l’Italia nel 1914-15, con lo scatenarsi della guerra, non era certo migliorata, e sarebbe andata anche peggio, una volta finito il conflitto nel caso fossimo rimasti neutrali. Chiunque fosse uscito vittorioso dal duello infatti, non avrebbe più avuto per molto tempo, un contrappeso internazionale, e avrebbe potuto “chiedere ed ottenere” dall’Italia qualsiasi cosa. Non avremmo infatti avuto possibilità alcuna di potersi difendere. Le colonie sarebbero state la prima vittima, ma poi le isole dell’Egeo, le concessioni in Cina e via dicendo. Sarebbe stato un processo di erosione simile a quello che aveva interessato la Spagna nell’800, e stava interessando l’Impero Ottomano negli ultimi 20 anni dello stesso se-colo.

Per convincere i politici e l’opinione pubblica ad intervenire, il Re, ha dalla sua l’ancora diffusissimo sentimento anti tedesco risorgimentale. Gioca quindi su di esso e sul fenomeno fortissimo dell’irredentismo per rompere l’isolamento internazionale di cui l’Italia è vittima, e completare in un colpo solo l’unità nazionale, anche se questo vuol dire entrare in guerra contro gli ex alleati in favore delle potenze dell’Intesa.

Passa al contropiede quindi, per garantire all’Italia l’aria stessa per respirare.

Un capolavoro di politica estera in base alle prerogative concesseGli dall’Articolo 5 dello Statuto Albertino.

Art. 5. - Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato li permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere.

E l’assenso delle Camere alla fine vi fu, perché Giolitti pur contrario, per non sconfessare la Corona che si era impegnata in segreto a Londra, fece un passo indietro, e votò alla Camera con il suo gruppo di deputati a favore dell’entrata in guerra.

Vedere DS.015 – La Regia dell’entrata in Guerra

Intanto sui vari fronti, la guerra dopo un inizio movimentato, si fissa nelle trincee.

Ciò succede perché le tattiche campali utilizzate non hanno più una coerenza con la moderna tecnologia bellica prodotta all’epoca.

Le operazioni militari, in terra per mare e nel cielo, rispondono tutte alla stessa regola, che vede un equilibrio di tre forze : Mobilità, Potenza di fuoco e la Protezione. Nel 1914, questo equilibrio è rotto, e i fronti si stabilizzano, perché nessuno ha più la forza di vincere una battaglia.

Basta infatti una mitragliatrice dietro un cumulo di terriccio per bloccare un Battaglione. La potenza di fuoco espressa dalla difesa insomma, non è più bilanciata dalla mobilità e dalla protezione degli attaccanti.

Tutto si blocca e si cade in depressione.

Quando negli alti comandi si prende coscienza di ciò, si hanno due diversi atteggiamenti generali. Uno è quello dell’attendismo dell’Intesa, l’altro è quello di trovare una novità tale per cui il fronte si rimetta in movimento. Francia e Gran Bretagna, potendo contare sull’alleato Russo che scatena offensive a comando sul fronte opposto, restano in attesa che gli imperi centrali vengano strangolati dal blocco economico e marittimo, gli imperi centrali invece, consci di ciò, cercano una diversa soluzione. I tedeschi puntano sullo studio di nuove tattiche campali …che descriveremo in seguito, gli Austriaci invece pensano a nuove alleanze o accordi. È in quest’ottica che nasce la proposta Austriaca di garantirsi pienamente la neutralità italiana offrendole un compenso. Ciò avrebbe permesso all’Impero di liberare tutte quelle forze che altrimenti venivano tenute in presidio sulla frontiera con l’Italia.

Vedere DS.020 - Accordo preliminare del 27 marzo 1915

L’Italia risponderà alla proposta austriaca con una Controproposta in data 11 aprile 1915.

Questa, è chiaramente una controproposta che ha lo scopo di prendere tempo, perché SM il Re, ha già deciso quale dovrà essere l’impegno italiano, si tratta solo di stabilire il quando ed il come.

Vedere DS.022 - Controproposta italiana del 11 aprile 1915

Infatti l’Italia sta trattando parallelamente e freneticamente nel segreto più assoluto con l’intesa il suo impegno sulla base di un patto, definito poi “Patto di Londra” che prevede annessioni al Regno di territori importanti. Vengono promesse le province austriache fino alla frontiera alpina del Brennero, l’Istria, Gorizia, Gradisca, Trieste, la Dalmazia settentrionale, Valona e parte del territorio albanese, la sovranità definitiva sul Dodecanneso in Egeo e la provincia turca di Adalia in Asia Minore, oltre alla possibilità di una ulteriore espansione coloniale in Africa da concordarsi in seguito (Pag. 150 de “VE III, l’astuzia di un Re” di Antonio Spinosa)

A questo punto però, torniamo a chiederci…

Ma perché l’Italia non accetta la proposta Austriaca che ha il vantaggio d’essere a costo ZERO ?

Intanto perché non è una proposta a costo zero (vedere i punti 2 e 3 del DS.020 - Accordo preliminare del 27 marzo 1915) e poi perché Vittorio Emanuele III non ha dubbi sul fatto che la guerra gli Imperi centrali non la possono vincere per questioni strategiche e geografiche, e che quindi delle promesse di una potenza sconfitta, all’Italia non sarebbe venuto in tasca nulla.

L’Italia quindi, entra in guerra contro l’Austria per i motivi su indicati il 24 maggio 1915.

Alle ore 03,30 del mattino, fanti italiani attraversano il confine, preceduti dal tiro di artiglieria….

La dichiarazione di guerra era stata consegnata a Vienna il giorno precedente.

Uno dei luoghi comuni che si usa più spesso per screditare questa guerra, recita che il popolo italiano nel 1915 non sente l’ardore della guerra, che non vuole la guerra, e che non sente il bisogno di questa impresa. E’ quindi complessivamente contrario. Ora nessuno penso abbia mai sentito il bisogno - tra il popolo - di scendere in guerra, ne prima ne dopo di allora, ma non è corretto neppure scrivere che gli italiani erano tutti contrari e che nessuno sentiva questo “dovere”.

Basti pensare che i volontari inizialmente furono numerosissimi, …arrivarono addirittura dall’estero. Quando gli emigranti ebbero notizia che l’Italia era entrata in guerra, oltre 67.000 nostri connazionali rientrarono in Patria per arruolarsi e fare il loro dove-re. Questo era il sentimento di amore vero, verso il proprio Paese. Questa l’unità di popolo che esisteva allora.

Il Re parte per il fronte alla mezzanotte del 25 maggio, in sordina e quasi di nascosto, dopo aver lasciato a Roma come Luogotenente del Regno, lo Zio Tommaso di Savoia, Duca di Genova.

Il 26 maggio, non appena giunto a Torreano di Martignacco nell’Udinese, prende residenza in una villetta che battezza immediatamente Villa Italia. Da quel luogo scrive da soldato il proclama alla nazione. Vedere DS.025 - Proclama alla Nazione

Il proclama è rivolto in modo particolare ai soldati, e riconosce nel nemico un avversario “ag-guerrito e degno”, e quanto fosse “favorito dal terreno”.

Prevede una “tenace resistenza” ma si diceva certo che l’esercito italiano avrebbe saputo su-perarla con “indomito slancio”

Nel proclama emerge chiaramente il rispetto per l’avversario, e che l’obiettivo da raggiungere è quello di completare l’Unità nazionale.

Alberto Conterio