A lezioni di alleanze da Cavour
di Gian Enrico Rusconi
L’unità d’Italia non è stata semplicemente il risultato di una straordinaria mobilitazione interna, vitale pur nelle sue contraddizioni e velleità. L’unità è stata anche il prodotto di una dinamica internazionale, genialmente colta e gestita da un uomo che sapeva di dover muovere temerariamente il piccolo Piemonte nel «sistema delle potenze» negli interstizi delle loro tensioni.
Ma se non fosse entrato in quel gioco duro e pericoloso, il Piemonte non ce l’avrebbe fatta. Questo l’aveva capito Cavour sin dall’avventura di Crimea e si è comportato in coerenza. Era l'unico statista che sapeva farlo nel pur ricco panorama di intelligenze e di passioni del Risorgimento.
Nella sua appassionata e convincente lezione di storia dell’altro giorno a Torino, il presidente Giorgio Napoletano ha individuato con precisione nel luglio 1859 (dopo l’accordo di Villafranca che interrompeva la guerra contro l’Austria) lo snodo cruciale della vicenda risorgimentale. Anzi «il punto di rottura» che fa mutare a Cavour la prospettiva stessa sul Regno d’Italia che rischiava di nascere come sottoprodotto «destinato ad essere chiuso in una morsa di sfavorevoli condizioni
internazionali». Detto in altre parole, dopo Villafranca c’era il pericolo della creazione di un modesto regno del Nord, incardinato in una ipotetica Confederazione italica, sotto protezione francese, comprensiva del regno di Napoli e tollerata dall’Austria.
No. Non era questo il sogno dei patrioti, che avevano guardato a Torino nei mesi precedenti.
Di colpo anche per Cavour acquista attualità l’idea «rivoluzionaria» dell’Italia unita da Nord a Sud. Inizia così la fase più audace e controversa dell’azione cavouriana: l’annessione al Piemonte delle regioni centrali, ma anche la cessione compensativa di Nizza e Savoia alla Francia; il cauto, arrischiato eppure determinante sostegno all’impresa garibaldina, l’invasione del territorio pontificio delle Marche e Umbria ma insieme la garanzia per il restante Stato della Chiesa.
Il tutto avviene - si badi - con il disappunto e la disapprovazione di tutte le potenze europee. Ai loro occhi Cavour si è messo a fare di testa sua. È il momento più pericoloso per il Regno Sardo. Ma Cavour conta abilmente sullo sparigliamento delle potenze europee: placa le ambizioni francesi con la cessione dolorosa e controversa della Savoia e di Nizza; si incunea nella tensione tra le due potenze tedesche, la Prussia e l’Austria tra le quali c’è latente competizione per il controllo della Germania divisa in Stati e staterelli blandamente uniti in Confederazione.
È un dettaglio tutt’altro che trascurabile: non dimentichiamo che Napoleone III interrompe la guerra nel 1859 che (secondo gli accordi segreti di Plombières) avrebbe dovuto concludersi soltanto a Trieste, perché la Confederazione tedesca e la Prussia si erano messe in agitazione e avevano mobilitato, temendo le ambizioni francesi sul Reno. Tra i tedeschi era diventato popolare lo slogan che «il Reno si difende sul Po». Che sarebbe successo se sull’Adige o sul Mincio fossero comparsi bavaresi e prussiani ?
Evidentemente Cavour aveva sottovalutato questo aspetto. Ma appena ritornato al governo inizia una massiccia, spregiudicata azione diplomatica nei confronti di Berlino. I tedeschi, pur simpatizzando con il movimento nazionale degli italiani, li rimproverano di essere succubi della Francia di Napoleone III. Cavour allora gioca pesante: non solo insiste nel sostenere la tesi delle analogie tra le due disunioni nazionali di Italia e di Germania; non solo assicura che l’alleanza con la Francia è meramente strumentale e di opportunità, ma arriva a proporre addirittura un’alleanza militare tra Piemonte e Prussia sulla base di una loro presunta affinità politica.
Il 10 febbraio 1860 Cavour manda a Berlino una lettera in cui dice letteralmente di non capire come «il governo prussiano possa disconoscere il vantaggio di avere per ogni eventualità un alleato naturale oltre le Alpi, abbastanza forte da mettere sulla bilancia duecentomila uomini, sia contro la Francia che contro l’Austria. Che ci si lasci sviluppare e accrescere la nostre risorse e con duecentomila uomini fermeremo il passaggio sulle Alpi a tutta l’armata francese». Questo è Cavour! Ma è altrettanto sorprendente che in quegli stessi giorni, Otto von Bismarck, inviato prussiano a Pietroburgo, scriva le stesse cose: «Non abbiamo bisogno di essere complici o compari della Francia con piani temerari. Come nostro alleato naturale - detto a quattr’occhi fra di noi - considero molto di più il Piemonte contro la Francia, nel caso, così come contro l’Austria. Per il Piemonte se potesse appoggiarsi sulla Prussia, l’alleanza francese potrebbe cessare di essere pericolosa e ingombrante».
Ma questa idea, nel febbraio 1860, è ancora fuori dalla realtà.
La morte prematura di Cavour gli impedirà ogni rapporto diretto con Bismarck diventato primo ministro prussiano. Negli anni immediatamente seguenti Italia e Prussia seguiranno altre strade. Ma l’idea della «alleanza naturale» tra Piemonte e Prussia rimarrà sullo sfondo. Bisognerà attendere
il 1866 perché si realizzi provvisoriamente un accordo militare per la conquista del Veneto - accordo che sarà sfortunato per l’Italia (sconfitta a Custoza e a Lissa) mentre segnerà il trionfo di Bismarck (a Sadowa) e porterà nel giro di quattro anni alla vittoria della Prussia contro la Francia
nel 1870/71.
Si aprirà allora un’altra costellazione europea rispetto alla quale quella risorgimentale italiana apparirà una vicenda conclusa. Rimane la lezione cavouriana che l’Italia per essere una grande nazione ha bisogno vitale di alleanze internazionali coraggiose e ponderate ad un tempo.
Tratto da : La Stampa, 8 giugno 2010