La caduta di Vicenza (9 - 11 giugno 1848)

La caduta di Vicenza (9 - 11 giugno 1848)

Immediatamente dopo la battaglia di Goito, il Feldmaresciallo Radetzky, si era ritirato con il suo esercito malconcio verso Mantova. Tagliato fuori da Verona e dai possibili rifornimenti e rinforzi che avrebbero potuto giungere dalla via per il Tirolo, si aspettava di essere improvvisamente attaccato dai Piemontesi e si adoperò nelle ore successive con gran lena, a fortificare le fattorie e i villaggi, ad abbattere alberi, ad ingombrar le strade e a demolire i ponti per ostacolare il cammino degli avversari; ma gli “italiani” in quelle ore preziose, non si mossero perdendo il momento favorevole forse, di chiudere la partita. Ciò permise agli austriaci di guadagnare tempo e di riorganizzarsi, nonostante la pioggia dirotta di quel giorno (per loro) disastroso e la stanchezza delle truppe. Anche i Piemontesi erano sicuramente stanchi, ma sarebbero stati in grado di inseguire il nemico il nemico e di tagliarlo fuori dell'Adige definitivamente. Era un'impresa alla portata del valore che avevano dimostrato sul campo.


Purtroppo invece, dopo la vittoria, e l’apparente immobilità di un paio di giorni degli Austriaci fece supporre al Re Carlo Alberto ed al Generale Bava che questi si stessero preparando ad una nuova è più mirata offensiva nei giorni successivi, con il risultato che divennero ancor più prudenti di quanto erano normalmente, ed invece di interdire il territorio alla caccia del nemico, preferirono concentrarsi tra Goito e Volta, radunando gran parte delle forze ancora sparse : circa quarantamila soldati e molte artiglierie, tenendosi fortemente attestati sull’abitato di Goito con il fianco sinistro dello schieramento. Invece quindi di proseguire l’azione di Goito in profondità, preferirono insomma attestarsi sul posto a difesa, per far fronte in anticipo al temuto attacco.

Il concentramento la sera del 3 di giugno era terminato. Questa volta tutto l'esercito era stato riunito; ma purtroppo era del tutto inutile perché nel avveniva nel posto sbagliato.

Nonostante tutto, il 4 giugno mattina l'Armata Sarda, riprendeva (in ritardo) l'offensiva. L’obiettivo era di assalire il centro nemico, cercare di separare le truppe del Generale d’Aspre, da quelle del Feldmaresciallo Radetzky e costringer queste a ripiegare verso il basso Oglio, allontanandosi ancora dalle vie di comunicazione su citate.
Ma nella stessa notte dal 3 al 4 giugno, Radetzky aveva già tolto il campo in gran fretta guadagnando prima Mantova per poi dirigersi verso Legnago.
Il suo obiettivo era semplice e comunque scontato, cioè, prendere tempo, allontanarsi dal nemico e riuscire a riportarsi a Verona, chiave di volta delle comunicazioni austriache con Vienna e dei rifornimenti, appoggiandosi sulle fortificazioni componenti il famoso “Quadrilatero” compiendo la marcia in senso antiorario.
La manovra, venne intuita dal Generale Bava, che non era uno sprovveduto, ma, sempre per un eccesso di prudenza, invece di lanciarsi ancora una volta all’inseguimento delle retroguardie nemiche, per agganciare e distruggere almeno le colonne più lente delle artiglierie, preferì tornare sulle posizioni tenute prima della battaglia di Goito a guardia dei guadi sul Mincio davanti a Verona.
Contemporaneamente a questi movimenti, Radetzky, venne a conoscenza che, per la via di Bassano scendeva dal Trentino il Generale Welden con un corpo di sedicimila uomini.
Approfittò così della prudenza dei Piemontesi, per concepire in relativa sicurezza un piano audace :  quello di rinunciare momentaneamente a Verona, per correre ad unirsi al Welden, ed investire assieme a questi Vicenza e battere una volta per tutte il Generale pontificio Durando, per tornar quindi a Verona con un esercito rinforzato nei mezzi e nel morale.
L’occupazione di Vicenza inoltre, era in questo frangente importantissima, perché gli avrebbe aperto una seconda via di comunicazione con l'Austria per la via di Schio e della Vallarsa per altri eventuali rinforzi, e tolto di mezzo l’ingombro di doversi guardare le spalle !

Per mascherare questa manovra, Radetzky, raggiunta Legnago, vi lasciò alcune truppe a presidio e indirizzò, una colonna per San Bonifacio, quindi si mise con il grosso delle forze sulla via di Montagnana per Vicenza. Il giorno 8 giugno giunse per primo in vista di Vicenza il Corpo del Generale d’Aspre, che prese posizione ad oriente della città; giunse poi quello del Generale Wratislaw che andò a mettersi sulla sinistra del precedente, prolungandosi sui colli Berici congiungendosi ad una Brigata che proveniva dalla fortezza di Verona; ultimo, il giorno 9, giunse il Generale Welden con forze fresche.

All'alba del 10 giugno, sotto il tiro di circa centodieci bocche da fuoco austriache, Vicenza fu assalita da ogni fianco; per cinque ore le truppe austriache, che disponeva di circa trentacinquemila riuniti tentarono senza riuscirvi di penetrare le difese, che avevano sul Monte Berico il punto focale.
Su questo monte, che domina la città, il Colonnello D'Azeglio con tremila uomini, era ed era la vera chiave di volta nella difesa vicentina, mentre altre difese secondarie in pianura avevano compiti di sostegno a questa. I difensori della città, al comando del Generale Durando, contavano in tutto circa 11.000 uomini e 38 cannoni ! Un rapporto di forze quindi di 1 a 3 !!!
Così la loro disposizione :
Il Colonnello Giacomo Zanellato, comandante la Guardia Nazionale di Vicenza, aveva la vigilanza di Porta Lupia, Campo Marzo e le pendici di Monte Berico sopra la città; al Colonnello Domenico Belluzzi, comandante la piazza e la guarnigione coadiuvato dal Maggiore Marchese Stefanori e dal Luogotenente Conte Erminio, era affidata la cura di Porta e Borgo Castello, Campo del Gallo (area oggi detta “ex Montecatini” e Valbruna), Porta Santa Croce, Porta San Bortolo, Recinto Capra, Porta Santa Lucia e Borgo Scroffa. Il Conte Alessandro Avogadro di Casanova infine, Capo di stato maggiore, aveva la direzione di Porta e Borgo Padova, di Porta Monte e delle posizioni e del settore Valmarana e Rotonda.

L’anziano ed astuto Feldmaresciallo Radetzky fece assalire per prima proprio le posizioni sulle pendici dei colli Berici, con ventiquattro cannoni e da dodicimila uomini.
Questo sistema difensivo, era strutturato su linee successive situate a Castel Rambaldo, al colle Bella Guardia, al colle Ambellicopoli e villa Guiccioli, in prossimità del Santuario.
Gli austriaci occuparono dapprima Castel Rambaldo, dopo alterne vicende (in cui le posizioni vennero conquistate e perse diverse volte) presero la Bella Guardia. La lotta più accanita si svolse attorno al colle Ambellicopoli, che era del resto, la posizione più importante del sistema difensivo vicentino. Il poderoso assalto fu contrastato con grande valore, ma la grande sproporzione numerica a favore dell'attaccante lasciava poche speranze sull'esito finale del combattimento. Era infatti una questione di tempo pura e semplice. La difesa al Santuario, protratta da pochi valorosi risoluti al sacrificio, permise al grosso dei difensori di ritirarsi infine ordinatamente. Ciò permise anche il tentativo di un ultimo contrattacco che però non poteva cambiare le sorti della giornata.

Sloggiati dal monte, gli “italiani” dovettero scendere al piano (dove oggi sorge la stazione ferroviaria) e riparare in città, concentrando le ultime difese dentro le mura di Vicenza. 
Perduto il monte però, la città diventava praticamente indifendibile, anche perché il nemico dalla cima dominante del Santuario di Monte Berico iniziò subito il cannoneggiamento della sottostante città. A ciò si aggiunse lo sfinimento per fatica dei difensori, decimati dalle perdite, che si sommava alla ormai evidente carenza di munizioni per l’artiglieria ancora efficiente.


Il Generale Durando, persa ogni speranza di ricevere soccorsi da Re Carlo Alberto, e per evitare ulteriori danni alla città e ai civili in essa presenti decise per la resa.
Furono pertanto avviate trattative fra i plenipotenziari delle due parti, e l'intesa fu raggiunta e firmata velocemente a Villa Balbi all'alba dell' 11 giugno 1848.
Radetzky premeva fare in fretta. Doveva infatti far ritorno a Verona più presto possibile, lasciata scoperta. Gli accordi con Vicenza, furono pertanto piuttosto sbrigativi e accomodanti per gli sconfitti.
I difensori ottennero di uscire dalla città con l'onore delle armi per ritirarsi ad Este e a Rovigo sulla destra del Po; e s'impegnarono a non combattere contro l'Austria per tre mesi. Agli abitanti fu promesso il perdono, ma dovettero per altri undici anni, fino al 1859, regolare nuovamente la loro vita in base ad una lunga serie di norme restrittive di carattere locale, provinciale e regionale, che ebbero un costo estremamente elevato sul piano umano ed economico della regione.
La battaglia infine, era costata poco agli austriaci, che contarono 304 morti, 541 feriti e 140 dispersi (in gran parte, leggasi disertori italiani) in tutto.
Gli “italiani” ebbero 293 morti e 1665 feriti tra le forze combattenti, ma ad essi andrebbero aggiunti i morti ed i feriti civili e gli ingenti danni alle abitazioni ed alle infrastrutture cittadine.

Alberto Conterio