Dopo l’armistizio
La ripresa delle ostilità
Dopo l'armistizio si pensa al futuro.
Il governo, sostituito il Ministro della guerra Franzini con Giuseppe Dabormida il 22 agosto, occorre fare piazza pulita dei presunti responsabili della disfatta. Solo il Sovrano Carlo Alberto si salva dalla caccia alle streghe.
Anche il pur bravo e competente Generale Bava al comando generale, era stato messo da parte, perché con alcune sue pubblicazioni sulla campagna appena conclusa, aveva creato non pochi odi, polemiche e proteste.
Per il suo posto però non si arrivò a designare nessuno.
Si cercherà all’estero il nuovo comandante, non tanto per sfiducia nei comandanti disponibili, ma soprattutto per evitare attriti ed invidie tra i generali in forza.
Si troverà disponibile un polacco in pensione residente in Francia, dopo che i francesi in servizio declinano l’offerta su indicazione del proprio governo per evitare attriti politici con l’Austria.
Il suo nome è impronunciabile, “Chrzanowsky”, gli era riconosciuta una capacità strategica non comune, ma a detta di tutti poca praticità operativa (pur avendo militato nella Grande Armee di Napoleone)… non aveva esperienza pratica di campo insomma !
Ad aggravare la situazione, non conosce una sola parola di italiano ed è completamente digiuno della situazione politica e militare italiana, veste in borghese con il cilindro, e si fa accompagnare da un suo entourage (tutto straniero anche questo). Per bilanciare questo stato di cose, gli fu affiancato, nel febbraio del '49, come capo di stato maggiore, Alessandro La Marmora.
L’Armata Sarda intanto, andava riprendendosi dopo la sconfitta dell’estate ’48, ma se è vero che numericamente le truppe erano triplicate, passando da circa 45.000 del marzo 1848, agli oltre 135.000 uomini e 152 pezzi d’artiglieria del febbraio 1849, così non poteva dirsi dello spirito che le animava, ne del loro affrettato addestramento. Molti erano giovani coscritti, che non avevano avuto il tempo di completare l’addestramento militare, i più erano senza l’entusiasmo dell’anno prima, persuasi che la guerra fosse inevitabile per uscire dall'avventura in cui i partiti e il governo in Parlamento si erano cacciati. Quasi tutti desideravano la pace, perché ad un anno dalla mobilitazione, per molti di loro, gli affari di famiglia o il lavoro lasciato a casa languiva; scarsissima poi, era la disciplina e non pochi erano quelli che avevano dichiarato di non voler combattere e di voler disertare. Inoltre nei veterani della campagna precedente non era presente alcun desiderio di riscossa, al contrario era presente tra loro una profonda amarezza per il trattamento ricevuto dalle popolazioni rurali lombarde. Nessuno infine, era “entusiasta” del comandante in capo Chrzanowsky.
La situazione doveva apparire così evidente che il giovano Principe Ereditario Vittorio Emanuele aveva scritto (profeticamente) :
"Quando verrà il giorno di marciare, qualche corpo marcerà e verserà sino all'ultima goccia del suo sangue, ma i più, magari intere divisioni, si sbanderanno prima ancora di vedere il nemico. Allora, da lontano gli avvocati grideranno vendetta contro i generali e non penseranno per nulla che proprio essi siano la causa di tutto. Metà dei nostri ufficiali, tirati non so di dove, non sanno neppure salutare, onde i soldati ridono fra di loro e, padroni di fare ciò che vogliono, non si astengono dall'esprimere in pubblico le loro idee. L'indisciplina e la ribellione sono approvate: ecco lo stato del nostro esercito".
Ce n'era abbastanza per fare gli scongiuri, ma in Parlamento andava anche peggio, l'idea che la guerra dovesse continuare divise i deputati piemontesi a metà con coloro che, più radicali, auspicavano addirittura ad un ritorno all'antico regime assoluto imposto dai vincitori Austriaci. Alla fine, prevalse l’idea di riprendere le ostilità, e incuranti dei segnali che giungevano dalle forze armate, il 12 marzo 1849 il Governo sardo-piemontese ruppe unilateralmente l'armistizio di Salasco, firmato con gli austriaci in agosto dell’anno prima, dopo la disfatta di Custoza e l’impossibile difesa di Milano. La notizia pervenne agli Austriaci il giorno stesso, e si dice che provocò nell’Imperial Regio esercito austriaco uno scoppio di gioia !
L'esercito austriaco, che prenderà parte alle operazioni, contava circa 90.000 uomini. Agguerriti e fiduciosi nel loro capo, avevano un morale eccellente morale. Divisi in corpi d’armata di due divisioni ciascuno, le truppe erano guidate da Generali abili e apprezzati.
L'esercito, che era al comandato dall’ottantaduenne Feldmaresciallo Radetzky, assistito dal Barone Hess, Capo di Stato Maggiore. Poteva contare su 230 bocche da fuoco e quando furono riprese le ostilità, era così suddiviso :
1° Corpo – Generale Wratislaw, a Mirabello, sulla via. Milano-Pavia,
2° Corpo – Generale D’Aspre, occupava Pavia,
3° Corpo – Generale Appel, a Motta S. Damiano,
4° Corpo – Generale Thurn a Belgioioso
Il Maggiore Czek con due squadroni di usseri e un battaglione di fanteria sorvegliava il Ticino sopra Pavia e si collegava per la destra alla Brigata Gorger, che aveva ordine di ripiegare su Rosate all'apparire dei piemontesi.
La riserva era affidata al Generale Wocher, posizionata alle spalle del 2° Corpo d’Armata, tra Fossaneto e Vimanone;
La situazione militare piemontese e lo schieramento
La massa dei soldati Sabaudi era pur sempre a maggioranza piemontese, ma coloro che potevano vantare l’addestramento necessario ad essere considerati “veri soldati” erano i veterani della campagna precedente, poco più di 35.000 uomini. Il richiamo sotto le armi cinque classi di riservisti e cinquantasei battaglioni della Guardia Nazionale avvenuta nel luglio del 1848, avevano portato all’Armata, non meno di altri 80.000 uomini, alla quale si sommavano circa 20.000 volontari. Queste forze purtroppo non avevano però la coesione e l’addestramento necessario, come ebbe a scrivere Vittorio Emanuele !
Il corpo dei Bersaglieri ad esempio, che aveva dato un esempio strabiliante delle sue alte capacità militari, passo da 2 Battaglioni presenti nella campagna del 1848 a 7 aggiungendo il 3°e 4° con coscritti, il 5° e 7° coi volontari Emiliani, Valtellinesi,Trentini nonchè i Lombardi del Manara (6°).
Così era successo per tutti gli altri reparti, e le Divisioni sul campo erano anch’esse passate da 5 a 7, in un moltiplicarsi numerico di Battaglioni e Reggimenti. Molti graduati di truppa divennero sottufficiali, così come molti Sergenti e Sergenti maggiori divennero Ufficiali, i Capitani, Colonnelli e i Colonnelli, Generali, ma la maggior parte di queste promozioni, non era dovuta alla qualità delle risorse in se, quanto più, alla necessità di completare gli organici della catena di comando della nuova e più grossa Armata.
In queste condizioni il 20 marzo 1849, allo scadere dell'armistizio, le ostilità ripresero. Il piano generale delle operazioni, pur finemente congegnato, teneva in poco conto gli eventuali movimenti austriaci. Il fronte inoltre, aveva una ampiezza spropositata, andando da Sarzana (La Spezia) al lago Maggiore.
Pur essendo il Re alla testa delle truppe, il comando effettivo era stato dato al Chrzanowski, che doveva esercitarlo in nome di Carlo Alberto, e che per il suo fisico infelice, per la nessuna conoscenza della lingua e dei luoghi non era sicuramente il capo che potesse esercitare alcun fascino sulle sue truppe. Capo di stato maggiore era il neo promosso Generale Alessandro La Marmora, fondatore del corpo dei Bersaglieri.
Lo schieramento iniziale, prevedeva sette Divisioni e due Brigate così spiegate :
La 1a Divisione – Brigate Aosta e Regina, Reggimento Nizza Cavalleria, un Battaglione Bersaglieri e due batterie - stava a Mortara agli ordini del Generale Giovanni Durando;
La 2a Divisione - Brigate Casale ed Acqui, 23° Reggimento Fanteria di linea, Reggimento Piemonte Reale Cavalleria, un Battaglione Bersaglieri, due batterie occupava, comandata dal Generale Bes, i dintorni di Vigevano;
La 3a Divisione - Brigate Savoia e Savona, Reggimento Genova Cavalleria, un Battaglione Bersaglieri, due batterie - comandata dal generale Ettore Perrone, stava presso Galliate, appoggiandosi alla via di Milano;
La 4a Divisione - comandata dal Duca di Genova SAR il Principe Ferdinando di Savoia, era formata dalle Brigate Piemonte e Pinerolo, dal Reggimento Aosta Cavalleria, un Battaglione Bersaglieri e da due batterie, si trovava a Boffalora;
La 5a Divisione - di seimila uomini, tutti volontari Lombardi, agli ordini del Generale Ramorino, organizzata su quattro Reggimenti Fanteria di linea, il Battaglione dei Bersaglieri di Manara, due piccoli corpi di studenti e cacciatori trentini e due batterie, era alla Cava, dirimpetto a Pavia;
La 6a Divisione del Generale Alfonso La Marmora (fratello di Alessandro) con quattro Reggimenti Fanteria di linea anch’essa, una Compagnia di Bersaglieri, due Squadroni del Novara e due batterie, si trovava, come sappiamo, a Sarzana (vicino La Spezia) doveva muovere verso Parma, per unirsi alla Divisione Romana (ottomila fanti, seicento cavalli e sedici cannoni) che sarebbe venuta da Bologna al comando del Colonnello Luigi Mazzacapo e alla Divisione Veneziana del Generale Guglielmo Pepe (cinquemila uomini e dodici cannoni) che doveva muovere da Chioggia;
La 7a Divisione infine, comandata dal Duca di Savoia, Principe ereditario Vittorio Emanuele di Savoia stava di riserva tra Novara e Vercelli ed era formata dei due Reggimenti dei Granatieri Guardie, dal Reggimento Cacciatori, dalla Brigata Cuneo, dal Savoia Cavalleria, di quattro Squadroni del Novara, e due batterie.
Delle due brigate indipendenti, la prima, agli ordini del Colonnello Belvedere, forte di quattro Battaglioni della Brigata Acqui, due Compagnie di bersaglieri e una batteria, stava a Castelsangiovanni, sulla destra del Po, per sorvegliare Piacenza, mentre la seconda, agli ordini del Generale Solaroli, comprendeva il 30° e 31° Reggimenti Fanteria, il Battaglione Real-Navi, Cacciatori della Valtellina e di Bergamo e Dragoni lombardi volontari e una batteria, campeggiava ad Oleggio.
Alberto Conterio