Le principali operazioni in mare

Prima guerra di indipendenza italiana
Le principali operazioni in mare

Il 3 maggio 1848, l’Austria pubblicava il bando del blocco navale di Venezia ma le sue navi all’arrivo della flotta napoletana come abbiamo visto, si ritirarono in alto Adriatico.
L’ammiraglio Albini, quando raggiunse il teatro operativo, riunì gli altri ammiragli “italiani” e li convinse ad effettuare un’azione congiunta contro la flotta austriaca che stazionava in alto mare tra le foci del fiume Piave ed il fiume Tagliamento.


L’azione, che avrebbe potuto essere risolutiva, non ebbe fortuna, perché quando le tre flotte riunite giunsero all’altezza della foce del fiume Piave cadde completamente il vento, immobilizzando le navi.
L’Ammiraglio Albini ebbe l’intuizione immediata di far trainare le navi a vela da quelle a vapore per avvicinarsi alla squadra austriaca, ma l’operazione fu lenta perché per evitare di trovarsi di fronte alla flotta avversaria con sole poche navi, si provvide a trainare prima una e l’altra nave per brevi tratti in modo da portare “simultaneamente” tutte le navi a tiro. Ciò diede la possibilità agli austriaci, di imitare le mosse di Albini in ritirata, entrando presto nel raggio d’azione delle batterie costiere difensive di Muggia, sottraendosi quindi agli italiani. La squadra austriaca, palesemente inferiore,  si era salvata da distruzione certa grazie ad una provvidenziale bonaccia.
La stessa bonaccia invece, risulterà nel tempo nefasta per Venezia, segnandone fin da allora la fine !

Il giorno 23, le flotte italiane riunite, gettarono l’ancora davanti a Trieste e fino al 28 non si venne a capo di nessuna decisione sul da farsi, se non che i Consoli ed Ambasciatori di diversi stati della Confederazione tedesca fecero sapere ai comandanti italiani e al Governo di Torino in special modo, che eventuali atti di guerra contro il porto di Trieste sarebbero stati considerati atti di guerra contro i loro Paesi, in quanto gran parte dei traffici commerciali per il centro Europa, transitavano da quel porto, con grave danno per tutti nel caso di risolute azioni militari.

Tanto bastò perché, in assenza di reali contatti con i rispettivi stati maggiori e ministri, i comandanti italiani in mare, non si sentirono di prendere così grosse responsabilità. Neanche le provocatorie cannonate sparate il 6 giugno da una fregata austriaca dalla rada di Trieste (un colpo di rimbalzo cadde sulla San Michele, unità ammiraglia sarda) convinse gli italiani ad aprire il fuoco. Da Torino, giunsero in seguito all’Ammiraglio Albini istruzioni per evitare ogni attrito internazionale, che limitarono inevitabilmente tutte le opzioni militari possibili.

L’11 giugno comunque, fu firmato dall’Ammiraglio Albini e dal contrammiraglio Bua il bando di blocco del porto di Trieste. La flotta napoletana agli ordini dell’Ammiraglio De Cosa, invece aveva già ricevuto l’ordine del Sovrano, Ferdinando II di rientrare in Patria, lasciando la zona operativa.
Gli austriaci comunque si guardarono bene dall’uscire in mare aperto, in quanto la flotta Sarda e Veneziana riunite erano ancora superiori alla loro, e poi perché il blocco, in realtà non interrompeva nulla di vitale, restando praticamente lettera morta. Non vi fu più quindi, nessun’altra occasione di scontro fino alla firma dell’armistizio del Generale Salasco del 9 agosto 1848. Dopo quella data, l’Ammiraglio Albini ebbe l’ordine di rientrare a Venezia con la flotta per recuperare il corpo di spedizione piemontese comandato da La Marmora, costituito da circa duemila uomini, e ogni altro funzionario Sardo. Riuscì però a trattenersi in porto oltre la partenza dei Regi Commissari Colli e Cibrario, fin quando, il 9 settembre, l’Austria infastidita dalla sua presenza in porto (le navi sarde, erano pur sempre un potente deterrente militare) riprese il blocco di Venezia.

La flotta Sarda prese quindi la via del ritorno, ma a causa della mancata restituzione da parte austriaca al Piemonte dei materiali di assedio alla piazzaforte di Peschiera, ricevette l’ordine dal Governo di Torino di tornare sui suoi passi. Così avvenne con una veloce puntata su Venezia fino all’adempimento austriaco, per poi far vela definitivamente verso Ancona, dove stazionò fin dopo la battaglia di Novara del marzo 1849.

Alberto Conterio