Seconda Guerra di Indipendenza
Verso la guerra - Agli austriaci cedono i nervi
(…e cascano nel gioco architettato da Cavour e Vittorio Emanuele II)
Il continuo afflusso di esuli che giungeva a Torino da anni, l’attività propagandistica in favore dell’indipendenza italiana praticata oltre il Ticino e la stessa politica provocante adottata dal Governo del Regno Sardo, cominciarono a sortire i loro effetti con l’inizio dell’anno 1859.
Ma fu con la creazione del corpo dei Cacciatori delle Alpi in data 17 marzo, che si giunse all’innesco per la successiva deflagrazione. I volontari garibaldini infatti, mal visti da tutte le cancellerie europee, erano per l’Austria come il fumo negli occhi.
Intanto il comandante in capo delle forze austriache in Italia, Conte Gyulai, che avrebbe dovuto contrastare le forze sardo piemontesi, sapeva bene che la rapidità del suo intervento sarebbe risultata fondamentale per battere queste, prima che si ricongiungessero con quelle dell’alleato francese, ma, non riesce ad ottenere informazioni ed ordini precisi dal suo governo.
Al contrario, continua a ricevere dispacci contrastanti. Anche quando dovrebbero iniziare le operazioni, gli viene comunicato di : "non procedere all'attacco, ma aspettare istruzioni telegrafiche da altissimo loco…Perfino nel caso in cui, trascorso il termine dell'ultimatum di tre giorni, giunga una risposta negativa"
E al Gyulai l'ordine di attaccare non arriva mai. A Vienna si continua ad esitare. Come non dargli torto del resto… Gli austriaci, volevano certamente chiudere la partita con il Regno Sardo, ma occorreva trovare una copertura europea, non essere isolati insomma. Anticipando i tempi, la diplomazia austriaca rischiava di ritrovarsi in guerra senza alleati.
Ancora in data 11 aprile, l'Arciduca Alberto era in missione diplomatica a Berlino. Il calcolo era chiaro, se la prussica appoggiava l’Austria, la Francia non avrebbe mai potuto intervenire in difesa della Sardegna senza ritrovarsi la guerra in casa, e l’Austria in Italia avrebbe fatto a pezzi i piemontesi ed i volontari rivoluzionari una volta per tutte. Ma non si concluse nulla, la Prussia non abboccò, e l’Austria rimase sola con la sua alterigia.
In questo caos diplomatico tuttavia, Gyulai prepara al meglio le sue forze, lanciando ai suoi uomini un proclama ad inizio aprile :
"Soldati ! S. M. l'Imperatore vi chiama sotto le bandiere al fine di umiliare per la terza volta l'alterigia del Piemonte, e snidare il covo dei fanatici e dei sovvertitori della quiete dell'Europa. Soldati d'ogni grado ! andate contro un nemico sempre da noi messo in fuga. Rammentate soltanto Volta, Sommacampagna, Curtatone, Montanara, Rivoli, Santa Lucia; un anno dopo, Mortara, Vigevano, La Cava, ed infine Novara, dove l'avete disperso ed annientato. Inutile raccomandare a voi disciplina e coraggio, che della prima, siete unici in Europa, e dell'altro a nessun esercito secondi. La vostra parola d'ordine sia: Viva l'Imperatore e il nostro buon diritto !".
Questo proclama alle truppe austriache a firma del Feldmaresciallo Gyulai era già stato divulgato l'8 aprile sull'"Opinione", ed era stato interpretato da Vittorio Emanuele, come una vera e propria dichiarazione di guerra. Era inoltre scritto con tale militaresca insolenza da dare sui nervi al Re di Sardegna, il quale, comunicandolo a Cavour, confessava : "Io sono tutto sudato dalla rabbia .... vorrei fare a cannonate stasera stessa".
Il 23 aprile, l’Austria chiese al Piemonte con un seccato ultimatum, di sciogliere i temutissimi garibaldini e smobilitare queste forze entro tre giorni. Il governo piemontese tergiversò tanto da lasciar scadere l’ultimatum.
Il 26 aprile l’Austria, che aveva subodorato la trappola, dichiarò malvolentieri lo stato di guerra. Per questioni di prestigio e orgoglio internazionale, iniziando qualche giorno dopo una stanca offensiva che non aveva neppure preparato.
Vittorio Emanuele II parlò alle truppe sarde con il proclama del 27 aprile, a poche ora dall’inizio delle operazioni :
"Soldati ! L'Austria ai nostri confini ingrossa gli eserciti e minaccia di invadere le nostre terre, perché la libertà qui regna con l'ordine, perché non la forza, ma la concordia e l'affetto fra popolo e sovrano qui reggono lo Stato, perché qui trovano ascolto le grida di dolore d'Italia oppressa: l'Austria osa intimare a noi, armati soltanto a difesa, che deponiamo le armi e ci mettiamo in sua balia. L'oltraggiosa intimazione doveva avere una degna risposta. Io l'ho sdegnosamente respinta. Soldati ! Ve ne do l'annuncio, sicuro che farete vostro l'oltraggio fatto al vostro Re, alla nazione.
L'annuncio che vi do è annuncio di guerra. All'armi dunque, o soldati ! Vi troverete a fronte di un nemico che non vi è nuovo: ma se egli è valoroso e disciplinato, voi non ne temete il confronto: e potete vantare le giornate di Goito, di Pastrengo, di Santa Lucia, di Sommacampagna, di Custoza stessa, in cui quattro sole brigate lottarono tre giorni contro cinque corpi d'armata. Io sarò vostro duce. Altre volte ci siamo conosciuti con gran parte di voi nel furore delle battaglie; ed io, combattendo a fianco del magnanimo mio genitore, ammirai con orgoglio il vostro valore. Sul campo dell'onore e della gloria, voi, sono certo, saprete conservare, anzi accrescere la vostra fama di prodi. Avrete come compagni gli intrepidi soldati di Francia, di cui foste commilitoni alla Cernaia, e che Napoleone III, sempre accorrente là dove vi è una causa giusta da difendere e la civiltà da far prevalere, c'invia generosamente in aiuto in numerose schiere. Movete dunque fidando nella vittoria, e di novelli allori fregiate la vostra bandiera che con i tre suoi colori e con l'eletta gioventù, qui da ogni parte d'Italia convenuta e sotto a lei raccolta, vi addita che avete come vostro compito l'indipendenza d'Italia, questa giusta e santa impresa, che sarà il nostro grido di guerra".
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