Partigiano Montezemolo per la Patria e per il Re
di Michele Brambilla
25 aprile 2012
Pomeriggio del 25 gennaio 1944: il colonnello Giuseppe
Cordero Lanza di Montezemolo viene fermato ai Parioli dalla polizia. È un
bersaglio grosso: il comandante del Fronte Militare Clandestino di Roma. Invano
prova a convincere gli agenti che si tratta di un errore: «Sono il professor
Martini», dice esibendo un documento falso. Porta baffi finti e occhiali
cerchiati d’oro. I poliziotti sanno però che non si stanno sbagliando: hanno
avuto la soffiata giusta. Percorrono pochi passi e lo consegnano alle SS. Al
carcere di via Tasso, ad attendere il fermato, c’è un signore che si chiama
Herbert Kappler.
Documento video sul Colonnello Montezemolo
La Marchesa Amalia di Montezemolo detta Juccia, moglie del
colonnello, ricorda nel suo diario: «26 gennaio 1944. Andai tutta felice, più
presto del solito, in casa Scammacca, temendo che Beppo, come la volta passata,
fosse già ad attendermi e si potesse fermare poco, non lo trovai... Vidi nei
volti dei miei ospiti lo smarrimento... Capii che per lui e per me era finita».
Suo marito verrà fucilato nel pomeriggio del 24 marzo successivo, un venerdì,
alle Fosse Ardeatine. Cadrà gridando: «Viva l’Italia! Viva il Re!». Ma chi era
quest’uomo il cui nome è stato cancellato dalla stragrande maggioranza dei
libri sulla Resistenza? La sua storia è ora raccontata in un volume di Mario
Avagliano, Il partigiano Montezemolo, edito da Dalai (pp. 401, € 22).
Discendente di un’antica famiglia dell’aristocrazia piemontese, Giuseppe
Cordero Lanza di Montezemolo nasce il 26 maggio 1901 a Roma, dove suo padre
Demetrio, ufficiale dell’Esercito, ha un incarico presso lo Stato Maggiore. A
17 anni si arruola volontario e nell’estate del 1918 entra nelle linee fra il
lago di Garda e l’Adige. Come tanti italiani della sua generazione cresce con
il culto della Patria, dell’obbedienza, dell’autorità. È anche per seguire
questi valori che nell’estate del 1937 il maggiore Giuseppe Montezemolo si
arruola nel Corpo truppe volontarie che Mussolini invia in Spagna a sostegno di
Franco: in gioco c’è la difesa della cristianità dal pericolo bolscevico. E
Montezemolo è cattolico, monarchico e anticomunista. L’adesione alla seconda
guerra mondiale è meno convinta. Durante i primi tre anni Montezemolo segue gli
eventi dall’Ufficio operazioni del Comando supremo. Nel maggio del 1943 diventa
il più giovane colonnello del Regio esercito. Ma sono ormai i tempi dei dubbi,
delle riflessioni.
Il 19 luglio 1943 Montezemolo fa parte della delegazione che
accompagna Mussolini all’incontro di Feltre, nel Bellunese, con Hitler. Il Duce
è partito da Roma con l’intenzione di illustrare al Führer le reali condizioni
dell’Italia e di persuaderlo della necessita di un armistizio. Ma di fronte a
un Hitler invasato più che mai, non ne ha il coraggio. Al ritorno Montezemolo
accompagna il capo di stato maggiore delle Forze Armate, generale Vittorio
Ambrosio, in una visita segreta a Villa Savoia. Il re viene informato
dell’esito negativo dell’incontro di Feltre e decide di passare all’azione. Il
25 luglio Mussolini viene arrestato. Il maresciallo Pietro Badoglio è nominato
capo del governo e il colonnello Montezemolo suo segretario particolare.
Comincia così la Resistenza di Giuseppe Montezemolo. Spesso misconosciuta, come
dicevamo, ma certamente ben più nobile delle scelte di tanti rappresentanti di
quell’istituzione cui il giovane colonnello aveva giurato fedeltà.
All’ingloriosa fuga dei ministri militari e dei Savoia si contrappone infatti
la scelta di questo ufficiale che resta nella capitale e nella seconda metà di
settembre del 1943 passa alla clandestinità per assumere la guida del Fmcr,
Fronte militare clandestino di Roma. Che cosa è stato il Fmcr? Molti storici lo
hanno liquidato come espressione dell’attendismo badogliano, o come «una destra
militarista» (così scrisse Giorgio Bocca). Secondo Roberto Battaglia, lo scopo
del Fmcr fu quello di ostacolare un’insurrezione popolare per favorire poi il
passaggio di Roma dai tedeschi agli Alleati e infine al Governo legittimo del
Sud. Il libro di Avagliano, che pure è tutt’altro che un’agiografia, riconosce
invece il ruolo fondamentale svolto dal Fmcr nell’evitare che uomini e mezzi
dell’esercito italiano in rotta finissero requisiti dai tedeschi; nello
svolgere un’enorme attività di intelligence a favore degli anglo-americani; nel
fornire armi ed esplosivi al Cln.
Certo la Resistenza del partigiano Montezemolo («patriota»,
diceva lui) aveva anche un preciso obiettivo politico: rafforzare la monarchia
e garantirne la sopravvivenza alla fine della guerra. Ma forse è proprio per
questo che non è stata riconosciuta per i meriti che ebbe: «La verità - scrive
Avagliano - è che nei primi cinquant’anni di storia della Repubblica la
storiografia ha identificato la Resistenza italiana quasi esclusivamente con la
guerriglia in montagna delle formazioni partigiane contro i reparti tedeschi e
della Rsi, oppure con le azioni e i sabotaggi compiuti in città dai Gap e dalle
Sap. Solo nell’ultimo decennio è stata avviata una seria riflessione sulle
altre forme di partecipazione alla guerra di liberazione». Storie, comunque,
soprattutto di uomini. Uomini diversi tra loro per le idee politiche, ma pronti
a donare la vita. «Se tutto andasse male - scrive Montezemolo in un biglietto
clandestino dal carcere - Juccia sappia che non sapevo di amarla tanto:
rimpiango solo lei ed i figli. Confido in Dio. Però occorre aiutarsi».