Guareschi - De Gasperi, l'ombra dei servizi
di Roberto Festorazzi
25 aprile 2012
La longa manus dei servizi segreti diede prova delle sue
raffinate capacità di manipolazione, dietro le quinte di uno dei più velenosi
casi giudiziari del secondo dopoguerra. È quanto emerge dalle carte segrete sul
processo De Gasperi-Guareschi che si concluse nell’aprile del 1954 con la
condanna del papà di don Camillo a un anno di carcere per diffamazione. Il
grande giornalista e umorista finì alla sbarra per aver pubblicato, sul suo
Candido, due lettere del ’44 attribuite a De Gasperi, nelle quali lo statista
trentino chiedeva agli Alleati di bombardare la periferia di Roma. I due
documenti, che il leader democristiano dichiarò con sdegno falsi, facevano
parte di un voluminoso corpus di carteggi che comprendeva il famoso epistolario
tra il Duce e Winston Churchill. Tale esplosivo materiale era detenuto da uno
strano personaggio, l’ex tenente della Guardia nazionale repubblicana Enrico De
Toma, classe 1925. Questi raccontò di aver messo le mani sui dossier su
incarico dallo stesso Mussolini, il quale nell’aprile del ’45 gli avrebbe
raccomandato di metterli al sicuro in Svizzera. E fu proprio da depositi
bancari nella Confederazione elvetica che i carteggi riemersero nel dopoguerra,
per intervento dello stesso De Toma.
Alcide De Gasperi in breve divenne la vittima designata di
una manovra torbida che aveva per obiettivo il suo screditamento politico. Il
clima interno era arroventato: il centrismo, la formula degasperiana, era
entrata in crisi e molti attori avevano interesse a destabilizzare il quadro
politico, chi da destra, chi da sinistra. La feroce campagna contro la
cosiddetta "legge truffa" aveva dato la misura della posta politica
in gioco.
Uomini del servizio segreto, il Sifar, cercarono dapprima di
capire se fosse possibile recuperare quelle carte scottanti, brandite dall’ex
tenente della Gnr con minacciosa disinvoltura, quasi a voler maneggiare una
micidiale carica esplosiva. Ma i tentativi di agganciare De Toma e la sua
"cricca" fallirono, così apparati dello Stato si diedero a
organizzare una manovra atta a far crollare la credibilità dei documenti e del
loro stesso detentore.
Perché tanto affanno e tanti sforzi per togliere dalla
circolazione delle carte sicuramente false? Va anzitutto riconosciuto che, se
oggi siamo certi che il materiale di De Toma è in blocco apocrifo, nel 1954
sussistevano dubbi in proposito. Neppure gli esperti erano concordi nel
giudicare grossolanamente falso il carteggio Duce-Churchill, e soprattutto non
era chiaro che quelle carte erano state confezionate ad arte a imitazione di
documenti invece sicuramente autentici. Ma, a parte ciò, bisogna considerare
che, a quel tempo, Winston Churchill era nuovamente alla guida del governo
britannico, e dunque interessato direttamente ai dossier che potevano
documentare suoi contatti e collusioni con il Duce.
Negli affari di De Toma entrarono in scena, ad un certo
punto, anche i maggiori gruppi editoriali. Dapprima Mondadori, che fiutò
l’affare, staccò un assegno di un milione e mezzo di lire per garantirsi
l’esclusiva della pubblicazione dei carteggi, salvo poi defilarsi. Per quale
motivo? Lo Stato italiano aveva interesse a favorire Churchill e Arnoldo
Mondadori era un editore filo-governativo. La pubblicazione dell’epistolario,
inoltre, avrebbe distrutto l’immagine dell’uomo col sigaro, portando alla luce
il "tradimento" da lui perpetrato nei confronti di Mussolini e
dell’Italia. Sarebbe, infatti, emerso che Churchill aveva pugnalato alla
schiena il Duce, dopo averlo allettato inducendolo a entrare in guerra!
Se dunque Mondadori scelse di cedere alle pressioni del
governo, più spregiudicato fu invece Rizzoli, che entrò nell’affaire. E il più
temerario fu Giovannino Guareschi, che cominciò col pubblicare sul rizzoliano
Candido le lettere di De Gasperi. Lo statista trentino denunciò l’imbroglio e
ne derivò un processo destinato a fare clamore. De Gasperi mandò a Churchill
copie di dodici lettere a lui attribuite, in modo da ottenere la certificazione
della loro inautenticità. E il settimanale “Oggi”, diretto da Edilio Rusconi,
che alla fine di aprile del ’54, dopo la conclusione del processo De
Gasperi-Guareschi, aveva cominciato a pubblicare brani del carteggio, fu
costretto a interrompere l’iniziativa alla terza puntata, per non incorrere a
sua volta in ulteriori incidenti.
Le carte segrete sulla querelle, conservate nell’archivio
privato degli eredi di Alessandro Minardi, principale collaboratore di
Guareschi, gettano ora una luce inquietante su queste vicende. Ne emergono
personaggi dal profilo ambiguo, com’è il caso di Gino Gallarini, ex prefetto
della Rsi, che si dedica a una serie di manovre sicuramente pilotate dai nostri
servizi segreti. Questi era il braccio destro di un industriale del Nord, Aldo
Marinotti, uomo della destra politica intervenuto nella cordata di De Toma.
Gallarini dapprima si assicura la fiducia dell’ex tenente
della Gnr, poi si mette di traverso alla collaborazione con la Mondadori,
facendola fallire. Spinge quindi con successo De Toma ad avviare trattative con
la Rizzoli; punto debole, e dunque sacrificabile, dell’impero editoriale
rizzoliano viene individuato in Guareschi, che da tempo è entrato politicamente
in rotta di collisione con De Gasperi. Baffone, ingenuamente, ingoia la
polpetta avvelenata. Il processo a suo carico, con la conseguente demolizione
dell’intero carteggio Churchill-Mussolini, crea però un precedente destinato a
ipotecare negativamente, nei decenni successivi, le discussioni storiografiche
riguardanti la reale esistenza di un epistolario tra il Duce e lo statista
d’Oltremanica.
Tra le carte inedite che oggi riemergono, c’è una lettera,
datata 25 marzo 1954, che De Toma invia a Minardi. Allegata ad essa, vi è un
memoriale con il quale il detentore dei carteggi illustra le manovre di
destabilizzazione condotte da Gallarini. De Toma fiuta trame dei servizi
segreti e infatti scrive: «Non le nascondo la mia preoccupazione per questi
avvenimenti che stranamente si accavallano, quasi fossero manovrati a bella
posta». De Toma ha paura, e chiede di poter restare in Svizzera, dove si trova
da tempo e si sente maggiormente sicuro. Il 13 marzo scrive a Guareschi: «Ho la
sensazione che Gallarini stia preparando Marinotti allo sganciamento. Poiché so
che Marinotti, qualunque sia il suo personale punto di vista, subisce
l’influenza continua e diretta di Gallarini, ho pensato bene di scrivergli
pregandolo di concedermi quanto prima un colloquio». I timori di De Toma si
dimostreranno fondati in quanto le cassette di sicurezza bancarie riconducibili
al suo nome saranno "visitate" e svuotate dai servizi segreti, mentre
lui stesso finirà in carcere nel luglio del ’54.
Tra i documenti segreti del caso De Gasperi-Guareschi, vi è
anche un appunto autografo di Minardi, dal quale emerge un possibile
coinvolgimento nell’affaire di un personaggio eccellente finora mai sfiorato
dalle ricostruzioni sull’argomento: si tratta dell’arcivescovo di Milano, il
cardinale Ildefonso Schuster. Minardi, nella breve memoria, annota di una
visita del misterioso Gallarini avvenuta nella redazione di Candido. L’ex
prefetto fascista dapprima cerca di giustificare il suo strano comportamento come
dovuto ad avversità personali. Poi, scrive Minardi, Gallarini annuncia una sua
visita al porporato: «Va dal card. mercoledì per portare "Cand" [una
copia di Candido, ndr ] e "ri-inquadrarlo"». Il termine usato da
Gallarini, ri-inquadrarlo, sembra scelto appositamente per suggerire un
tentativo, se non di manovrare l’arcivescovo di Milano, quantomeno di tenerlo
dalla propria parte. In realtà, però, si sa che Schuster manifestò sempre un
particolare interesse per il carteggio Churchill-Mussolini e, in genere, per
tutte le questioni legate alla fine del Duce. Fu infatti nella sede
dell’arcivescovado milanese che il dittatore fascista, il pomeriggio del 25
aprile 1945, ebbe un infruttuoso colloquio con i maggiorenti della Resistenza.
Tratto da : www.avvenire.it/