Guerra di Crimea 1855 - 56
Il ritorno del Corpo di spedizione in Patria
Alla metà di giugno 1856 il corpo di spedizione, esaurito il
suo compito in Crimea, era interamente tornato in Patria. In ogni città del
Regno il ritorno dei soldati veniva festeggiato con vivaci dimostrazioni di
riconoscenza e di orgoglio. A Genova e a Torino le feste furono chiaramente
maggiori. Il giorno 16 giugno, il Corpo di spedizione raccolto in Piazza d’armi
a Torino, fu passato in rassegna dal Re con una cerimonia, al tempo stesso,
grandiosa e solenne.
Re Vittorio Emanuele II, comparve a cavallo circondato da
importante e prestigioso seguito, nel quale si trovavano Sir Hudson, Ministro
inglese, il Duca di Gramont, Ministro di Francia e Mussurus-Bey, incaricato
d’affari dell’Impero Ottomano. Sui palchi per gli spettatori, disposti
ad anfiteatro, una folla immensa. Nel centro della Piazza un
altare.
Il venerando Vescovo della diocesi di Vercelli, Monsignor di
Angennes, celebrò i divini uffizi. Il Re, in atteggiamento fiero ma riverente,
prese parte alla Messa a cavallo.
Terminata la cerimonia religiosa il Re percorse le file dei
soldati fra le loro ardenti acclamazioni. Al suo seguito, Alfonso La Marmora.
Il Re, tornato al centro della piazza, rivolse ai soldati
con voce potente e vibrata più del consueto, il seguente “omaggio” : “E’ scorso
appena un anno dacchè io vi salutavo dolente di non poter esservi compagno nella memorabile impresa. Or lieto vi riveggo e vi
dico: avete ben meritato della Patria.
Voi rispondeste degnamente all’aspettativa mia, alle
speranze del paese, alla fiducia dei nostri potenti alleati, che oggi ve ne
danno una solenne testimonianza.
Fermi nelle calamità che affliscono un’eletta parte di voi,
impavidi nei cimenti della guerra, disciplinati sempre, voi cresceste di
potenza e di fama questa forte e prediletta parte d’Italia.
Riprendo le bandiere che io vi consegnai, e che voi
riportaste vittoriose dall’Oriente.
Le conserverò come ricordo delle vostre fatiche e come un
pegno sicuro che quando l’onore e gli interessi della Nazione mi imponesse di
rendervele, esse sarebbero da voi sui campi di guerra, dovunque, ed in egual modo difese e da nuove glorie
illustrate.” …acclamazioni, battimani ed urla di gioia a non finire!!!
Il Re consegnò quindi ai soldati le onorificenze meritate, e
quelle riconosciute dagli alleati. Fra queste ad esempio, la medaglia di Crimea
che il Governo di Sua Maestà la Regina Vittoria aveva fatto coniare appositamente.
Alla sfilata al passo delle truppe, Mentre transitava il 17°
Reggimento Fanteria, il Re vide un soldato mutilato. Si chiamava Agostino Armandi
ed aveva perduta la gamba sinistra alla battaglia della Cernaja; ordinò che si
fermasse, e fra le acclamazioni generali lo fregiò personalmente della medaglia
al valor militare.
Il Generale Alfonso La Marmora fu promosso al più alto grado
militare (Generale d’Armata) e gli venne affidato nuovamente il ministero della
guerra.
Con paziente lavoro, La Marmora aveva riorganizzato
l’esercito dopo la sconfitta del 1849 in modo assai efficace, pur con le
ristrettezze economiche che il piccolo bilancio piemontese poteva permettere, e
la spedizione di Crimea lo aveva ampiamente dimostrato.
Il Generale, pur fiero e felice per l’esito dell’impresa e
grato per le ricompense ricevute, aveva il volto solcato da grosse lacrime;
pensava al fratello Alessandro infatti, già fondatore del corpo dei
Bersaglieri, morto in oriente di colera, la cui salma giaceva sepolta in
Crimea.
I più illustri generali stranieri parlavano nei termini più
lusinghieri di quell’esercito e di quel Capitano. In Piemonte ed in tutta
l’Italia fu un grido concorde di ammirazione e di gratitudine. La sciagura di
Novara fu cancellata dalla vittoria della Cernaja.
A dispetto della sospettosa vigilanza austriaca e delle
polizie, fu aperta, una sottoscrizione fu aperta in tutta Italia per provvedere di cento cannoni la fortezza
di Alessandria. Era una evidente manifestazione di gratitudine e di fiducia al
Piemonte Sabaudo ed alle sue armi. La sottoscrizione venne fatta anche in contrade straniere ed a Parigi fu
aperta dall’ex dittatore veneto Daniele Manin, acceso repubblicano riparato
all’estero dopo la caduta di Venezia del 1849. Gli stessi milanesi allo stesso
modo, determinarono di far dono all’esercito sardo di un segno di
riconoscimento gratitudine e speranza : una statua in marmo, che rappresentava
un fante piemontese, affidandone l’esecuzione al rinomato scultore Vela. La
statua, posta davanti Palazzo Madama in Piazza Castello a Torino fa ancor oggi bella
figura di se.
Alberto Conterio