Amedeo di Savoia Duca d’Aosta (1898-1942)
un principe cristiano
(di Cristina Siccardi)
4 luglio 2012
Un uomo di un metro e 98 risponde al saluto di una compagnia
inglese che gli presenta le armi: la mano sulla visiera, il volto asciutto e
fiero, la divisa impeccabile… Amedeo di Savoia Duca d’Aosta sembra un
vincitore, invece è un prigioniero, che ha perso la sua ultima battaglia. Di
lui disse Sua Santità Pio XII: «Era una bella figura di soldato, di principe e
di cristiano». In Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, Viceré d’Etiopia ed eroe
dell’Amba Alagi, del quale quest’anno ricorrono i 70 anni dalla morte, si
riunirono la nobiltà di nascita, la nobiltà d’animo e la ricca Fede. Una figura
troppo bella, troppo cattolica per essere ricordata dai libri di storia.
Alieno dalle insidie e miserie del potere, fu un combattente
coraggioso, aviatore esperto, africanista appassionato e come scrisse Gigi
Speroni «aveva ereditato dalla madre, Elena d’Orléans, quell’esprit tipicamente
francese che gli impedì di cedere alla retorica imperante e gli permise di
vedere sempre le cose con un certo distacco». Diceva: «Essere principi non ha
senso, quando non si ha un principato, se non si è capaci di farsi valere come
uomo». La sua vita fu avventurosa, austera e semplice; una vita di
autodisciplina, con una religiosità molto profonda. Dormiva su una branda
militare, spesso in una tenda da campo, si alzava alle sei, pranzava in venti
minuti; non amava i ricevimenti mondani, preferiva stare in compagnia degli
amici o in mezzo alla natura.
Primogenito di Emanuele Filiberto, secondo Duca d’Aosta, e
di Elena di Borbone Orléans, Amedeo, che significa «Colui che ama Dio», nacque
nel palazzo della Cisterna a Torino il 21 ottobre 1898. A sedici anni si
arruolò volontario nella prima guerra mondiale, come soldato semplice in prima
linea. Seguì lo zio Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi in Somalia: furono gli
artefici della ferrovia per Mogadiscio e della costruzione del villaggio Duca
degli Abruzzi.
Il “mal d’Africa” lo catturò completamente. Conseguì la
laurea in giurisprudenza a Palermo con la tesi “I concetti informatori dei
rapporti giuridici fra gli stati moderni e le popolazioni indigene delle
colonie”, nella quale esaminava il problema coloniale sotto l’aspetto morale:
era un fermo assertore del colonialismo apportatore della civiltà. Il 5
novembre 1927 sposò a Napoli Anna di Borbone Orléans. Terminata la seconda
guerra italo-abissina, il 21 ottobre 1937, fu nominato Governatore generale,
Comandante in capo dell’Africa orientale italiana e Viceré d’Etiopia.
Contrarissimo ad un’alleanza bellica con la Germania, nel
1941, di fronte alla travolgente avanzata degli inglesi in Africa orientale
italiana, organizzò l’ultima resistenza sulle montagne etiopi. Si asserragliò
dal 17 aprile al 17 maggio sull’Amba Alagi con 7.000 uomini: una forza composta
da carabinieri, avieri, marinai della base di Assab, 500 soldati della sanità e
circa 3.000 indigeni. Lo schieramento italiano venne ben presto stretto
d’assedio dalle forze del generale Cunningham, il quale disponeva di 39.000
uomini. I soldati italiani, inferiori sia per numero sia per mezzi, diedero
prova di grandissimo valore, ma si dovettero arrendere. Il 23 maggio il
generale inglese Platt comunicò al Duca che gli era stata concessa da Vittorio
Emanuele III la Medaglia d’oro al valor militare.
Amedeo, prigioniero di guerra numero 11590, venne trasferito
in Kenya per mezzo aereo e durante una parte del volo gli vennero ceduti i
comandi per consentirgli di pilotare un’ultima volta. Arrivato in Kenya, venne
tenuto prigioniero dagli inglesi presso Dònyo Sàbouk (Nairobi), una località
infestata dalla malaria, che lo colpì insieme alla tubercolosi. Morì il 3 marzo
1942 nell’ospedale militare di Nairobi, dopo essersi confessato da padre
Boratto ed avergli detto: «Come è bello morire in pace con Dio, con gli uomini,
con se stesso. Questo è quello che veramente conta».
Al suo funerale anche i generali britannici indossarono il
lutto al braccio e per sua espressa volontà fu sepolto al Sacrario militare italiano
di Nyeri (Kenya), insieme ai suoi 676 soldati. Aveva scritto il 28 maggio 1941
sul Diario dell’Amba Alagi: «Addí Úgri. Tramonta il sole (…) prego in quest’ora
divina in cui il giorno è passato e la notte non è ancora venuta. Mi sento in
pace, in stato di euforia spirituale; ringrazio Iddio clemente e misericordioso
(…) per le grazie, le gioie e i dolori che Egli mi ha mandato nella sua
onnipotenza, e nelle lodi non gli chiedo favori, pago solo di esaltarne la
grandezza».
Tratto da : www.corrispondenzaromana.it/