Clotilde di Savoia : il “sì” che fece l’Italia
6 giugno 2012
La biografia di Cristina Tessaro riporta alla luce un’eroina
ingiustamente dimenticata del nostro Risorgimento, figura di grande spessore
spirituale che ha molto da insegnare agli uomini e alle donne del nostro tempo
“Il mio dovere è di rimanere qui tanto che lo potrò, dovessi
io restarci e morirvi; non si può fuggire davanti al pericolo. […] Non tengo al
mondo, alle ricchezze, alla posizione che ho, non ci ho mai tenuto caro papà;
ma tengo ad adempiere fino alla fine il mio dovere. […] Non sono una
principessa di Casa Savoia per niente!”. A pronunciare queste parole,
capolavoro di coraggio e di dedizione alle proprie responsabilità, fu la
ventisettenne Clotilde di Savoia, figlia primogenita di Vittorio Emanuele II.
Furono scritte a pochi giorni dal 2 settembre 1870, quando, con la sconfitta
dei francesi ad opera dei prussiani a Sedan, si registrò l’irreversibile crollo
del Secondo Impero e del suo fautore Napoleone III. Allora la principessa si trovava
a Parigi, dove viveva dal 1859 quando, non ancora sedicenne, aveva sposato il
cugino dell’imperatore, il principe Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte.
All’epoca in cui le fu prospettata l’unione con il nobile
francese, Clotilde era giovanissima, molto religiosa, semplice e del tutto
priva di ambizioni sentimentali. Il matrimonio era ancora lontanissimo dai suoi
desideri. Ma la sua unione con un uomo prossimo ai quarant’anni, anticlericale,
libertino, aperto alle più avanzate teorie sociali, filosofiche e artistiche
del suo tempo, era resa necessaria dall’alleanza franco-sabauda, le cui basi
erano state poste nell’incontro segreto di Plombières tra l’imperatore e il
primo ministro piemontese Cavour. Clotilde, che tre anni prima era rimasta orfana
della madre Maria Adelaide d’Asburgo, fu lasciata sola a decidere del proprio
destino, di quello del suo paese e della causa italiana. Alla fine scelse il
matrimonio: “Quando mi sono maritata, quantunque giovane, sapevo quel che
facevo e se l’ho fatto è perché l’ho voluto”, scriverà in quella mirabile
lettera della fine dell’estate del ‘70. Senza il suo «sì» Napoleone avrebbe
probabilmente negato il suo appoggio ai progetti espansionistici del Piemonte
sul Lombardo – Veneto e oggi studieremmo una storia diversa.
Clotilde scelse il suo destino in piena consapevolezza, ma
senza alcuna ingenuità: sapeva che il bene del suo paese le sarebbe costato un
matrimonio avaro di affetto e, persino, di considerazione da parte del marito,
nonostante la gioia di tre figli. Clotilde affrontò ogni prova con una fede
granitica, con una divorante devozione per il Sacro Cuore di Gesù, con il
fervore di una sentita carità, alla larga dagli inesausti divertimenti di una
moderna e festante Parigi e, in seguito, dopo la disfatta di Sedan, nel
silenzioso rifugio di Prangins, sul lago di Ginevra
La fedeltà al proprio dovere morale fu, per lei, il faro di
ogni sua scelta, anche quando subì la dolorosa separazione dal marito pur di
non prestarsi alle ambizioni politiche di lui, troppo stridenti rispetto alle
sue convinzioni religiose e alla sua idea di lealtà verso la famiglia
imperiale. A soli trentacinque anni Clotilde tornò quindi al suo Piemonte con
l’unica compagnia della figlia Letizia e si stabilì a Moncalieri, in uno dei
castelli sabaudi in cui da bambina aveva trascorso tante ore felici. Vi rimase
trentatrè anni, fino alla morte, vivendo come una monaca, consacrata ai voti di
povertà, castità e obbedienza come laica domenicana. La sua anima toccherà
vette di non comune splendore spirituale, beneficando la gente che viveva con
lei nel castello e tanti bisognosi del paese e dell’Italia intera, al punto che
alla sua morte, avvenuta il 25 giugno 1911, venne salutata come la “santa di
Moncalieri”.
Eppure, nonostante i suoi enormi meriti, l’oblio ha steso
una patina di silenzio su questa sfortunata principessa: la causa di
beatificazione intrapresa a Roma per l’accertamento dell’eroicità delle sue
virtù si è arenata per mancanza di fondi e la storiografia sembra aver
cancellato il ricordo del suo enorme sacrificio di fanciulla. Riportando alla
luce la sua figura, la biografia di Cristina Tessaro rende giustizia a
un’eroina che ha consumato un ferreo senso del dovere nella silenziosa
immolazione della sua vita. Il suo esempio torna alla luce non solo come
riscoperta storiografica, ma anche come attuale spunto di orientamento morale,
prezioso soprattutto in questo tempo di crisi delle istituzioni e di povertà di
riferimenti positivi. Clotilde insegna il valore delle responsabilità personali
e civili come traguardo a cui non si può né si deve mancare, se non si vuole
mancare al senso più autentico e nobile di sé stessi.
Tratto da : www.laperfettaletizia.com/