Diritti civili e politici ai Valdesi ed agli Ebrei - 1848


Diritti civili e politici ai Valdesi ed agli Ebrei

Il Regno di Sardegna ha il merito d’avere concesso per primo l’emancipazione agli Ebrei d’Italia.
Quando, falliti ovunque i moti rivoluzionari del ‘48, tutti i Governi, revocato quanto  erano stati costretti a concedere, adottarono i pesanti sistemi della reazione, solo dal Regno di Sardegna la reazione non venne. Nel 1848 Re Carlo Alberto, dopo aver concesso lo Statuto l'8 febbraio, concesse i diritti civili e politici alle due minoranze religiose presenti in Piemonte: i Valdesi e gli Ebrei.
Primi ad essere emancipati sono i valdesi: il 17 febbraio, data ancora solennemente da loro celebrata.
Quella che è stata per decenni la festa dei valdesi è diventata la giornata degli evangelici per due motivi.
Anzitutto per ricordare la libertà, in questo caso religiosa, di coscienza, il fatto che l'espressione della religione deve essere libera in una società moderna e il potere civile, lo Stato, non ha alcuna competenza in questo campo e tanto meno ha da privilegiarne una.
La libertà religiosa non è l'appendice delle libertà civili ma la matrice: prima c'è la coscienza religiosa poi vengono la politica, l'economia, il lavoro e il pensiero.
La liberà religiosa in Italia è stata una lunga conquista, a partire dalle Lettere Patenti del Re del 17 febbraio 1848, e permane impegno attuale.
Un giorno della memoria positivo dunque, quello degli evangelici, che ricorda fatti lontani ma proiettati sul presente, impegni costruttivi, battaglie vinte, pagine ricche di umanità. Memoria non tanto di sé sessi quanto di ideali, di conquiste, come il Vangelo. Da Carlo Alberto gli Ebrei erano trattati bene; le loro comunità, sparse su tutto il territorio del Regno, avevano come guida le comunità di Torino (rabbino capo Lelio Cantoni) e di Casale Monferrato.
Il 29 marzo 1848 Re Carlo Alberto, sul campo dì battaglia di Voghera, firma un decreto col quale concede tutti i diritti agli ebrei ed agli altri acattolici. L'atto dà un peso alle comunità ebraiche e ciò fu immediatamente testimoniato dalla scelta del primo ministro Camillo Benso di Cavour di essere affiancato da un segretario personale ebreo. Gli ebrei giunsero in Piemonte a seguito della loro cacciata dal nord Europa.
La prima comunità si stabilì a Savigliano. Altre 18 seguirono. Di queste realtà sono rimaste oggi tre comunità attive: a Torino, a Casale Monferrato e a Vercelli, e 12 sinagoghe. Quasi ovunque però sono rimaste tracce dei ghetti e dei cimiteri ebraici.
Infatti, dopo il 1848, gli ebrei piemontesi poterono scegliere dove vivere e molti si allontanarono dalle città dove per generazioni avevano vissuto e lavorato.
Con la seconda guerra mondiale il processo di dispersione si accentuò e oltre la metà degli ebrei non tornò più ai luoghi d’origine.
Attualmente, in Piemonte vi sono circa 1.000 ebrei sui 30.000 esistenti in tutta Italia.
La maggior parte di essi si trova a Torino, dove la comunità ha un pensionato e una scuola ebraica che, unica in Italia, è aperta anche a studenti non ebrei.
Proprio nella Sinagoga di Torino resta un armadio dipinto di nero che testimonia il gesto di lutto che la Comunità Ebraica volle portare in occasione della morte del Re Carlo Alberto, che avvenne l’anno successivo alla loro emancipazione.
In quegli anni, sempre in segno di riconoscenza, furono molti i bambini ebrei che presero il nome di Alberto.

Tratto da “Tricolore” No. 2419 del 17 Febbraio 2008