La Prima Guerra di Indipendenza italiana - 1848/49

La Prima Guerra di Indipendenza italiana

Pur consapevoli che le sommosse popolari del 1848, non sono un’esclusiva italiana, crediamo che tra le città europee insorte in quella primavera, un posto di rilievo spetti sicuramente a Milano e Venezia, le due più grandi città del Lombardo - Veneto, dominio diretto degli Austriaci in Italia. Durante le gloriose Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo) la popolazione aveva cacciato le forze militari austriache. Lo stesso era avvenuto a Venezia il 17 marzo, e l'esercito imperiale, comandato dal Feldmaresciallo Radetzky, era stato costretto a ritirarsi nella zona tra Peschiera, Mantova, Verona e Legnago, il cosiddetto “Quadrilatero”. Questa scintilla anti austriaca nel Lombardo - Veneto fece divampare un incendio di grosse proporzioni, che mise in moto un movimento liberale in tutta “Italia”, che puntò concretamente e per la prima volta, all'unificazione e all'indipendenza.


Al '48 l'Italia era arrivata dopo un biennio caratterizzato dalla rivendicazione nei vari Stati, da parte delle forze liberali, che chiedevano riforme in senso costituzionale.
A dare l'avvio al processo riformista era stata l'elezione a pontefice del cardinale Giovanni Mastai Ferretti, che assunse il nome di Pio IX, nel 1846; egli infatti, appena eletto, sotto la pressione dei liberali romani e forse anche per la sua buona indole, aveva concesso una serie di riforme ad indirizzo liberale. Del tutto alieno dal concedere qualsiasi riforma in senso costituzionale restò invece Ferdinando II Re delle Due Sicilie, Sovrano del più grosso e popolato Regno della penisola italiana.
E fu proprio a Palermo, nel suo Regno, che scoppiò il primo moto rivoluzionario del '48 europeo. Il 9 gennaio la città insorse sotto la direzione di Giuseppe La Masa e Rosolino Pilo. L'insurrezione aveva carattere liberale, antiborbonico e separatista (nei confronti del rimanente territorio del Regno). Il 2 febbraio si formò infatti un governo provvisorio siciliano che dichiarava l'autonomia della Sicilia. Il fermento rivoluzionario si propagò fino a Napoli costringendo Ferdinando Il a placare momentaneamente l’ira popolare con la concessione della costituzione, tesa più a prendere tempo, che a concedere davvero una riforma.
Sull’esempio di Ferdinando II delle Due Sicilie, anche il Granduca Leopoldo Il (in Toscana) dovette cedere, concedendo a sua volta anche lui sul problema costituzionale.
Contemporaneamente a questi fatti, Carlo Alberto di Savoia, il Sovrano italiano meno sollecitato in tal senso, dopo aver già concesso la libertà di culto ai Valdesi, poi estesa anche agli Ebrei, ed al termine di un percorso riformista senza eguali in Italia che proseguiva incessante da 18 anni interessando tutti gli aspetti della vita dei suoi popoli, sociali, economici, militari ed istituzionali, Carlo Alberto arriva a concedere lo Statuto (Costituzione) il 4 marzo 1848. Lo Statuto Albertino quindi, come riportano le Edizioni Giuridiche Simoni (una sorta di enciclopedia della giurisprudenza italiana) : “…non trattatasi di documento estorto da una rivoluzione ma di atto dovuto unicamente allo spirito liberale del Sovrano” 
In questa situazione “ambientale” quindi, quando giunsero le notizie delle insurrezioni nel lombardo veneto , l’attenzione e l’eccitazione crebbero a dismisura. Il primo risultato fu che nei Ducati di Modena e di Parma ad esempio, i rispettivi Sovrani furono costretti alla fuga precauzionale, riparando al sicuro dietro lo scudo austriaco.
L'Italia settentrionale così, si ritrovò di fatto in guerra contro l'Austria, una guerra popolare promossa dall'azione della borghesia liberale e dalle forze democratiche/rivoluzionarie repubblicane. La necessità però, di condurre a fondo l'azione militare contro l’Austria e la stessa preoccupazione dei liberali e moderati nei confronti di questo moto popolare, così come l'esigenza sentita da tutti (anche dallo stesso Mazzini) di poter contare su una forza militare preparata e capace di fronteggiare sul campo le truppe austriache, dando un volto unitario a tutte le lotte, fecero convergere l'attenzione di tutti i patrioti verso l’unico Principe italiano dal volto liberale e democratico : il Re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia.


Appelli e pressioni furono rivolti da tutte le parti al Sovrano Sabaudo affinché si ponesse alla testa della lotta per l’indipendenza nazionale dichiarando apertamente la guerra all'Austria. Il 23 marzo 1848, Carlo Alberto rispondeva positivamente e faceva muovere il suo piccolo esercito su Milano. La città però, era già stata liberata dai suoi cittadini, e così l’esercito Sabaudo prosegui alla liberazione della Lombardia marciando verso oriente.
A questa mossa, risposero i Sovrani italiani rimasti ai loro posti, inviando forze militari in supporto al Piemonte. Il moto popolare, era così diventato una vera guerra regolare degli Stati federati italiani contro l'Austria.
Ad ingrossare ancora le fila italiane, giunsero da ogni parte della penisola numerosissimi combattenti volontari, studenti e intellettuali di ogni ceto sociale.
Le vittorie sardo-piemontesi al ponte di Goito e a Pastrengo tra l’8 ed il 30 aprile, coronarono brillantemente questa prima fase della guerra caratterizzata da un grande entusiasmo e da una partecipazione unitaria dei sovrani e del popolo italiano. Le difficoltà di intesa e degli interessi dei vari Sovrani però, non tardarono a presentarsi. Obiettivi ancora troppo aleatori e contrastanti venivano individuati dietro questo consenso unitario alla guerra. I principi italiani, che in fondo erano stati costretti dalle pressioni liberali a partecipare alla guerra, oltre che dalla loro volontà di non lasciare al Piemonte il possibile esito vittorioso, erano preoccupati soprattutto dal carattere popolare dell’iniziativa. Questa, sempre più, continuava ad assumere proporzioni che difficilmente si sarebbero potute controllare secondo gli “antichi” schemi consolidati. Forte poi era il timore di fondo, di fare il gioco e gli interessi di Carlo Alberto, tanto che in breve tutti ritirarono la loro adesione facendo rientrare le truppe regolari.
Il primo fu proprio il Papa Pio IX che con l'allocuzione del 29 aprile dichiarava che al “padre di tutti i fedeli” non era lecito far guerra a uno Stato cattolico, qual era l'Austria. Leopoldo Il di Toscana e Ferdinando Il seguirono immediatamente il suo esempio .
Su Leopoldo di Toscana occorre spendere due parole di più circa la sua adesione. Questa doveva essere stata per lui una scelta difficile, tanto che pur aderendo alla guerra, ben si era guardato dall’inviare truppe regolari, permettendo soltanto l’organizzazione di un forte contingente di volontari. Egli insomma prendeva due piccioni con una fava : risultava “presente” all’iniziativa senza esporsi materialmente, allontanando contemporaneamente dal suo Territorio un buon numero di rivoluzionari e teste calde !
Dal canto suo, Il Re delle Due Sicilie, oltre a ritirare l’adesione alla guerra e le truppe dal nord Italia, ritenne di opportuno riportare indietro anche il tempo. Sciolse infatti il Parlamento ritirando la Costituzione, ed alle proteste di piazza, rispose con sanguinose repressioni.
Rimasto solo a fronteggiare la situazione, Carlo Alberto ritenne giusto rendere più decisa la linea politica usata fino ad allora, dando il via alle annessioni al Regno di Sardegna dei territori liberati dallo straniero. Questa politica, legittima e legittimata dalle defezioni stesse degli altri Stati italiani, creò però ulteriori contrasti interni al fronte impegnato nella guerra. Le forze democratiche/rivoluzionarie non potevano infatti più insistere sulla linea (adottata all'inizio delle operazioni militari) di rimandare a dopo la fine della guerra il problema dell'assetto politico da dare all'Italia, ed il Piemonte in conseguenza spinse ancora oltre la sua linea di ingrandimento territoriale, arrivando al paradosso di rifiutare il supporto dei volontari di Garibaldi nel momento che ne avrebbe avuto più bisogno, proseguendo le operazioni di guerra autonomamente, con troppa incertezza militare ed estrema prudenza politica.
Malgrado questa difficile situazione comunque, si ebbero ancora favorevoli sviluppi nel mese di maggio. A Curtatone e Montanara i volontari toscani bloccarono un ardito tentativo degli Austriaci, che venivano sonoramente battuti dall'esercito piemontese a Goito, mentre quasi contemporaneamente, anche la fortezza di Peschiera capitolava, mettendo in grave situazione le restanti forze del Feldmaresciallo Radetzky.
Fu comunque il canto del cigno. Meno di due mesi dopo, la sconfitta di Custoza (26 luglio) segnò infatti la fine della prima fase della guerra. Non potendo tentare un'immediata riscossa con il massiccio ma disordinato contributo dei volontari, Carlo Alberto chiese un armistizio all'Austria per riorganizzare l’armata. L’armistizio fu firmato il 9 agosto a Milano dal generale Salasco, per la parte piemontese, e dal Radetzky, per la parte austriaca.

La fine, le conseguenze e gli insegnamenti

La ripresa della guerra nell'anno 1849, avvenne in un momento sfavorevole alle forze rivoluzionarie di tutta Europa che cadevano una ad una sotto i colpi della contro reazione.
La repubblica francese abbandonava in quel momento le sue originarie istanze sociali dandosi un rigido volto autoritario con l'elezione di Luigi Napoleone. In Germania, a Vienna e a Praga gli eserciti austriaci avevano la meglio sulle ultime resistenze popolari, mentre l'Ungheria veniva piegata soltanto un anno dopo, con l'appoggio delle truppe russe venute in aiuto degli Austriaci. A Napoli Ferdinando aveva già imboccato la via della repressione come abbiamo visto, mentre nell'Italia settentrionale le forze rivoluzionarie demagogicamente dopo il fallimento della linea liberale moderata (seguita dal Piemonte), riproposero con forza il problema dell’Unità attraverso la guerra aperta, alla quale ancora una volta Carlo Alberto rispose generosamente, riprendendo le ostilità contro l'Austria. Egli, ancora nella primavera del 1849, sperava di poter rimettere insieme il progetto neoguelfo di federazione dei principi italiani che brillanti risultati aveva dato l’anno precedente, ma in questa situazione interna (all’Italia) ed internazionale, l'esito negativo era già segnato in partenza. Infatti alla definitiva sconfitta piemontese di Novara (21-23 marzo 1849) fecero seguito l'abdicazione del Sovrano Sabaudo in favore del figlio Vittorio Emanuele e l'armistizio del 26 marzo. La Pace di Milano fu firmata, dopo difficili quanto impossibili trattative, il 6 agosto 1849.


Tutto il lombardo veneto tornò così sotto il tallone dell’Impero, ed in Toscana, gli Austriaci riportarono l'ordine e il Granduca Leopoldo al potere. Rimasero roccaforti del movimento rivoluzionario repubblicano, a Roma e a Venezia, dove si continuò ad oltranza la resistere. Saranno le truppe del Generale Oudinot (della repubblica francese) a piegare la repubblica Romana definitivamente il 3 luglio 1849, dopo un mese d'assedio.
A Venezia, i bombardamenti austriaci, la mancanza di generi alimentari e soprattutto un'epidemia di colera costrinsero i rivoltosi a capitolare 26 agosto successivo.
In tutta la penisola italiana, si tornò presto alla situazione politica e sociale precedente al 1848. Le libertà costituzionali vennero soppresse ovunque, tranne che nel Piemonte dove lo Statuto Albertino restò in vigore grazie alla caparbietà di Vittorio Emanuele II, che rifiutando il concorso di 40.000 baionette austriache offerte dal Feldmaresciallo Radetzky, si tenne la Costituzione ed il Parlamento, divenendo l’unico faro di speranza in Italia per l’avvenire.
Il biennio 1848-49 nonostante il drammatico epilogo, con la sua scia di morti, distruzioni, processi e patiboli, portò tuttavia ad una definitiva affermazione della causa unitaria e indipendentista, creando e formando una coscienza nazionale prima sconosciuta e nella quale gran parte delle popolazioni si riconobbero. Tutte le premesse per la continuazione della lotta risorgimentale furono da allora chiaramente identificate.

Alberto Conterio